Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 15 marzo 2013

Storie di latrine e latrinai: un business che non teme la crisi

“Gentile Ministro, sono il latrinaio di Milano Centrale. Come uomo sono molto sensibile all’arte in tutte le sue forme. Pensi che mia nipote ha fatto la tesi all’Università sulle scritte dei cessi. Sappiamo tutti che molte tele di inestimabile valore rimangono negli scantinati dei musei per mancanza di superficie espositiva […]. Ecco la mia proposta: decentrare in spazi non convenzionali (cessi pubblici) il patrimonio artistico nazionale. Io metto a disposizione la cubatura del mio locale che è di 650 metri quadri. Il mio obiettivo e quello dei miei colleghi è quello di creare un centro dove convergano molteplici interessi e che faccia venire la gente non solo per pisciare ed esercitare la pederastia (che comunque rimane la colonna portante del nostro fatturato), ma anche per pittura, scultura, stagioni liriche etc…! […]. D’altra parte solo con le mance non ce la si fa più. Le tasse sono tante. Distinti saluti”. Si tratta della geniale proposta avanzata nell’aprile 2007 da Maurizio Milani - allora titolare della latrina di Stato numero 822, sita in Stazione Milano Centrale, Ala Est - al Ministero dell’Università e della Cultura (immagino). O forse a quello delle Attività Produttive (che mi sembra più in sintonia con la materia). Non se n’è saputo più nulla della vicenda, e quindi è assai probabile che la bella iniziativa culturale non si sia concretizzata. Spiace perché orinare guardando un quadro di pregio oppure una statua romana, sarebbe stato assai gradevole. Qualcuno, in preda alla sindrome di Stendhal, avrebbe potuto anche scoppiare a piangere. Siamo pronti a scommetterci. Che scena sarebbe stata: commozione ed estasi in una pubblica ritirata.
Ad ogni modo da allora ne è passata di acqua… negli scoli fognari, ed anche la latrina di Milano Centrale non è più la stessa. Un tempo varcare la soglia di una di queste toilette pubbliche era un’avventura ai limiti della fantascienza. Fin dal primo momento si veniva aggrediti da un odore violentissimo di merda fresca di giornata, orina, varechina, e le tracce escrementizie potevano essere ammirate praticamente in ogni dove, sui pavimenti, sui copri-cessi spaccati, sulle pareti, nei lavandini. Ovunque salvo che nelle tazze. Anche perché queste ultime erano costantemente intasate, oltreché cronicamente sguarnite di carta igienica. Alle volte capitava di intravedere qualche residuo perfino sul soffitto. Performance indubbiamente ascrivibili a cagatori acrobati (come giustamente sottolinea Paolo Villaggio nel suo libro Sono incazzato come una belva). E poi le porte erano sempre spaccate, le serrature rotte. Una sciagura, soprattutto per i timidi. Una volta ricordo che mi trovato in una toilette assai malmessa: la porta si apriva a compasso verso l’esterno ed era priva di chiavistello. E così per liberarmi del fardello dovetti accovacciarmi sulla turca aggrappato alla maniglia, onde evitare che qualcuno entrasse. Passarono solo pochi istanti dall’inizio delle operazioni, quando la maniglia si schiodò improvvisamente dalla porta, talché io mi ritrovai completamente invischiato nella problematica sottostante. E la cosa fu sommamente imbarazzante, come capirete.
Oggi invece le toilette delle stazioni sono quasi dei centri benessere: pulitissime, asettiche, profumate, molto illuminate. E anche il personale è sempre presente, educato e assai disponibile. L’unico inconveniente è che per accedervi occorre sborsare la non irrisoria cifra di un euro: quasi duemila delle vecchie lire per potersi accomodare nella cella defecante. Non poco direi. Che a quel punto chiunque, anche se non necessitato, si sente obbligato all’esercizio dell’atto grande, ritenendo la semplice minzione poca cosa rispetto a cotanta spesa. Ma purtroppo tale sanguinoso esborso non sarebbe neanche il principale dei problemi. Per entrare nelle toilette infatti, occorre superare uno sbarramento con porte automatiche in vetroresina, e l’apertura delle medesime avviene esclusivamente introducendo l’apposita moneta nella fessurina. Ho visto scene agghiaccianti di viaggiatori, al limite dell’esplosione, intenti a ricercare disperatamente il fottuto obolo in ogni tasca. Paonazzi in viso e con movimenti frenetici, lottavano contro il tempo per evitare la disfatta ad un passo dalla salvezza. Poi, improvvisamente si arrestavano, sulla faccia il ritratto della delusione. E lentamente due litri di orina caldissima cominciava a scendere lungo i pantaloni e sulle scarpe scamosciate beige. Ecco perché molti, di fronte all’esosità dei latrinai e alle complicanze della modernità, salgono sul primo convoglio in stazionamento sui binari e mingono - o peggio ancora - nelle ritirate. Spesso però accade che il treno parta senza preavviso e così ci si ritrova diretti a Bari. Poco male, la città merita.
Che poi non si capisce perché i prezzi delle toilette non siano tutti uguali. Quelle di Milano Lambrate, ad esempio, costano settanta centesimi. Cos’è questa discriminazione tra viaggiatori? E poi perché non esiste una lista con i relativi costi per le varie necessità fisiologiche? Siamo mica tutti uguali di fronte alla turca. E ancora, perché le toilette ad una certa ora chiudono? Cos’è, passato l’orario d’ufficio facciamo un nodo all’uretra e applichiamo un tappo al retrobottega? Poi ci si lamenta del cattivo odore nei sottopassaggi. Facciamo dunque una bella assunzione massiccia di latrinai e teniamo aperti gli esercizi anche la notte: almeno contribuiremmo ad abbattere un po’ di disoccupazione. O sennò perché non pensare a cessi di serie “A” (aperti solo di giorno) e cessi di serie “B” (aperti anche la notte): se un viaggiatore vuole il trattamento si recherà nei primi; se al contrario non teme né odori sgradevoli né incuria potrà gratuitamente espletare nei secondi. E comunque nessuno più espleterà sui muri. Ci vuole tanto, dico io? Eppure di esempi in giro per il mondo ne abbiamo a bizzeffe: il business escrementizio è in forte ascesa. In Svezia e in Cina per esempio le toilette pubbliche (rigorosamente gratuite) provvedono a separare i rifiuti solidi da quelli liquidi e, attraverso il loro trattamento, si ottengono fertilizzanti da rivendere all’industria agricola. Cioè lo Stato guadagna rivendendosi la merda dei cittadini. Ditemi se non è fantastico? Negli Stati Uniti, invece, il giovane designer Eddie Gandelman – nell’ambito di una riqualificazione urbanistica – ha progettato una struttura cilindrica, in cui trovano alloggio quattro orinatoi, alla cui sommità sono poste alcune piante acquatiche. Queste ultime, dopo un opportuno trattamento chimico, vengono innaffiate con l’urina dei cittadini. A tal proposito ricordo che qualche tempo fa un amico mi raccontò di una visita fatta ad un parente. Costui, probabilmente a causa di mancanza di spazio, aveva sistemato una serie di vasi di pomodori nel bagno di casa. Alcuni di questi perfino accanto alla tazza del water. Quando la moglie del mio amico si recò alla toilette e si avvide di quella scena surreale, rimase assai scandalizzata. E ciò nonostante i pomodori – occorre dirlo – manifestassero una splendida maturazione. Quando gli ospiti erano sul punto di congedarsi, il padrone di casa si ricordò all’improvviso: «Aspettate un attimo, prendo due pomodori così stasera vi fate una bella insalata». Pare che la moglie del mio amico sia esplosa con un non molto commendevole: «Non ti permettere, sai…».
Che volete, alle volte l’ignoranza è davvero una brutta bestia: vallo a spiegare a quella benedetta donna che ormai le piante si concimano pisciandoci sopra…!
E per chiudere in bellezza una notizia da Londra: un imprenditore assai sagace ha pensato bene di trasformare una vecchia e abbandonata latrina pubblica di epoca vittoriana, in una caffetteria di gran moda. Ma, invece di cancellare tutti i ricordi passati circa l’attività che ivi si teneva, ha deciso di metterli ben in evidenza, mantenendo gli originali orinatoi del 1890 Doulton & Co. come arredamento. Il locale, sito in Foley Street, si chiama The Attendant e gli orinatoi se ne stanno esposti in bella vista, e vengono utilizzati come scintillanti divisori. Che meraviglia, che originalità, che genio di uomo…! Chi c’è stato sostiene di aver gustato cibi degni di ristorazione grant gourmet. E oltretutto pare che non ci sia mai la fila per la toilette. Neanche all’ora di punta. Un bel vantaggio, no?

Nessun commento:

Posta un commento