Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

domenica 25 agosto 2013

Marche & Abruzzo bike tour

"Partiti da Gabicce l'11 agosto, siamo arrivati in questa splendida città.
Sei matti in bicicletta (Alessandra, Simona, Lorenzo, Alfio, Dominique
ed io) a spasso per il Centro Italia".
Giovedì 15 agosto, dopo alterne peripezie, e dopo aver attraversato
città come Jesi, Loreto, Recanati e lo spettacolare Conero,
eccoci ad Ascoli. Una perla incastonata tra Sibillini e Gran Sasso.
Sabato 17 agosto, in un pomeriggio caldo e assolato, giungiamo
a l'Aquila. Una città spettrale, deserta e presidiata dagli Alpini.
Alla sera però c'è un gran movimento, soprattutto di giovani.
C'è ancora speranza.
Domenica 18 siamo a Sulmona, patria di Ovidio e dei confetti.
Tutto intorno la meraviglia della Majella.
Martedì 20 agosto, inseguiti da un roboante temporale,
eccoci ad Ortona. Fine corsa o quasi. Tra un paio di giorni
questa splendida cavalcata si chiuderà. 930 km di bellezza... e basta.

venerdì 9 agosto 2013

Il Duomo di Milano come non l’avete mai visto

Piazza del Duomo, Milano - 1850 circa.

Curve (femminili) pericolose

Sapete come la pensa il blog riguardo alle automobili, e sapete anche che, fosse per noi, il mondo si muoverebbe solo e soltanto a piedi o in bicicletta. Il nostro non è un odio a prescindere per le quattro ruote, ovvero un rifiuto cieco e ottuso della modernità, ma piuttosto una nausea maturata nel tempo, la constatazione che questo mezzo di trasporto, dall’essere un ausilio per gli spostamenti, è diventato un vero e proprio incubo immanente. Le città moderne sono progettate e realizzate a partire dalle automobili, non già per i pedoni. Il che è un’aberrazione in termini, perché si pone la macchina ancor prima della persona. Tanto che ha destato uno scalpore mai visto prima, la proposta del sindaco di Roma di rendere pedonale l’area dei Fori Imperiali. “Guai, non si azzardi…” - hanno tuonato in coro le associazioni dei commercianti, paventando la perdita di clienti; “Se chiude il centro le strade limitrofe affogheranno nel traffico…” - hanno sentenziato gli esperti di viabilità; “E noi come ci arriviamo sotto casa…?” - hanno sbottato i residenti - “Il sindaco pensi prima a chiudere le buche nelle strade, e poi ne riparliamo”. Ecco, quando qualcuno ha una buona idea, salta sempre su qualcun altro pronto a dargli del coglione. Come se liberare dal traffico il viale più bello del mondo fosse il parto di una mente malata. Il fatto è, come al solito, che nessuno riesce a guardare al di là del proprio naso: possibile che non si riesca a capire che un piccolo sacrificio personale, spesso coincide con un enorme beneficio della collettività? Che poi basterebbe dare un’occhiata in giro per l’Europa e si scoprirebbe che la modernità sta proprio nel riappropriarsi dello spazio lasciato inopinatamente a disposizione delle automobili per decenni.
Certo l’automobile, come ogni altra invenzione umana, non è un male in se: è l’abuso che se ne fa a renderla ostile alla vita umana. Se ognuno la utilizzasse solo ed esclusivamente quando vi è obbligato (ma sul serio però…, mica che anche la pioggia diventa causa ineludibile di utilizzo…), forse non saremmo ridotti a questa stregua. Il problema però è che una volta che dai la facoltà di utilizzare qualcosa a qualcuno, questi la utilizzerà. Sempre. Come con le targhe pari e le targhe dispari: “Oggi è targa pari, bon allora esco. Sì, ma dove vado? Boh…, oggi è targa pari e dunque esco comunque…”.
Un paio di mesi fa, per esempio, un’amministrazione pubblica locale dell’Alto Cremasco ha fatto asfaltare una stradina secondaria e tortuosa di campagna. Per anni l’ho percorsa piacevolmente, immergendomi nella quiete e nella tranquillità dalla natura. Ebbene, da che è stata resa transitabile al traffico, non c’è più verso di percorrerla in bicicletta. Anche perché è stretta, piena di curve cieche e dunque pericolosa. L’utilità di quest’opera per gli automobilisti è pari a zero (ci si mette più tempo a raggiungere un luogo utilizzando questa strada che non la vecchia provinciale), ma nonostante ciò le macchine vi transitano sempre, a tutte le ore. Perché? Ma perché se una strada esiste, ci sarà sempre e qualcuno disposto a transitarci. Ovvio. E allora mi domando e dico: non era forse meglio lasciare le cose come stavano? Non era meglio lasciare che quella strada fosse sterrata e polverosa e dunque rifugio per tutti coloro in cerca di “interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete”, per dirla con Leopardi?
Tra l’altro, stando a quello che dicono le ultime ricerche, guidare l’automobile diventa sempre più rischioso: sia per gli automobilisti, sia per gli sfortunati pedoni. La Saga Car Insurance, compagnia di assicurazione britannica, ha recentemente divulgato i risultati di un’indagine, dai quali emergerebbe che i motivi di distrazione per gli automobilisti sono sempre più numerosi e pericolosi. Per il 35 per cento dei maschi e il 23 per cento delle femmine, per esempio, uno di questi è il cercare punti di riferimento esterni o guardarsi intorno. Una volta ricordo che un mio lontano zio, durante una scampagnata in automobile, finì dritto in un fosso. Il motivo fu che la moglie, inopinatamente e all’improvviso, gli gridò nell’orecchio: «Giggino…, Giggino…, guarda che bei palazzi là dietro…». E il patatrac avvenne. Al che il fratello di Giggino, mosso da feroce invidia nei suoi confronti prese a dire: «Ora gli toglieranno anche la patente. E sì perché le autorità vorranno sapere il perché di questo incidente: “Che forse eri ubriaco, o forse drogato? O ti sei semplicemente rincoglionito?”». Niente di tutto ciò: era solo che la moglie non chiudeva mai la bocca…!
Altro motivo di distrazione è l’autoradio: cambiare stazione o cercare un canale specifico lo è per il 24 per cento degli uomini e il 18 per cento delle donne. Il navigatore distrae il 24 per cento dei maschi e il 13 per cento delle donne. E poi c’è il classico dei classici, ovvero guardare una donna attraente: fonte di distrazione ancora per il 23 per cento dei maschi (curioso il fatto che, a parti invertite, solo l’1 per cento delle donne si lascia distrarre dalla guida). E per concludere, il climatizzatore necessita dell’attenzione del 15 per cento dei maschi contro il 12 per cento delle femmine. Facendo la somma di tutto ciò, e del resto che ancora manca (tipo conversare al cellulare, mandare sms, navigare su internet, truccarsi, fumare, bere, emettere fonemi corporali etc…), si arriva al risultato che l’84 per cento degli uomini e il 59 per cento delle donne al volante sono soggetti a distrazione, e dunque a rischio incidente.
Motivo di più per lasciare l’auto in garage (o meglio dal demolitore) e tirar su la bicicletta. Che oltretutto fa anche bene alla salute. A patto di non incrociare qualche automobilista distratto, s’intende.

Fonte: http://www.express.co.uk/news/uk/420002/Wandering-eye-for-girls-drives-men-to-distraction-on-road

giovedì 8 agosto 2013

Gli uomini, questi buoni a nulla…

Uomini e donne, due universi che non s’incontreranno mai. Amara considerazione, eppure così difficile da smentire. Le differenze che separano i due sessi a volte sono talmente abissali, che si stenta a comprendere come si possa conciliare la testolina indecifrabile delle donne (“cosa vogliono le donne”, pare che si sia chiesto Freud, un attimo prima di spirare…) con quella eternamente fanciullesca degli uomini. Nella maggior parte delle cose della vita, infatti, se per le prime una cosa è bianca, per i secondi è nera: non c’è niente da fare. Punto. E a poco serve tutta la retorica sull’amore che superara ogni scoglio. L’unico modo in cui i due sessi possono trovarsi alla frontiera è il compromesso. Al ribasso o al rialzo, a seconda del carattere di ognuno. Si certo le diversità arricchiscono, questo è indubbio, ma spesso è davvero un’impresa ardua conciliare questi due mondi, una fatica di Ercole che, se non supportata da altissimi e coriacei affetti, sfianca e logora l’esistenza.
Tanto per mettere un bel carico da novanta su queste distanze siderali, ecco giungere una recente ricerca pubblicata sull’Indipendent, tutta tesa a dimostrare quanto gli uomini siano inadeguati (“good for nothing”) rispetto alle faccende della vita, e quanto, al contrario, le donne riescano a destreggiarsi assai abilmente in questa materia. Dai dati risulta infatti che il genere maschile è completamente negato per tutta una serie di attività legate alla pratica quotidianità, tipo cucinare, scegliere vestiti, comprare i regali giusti per la partner, scegliere l’arredo di casa etc…! In questi ambiti pare che emerga tutta la pochezza degli uomini nel destreggiarsi con un minimo di pragmatica capacità. Se poi andiamo più oltre e affrontiamo i temi che più stanno a cuore alle donne, tipo ricordarsi di un anniversario particolare, si scopre che negli uomini manca qualsiasi tipo di talento e attitudine. Dalle interviste fatte per il sondaggio è saltato fuori che solo il 10 per cento delle donne pensano che gli uomini siano in grado di stirare una camicia, mentre la percentuale scende ad un misero 4 per cento se si tratta di accreditare qualche titolo al “sesso forte” nel campo del ballo. Scarsissima la stima anche riguardo alla capacità di scegliere capi d’abbigliamento per la partner (quasi sempre si sbaglia la misura…) o, peggio ancora, nella difficile arte della cucina. A giudizio delle donne, inoltre, pare che gli uomini siano particolarmente “portati” per perdere voli aerei, per darsi malati a lavoro, e soprattutto abbiano un talento raro nel dimenticare di prendere i figli a scuola.
Sì, ma ci sarà pure qualcosa in cui gli uomini eccellono, o per meglio dire, si dimostrano più competenti delle donne? Ovvio che si: sei donne su dieci ritengono gli uomini assai bravi a sbarazzarsi dei ragni. Uhau…, questo si che è un gran bel complimento…! E non finisce qui, no no…! Più della metà delle donne accredita agli uomini una certa qual abilità con il barbecue, mentre tre donne su quattro ritengono che in caso di foratura di una gomma, i poveri tapini se la caverebbero meglio di loro. Deo gratia, almeno serviamo a qualcosa…! 10 mila anni di civiltà, per sentirci dire che serviamo solo per schiacciare ragni neri e pelosi e sostituire gomme bucate: meraviglioso.
E gli uomini, cosa pensano delle proprie competenze e di ciò che le donne pensano di loro? Dalle risposte pare che non ci si preoccupi più di tanto. Come a dire: “Si, si…, parlate, parlate pure…, tanto poi quando ci sono dei problemi seri da noi dovete venire…”. Ovvio. Per il resto il genere maschile pare che snobbi tutto ciò che riguarda lavoretti domestici di routine (dei quali è meglio che si occupino le donne, per inciso) e punti tutto sul “fai da te” e sul bricolage. Anche se spesso, data la scarsa attitudine anche in questo campo, ci si fa del male. Tipo Fantozzi e Filini nel campeggio dei tedeschi: “Stia attento ragioniere, mi ha quasi smontato la mano con quel martello…”.
Ma ecco la classifica delle attività in cui difettano gli uomini. Sono quasi certo che leggendola, le donne proveranno una certa stizza; gli uomini, tutto sommato, ne saranno moderatamente orgogliosi. D’altra parte così va il mondo…!
1. Comprare vestiti per la partner
2. Ricordare l’anniversario o il compleanno
3. Ballare
4. Stirare
5. Cucinare
6. Fare i lavori domestici
7. Comprare i regali
8. Agire in multitasking
9. Tenere il passo con la moda
10. Scegliere l’arredamento

Fonte: http://www.iol.co.za/lifestyle/people/men-are-good-for-nothing-say-women-1.1559347#.UgNshC1H7IU

lunedì 5 agosto 2013

Le partenze intelligenti - Decalogo del buon viaggiatore

Fantozzi andava al mare, amava la tranquilla solitudine della pesca con la canna. Per mesi preparava psicologicamente la moglie, prenotava in anticipo una piccola pensione familiare a prezzi modici sul litorale […]. Nella notte, la moglie di Fantozzi aveva preparato due thermos di acqua con le cartine e due frittate con le cipolle. Partirono all’alba per evitare gli ingorghi. Partì veloce con la sua nuvola da impiegato implacabile. Le strade, data l’ora antelucana, erano deserte. Disse alla moglie: «Hai visto…, non c’è nessuno…». Non finì la frase. Sentì come un rumore di onda di piena: ecco tutti gli altri che si lanciavano con le loro utilitarie verso il litorale. Ognuno aveva la sua nuvola personale. Si ingorgarono subito in maniera decisiva. Ci furono duelli rusticani al cacciavite e duri giudizi sulle madri […]. Fantozzi non faceva il bagno perché non era mai riuscito a galleggiare e considerava Archimede un vecchio pazzo […]. Era bianchissimo, solo sulle spalle aveva due tremende ustioni da sole e sembrava un semaforo […]. Nella notte ritornò in città dopo essersi “cacciavitato” a lungo con delle colonne che cercavano di raggiungere il mare.
Si tratta di alcuni brani tratti dal libro Fantozzi, pubblicato da Rizzoli nel lontano 1971. Non tutti lo sanno, ma la saga del triste e sfortunato ragioniere, prima di essere un grande successo cinematografico, fu uno straordinario best seller. Il volume vendette qualcosa come un milione di copie in pochi mesi. Villaggio in questo scritto scoppiettante, ci racconta delle vacanze di Fantozzi, a partire dall’agghiacciante accaparramento del “periodo buono” - vale a dire le due settimane centrali di agosto - , con tanto di “prospetto ferie”, che la signorina ha cominciato a preparare da marzo in un foglio di carta millimetrato. E poi viene il clou, vale a dire l’azione, il viaggio, la scelta del momento migliore in cui partire, le vettovaglie, la minerale fatta con le cartelle, l’euforia e la delusione. Con tanto di “cacciavitate”. Sono passati oltre quarant’anni da allora, eppure l’esodo per le vacanze degli italiani è cambiato di poco. Da decenni ormai si parla di “partenze intelligenti”, eppure come ogni estate, ci si ritrova a fare i conti con interminabili code in autostrada, ritardi mostruosi, stress e amare considerazioni sullo stato delle cose. Che poi, già parlare di partenze intelligenti è un non senso: se tutti dessero retta alle indicazioni “intelligenti”, non ci si ritroverebbe forse imbottigliati alla stessa maniera? Unica differenza sarebbe, invece di trovarsi incolonnati al mattino, ci si troverebbe bloccati alla sera (o viceversa). Sai che vantaggio…! Come quella volta che, fermo e in preda ad una quasi crisi isterica nel tratto autostradale Rimini - Bologna, decisi di uscire e fare la statale. Ottima idea, ottima compagnia: milioni di automobili una dietro l’altra. Almeno la metà di tutti gli automobilisti presenti su quel tratto, avevano ragionato alla mia stessa maniera. Come a dire che se ti viene in mente una buona idea, è assai probabile che l’abbiano avuta anche altri…!
Ad ogni modo, ci dicono le ultime ricerche, la situazione sta migliorando. E non già perché siano cambiate le abitudini (non ce n’è…, le ferie continueremo a farle tutti ad agosto…), ma semplicemente perché la crisi ha fatto si che 2 italiani su 3 non andranno in vacanza. E dunque anche quegli ingorghi mostruosi degli anni passati dovrebbero essere archiviati.
Come che sia, stando a quello che dicono gli esperti, coloro che si metteranno al volante per raggiungere le mete turistiche, non sono affatto preparati per il lungo viaggio. Stanchezza, mancanza di abitudine alle lunghe distanze, alimentazione sbagliata: questi sarebbero i problemi maggiori. A dircelo è una ricerca condotta da In a Bottle, basata sulle considerazioni fatte da circa 80 esperti tra medici, nutrizionisti e dietologi. Secondo gli esperti gli italiani si mettono alla guida ignorando le loro condizioni psico-fisiche (65%), affrontano la partenza troppo stanchi (49%), si rimpinzano di cibo o, al contrario non mangiano nulla (47%) e non si curano del caldo e delle condizioni atmosferiche (46%), non portano a bordo sufficienti bottiglie d’acqua minerale (42%) rischiando disidratazione, colpi di sonno e di calore.
Perbacco, altro che Fantozzi…! E dunque, di fronte a una tale drammatica incompetenza, ecco pronto il decalogo degli esperti per un viaggio sicuro e consapevole:
1) Partire sempre riposati.
2) Alternare la guida a momenti di pausa e relax (è fondamentale fare delle soste per riattivare la circolazione e rilassarsi dalla tensione causata dalla guida: ogni due ore di guida, almeno 10 minuti di sosta).
3) No a follie alimentari (meglio alternare pasti leggeri ma frequenti, ricchi di frutta e verdura).
4) Integrare la perdita di sali minerali dovuti alla sudorazione.
5) Non abusare di stimolanti, come la caffeina.
6) Scegliere con cura l’abbigliamento adatto per il viaggio.
7) Fare attenzione agli sbalzi di temperatura (mai esagerare con l’aria condizionata, la differenza tra la temperatura interna ed esterna non dovrebbe mai essere superiore ai 10 gradi. L’aria secca, inoltre, aumenta il processo di disidratazione del corpo).
8) Bere spesso durante tutto il viaggio (bere in continuazione piccole quantità d’acqua per evitare il rischio disidratazione).
9) Attenzione all’alcool.
10) Scegliere l’orario migliore per intraprendere il viaggio (valutando i pro e i contro: compresi eventuali colpi di sonno).

Fonte: http://www.sanpellegrino-corporate.it/in-a-bottle-esodo-estivo-rischi-e-decalogo-degli-esperti.aspx

venerdì 2 agosto 2013

Là dove finisce il Grande Fiume: il ritorno

Questa mattina ho trovato in chat Giovanna, e dopo un paio di battute sulla sentenza emessa dalla Cassazione ieri (hihihiihhi…), ci siamo informati a vicenda circa le ferie prossime venture. Giovanna andrà in Croazia per una vacanza rigenerante in barca a vela. Poi trascorrerà qualche giorno nella Città Eterna. Io sarò in giro in bicicletta con altri cinque pazzi, a spasso per i colli marchigiani e abruzzesi. Prima di congedarci, abbiamo preso un appuntamento: al ritorno dalle vacanze, ci ritroveremo tutti insieme per raccontarci le nostre vite a spasso per il mondo. Un paio d’anni fa un brunch a Milano fu l’occasione per riunire tutti i membri della Loggia del Listone. Quest’anno, invece sarebbe bello chiudere idealmente l’estate con un’escursione in bici lungo le stradine piatte e deserte del Delta del Po. Già qualche hanno fa siamo stati con alcuni amici da queste parti, ma si trattava del mese di marzo, un periodo ancora freddo e piovoso. Non il massimo per scoprire tutta la bellezza di questo luogo incantato, a metà tra terra e mare. L’ideale sarebbe partire venerdì 6 settembre e raggiungere Ferrara in treno. Dopo una visita alla città, si proseguirebbe verso est, fermandosi alla splendida Abbazia di Pomposa. Imperdibile. Il viaggio poi continuerebbe fino ad incrociare i primi reticoli d’acqua, anticipazione di quel portentoso finale che termina nel Mare Adriatico. Da Ferrara a destinazione ci sono circa 70 chilometri: una bazzecola, considerato che il terreno è tutto piatto come una frettata di cipolle. Il giorno successivo, si potrebbe compiere un ampio giro lungo le stradine deserte che costeggiano i vari bracci del Po che arriva al mare: Po di Venezia, Po di Maistra, Po di Pila, Sacca degli Scardovari, Po di Goro, Bocca Sette. Dei luoghi incantati, immersi della meraviglia del Parco Regionale del Delta. In alternativa si può fare un’escursione in barca, seguendo i meandri disegnati dalle acque che arrivano al mare. L’altra volta che siamo stati da queste parti, abbiamo pernottato in località Gorino Sullam, nei pressi di Taglio di Po. Una sorta di ostello immerso nel verde e a ridosso dell’argine del fiume. Si mangia, si beve e si dorme con pochi euri. E l’accoglienza di Stefania è fantastica. Domenica mattina poi si riparte per Ferrara, e quindi casa.
Qui di seguito alcuni brani tratti dal racconto Là dove finisce il grande fiume, contenuto nel libro Sulle orme di Francesco:

Era da molto tempo che desideravo andare a vedere il Delta del Po. Avevo letto molto su quelle terre in cui fiume e mare si uniscono in molteplici abbracci. Mi ero anche informato su possibili punti d’appoggio ed itinerari da percorrere, ma non avevo mai concretizzato questo viaggio. Un giorno, inaspettatamente trovai sulla posta elettronica una e-mail di Pietro, uno dei compagni d’avventura dell’ultimo Capodanno a Lubiana, in cui si proponeva un fine settimana in una località nei pressi di Porto Tolle, estrema propaggine delle terre emerse […]. Ripartimmo alla volta di Codigoro: la giornata era magnifica. Da diversi chilometri osservavamo fino all’orizzonte un paesaggio straordinariamente piatto: sembrava di muoversi su un tavolo da biliardo, interrotto di tanto in tanto da un corso d’acqua. Ci trovavamo infatti a percorrere l’ultimo lembo dell’immensa pianura alluvionale, modellata, spianata nel corso dei secoli dalle acque del Grande Fiume […]. Ci rimettemmo in viaggio e dopo esserci quasi persi trovammo finalmente un’indicazione per Gorino. Lateralmente alla nostra strada correva l’argine del Po di Goro, uno dei tanti bracci del fiume che arrivano a mare. Il paesino era piccolissimo e poco distante dalla piazza della chiesa si intravedeva il porticciolo. Lasciammo l’automobile e ci incamminammo in quella direzione. Davanti a noi si aprì un’ampia darsena con centinaia di piccoli pescherecci ormeggiati. All’ancora sul fiume vi era La Freccia del Po di Goro, una piccola imbarcazione da turismo. Sparse qua e là alcune barche a motore. Il luogo era praticamente deserto: c’era solo un anziano signore accompagnato da un cane irrequieto e un paio di turisti. Ci avvicinammo alla riva: l’aria profumava di mare, ma anche di fiume. In questo punto, così come in altri lungo il delta, il Po finiva la sua lunga corsa, abbracciandosi con le acque dell’Adriatico. Il sole stava lentamente tramontando ed una luce calda colorava d’oro e di rosso tutto il paesaggio […]. Costeggiammo il fiume, che in quel tratto appariva ampio e tumultuoso, e raggiungemmo le sponde della Sacca degli Scardovari. Davanti a noi si apriva una laguna salmastra dai confini lontanissimi ed indefiniti, poco profonda e pescosissima. Vegetazione selvatica e canneti alti e sparsi facevano da corona alla riva, offrendo ampio riparo ai tanti uccelli acquatici della zona. Alcuni ruderi di casolari abbandonati da tempo immemore si elevavano al centro della laguna: segno incancellabile della continua e disperata lotta dell’uomo contro la natura. Seguendo il profilo della costa si stagliavano numerose palafitte e strutture di supporto alla pesca. Pietro ci illustrò brevemente la storia di quei luoghi, soffermandosi soprattutto sul business della raccolta dei mitili, decollata negli ultimi decenni. Il tempo stava rapidamente cambiando: quando fece buio si levò un vento teso, freddo e carico d’umidità. Riparammo in tutta fretta all’ostello […]. Il ritorno avvenne sotto un cielo di piombo, sferzati da un vento freddo. Costeggiando il fiume giungemmo a Santa Giulia, il borgo che Pietro frequentava da bambino. A sentire il nostro amico un tempo qui vi erano molti abitanti e ancor più bambini. Ora il paese invece appariva deserto, come deserte ci erano apparse tutte le terre del Delta viste fino ad allora. Pietro ci mostrò la parrocchia e l’oratorio, frequentati per anni; e poi il parco giochi, dove ci lasciammo andare come bimbi, salendo sulle altalene e dondolandoci sui cavallucci. Tornammo al ponte di barche: il fiume si era ingrossato ed era davvero inquietante pensare che, al di sotto del suo livello, vi erano tutti i paesini che avevano visto durante il nostro giro. Pietro ammirava quella massa tumultuosa d’acqua grigiastra e ripensava ai tempi in cui era bambino: «Per noi il fiume era tutto, era parte della nostra esistenza in ogni momento. Era il grande dispensatore di ricchezza - con le sue piene che fertilizzavano i campi - e di calamità, quando decideva che non gli bastava fare solo un po’ di scena. Per noi era normale trovare pesci nei fossi, fino a dieci chilometri dal fiume. Il fiume era l’unica ricchezza che avevamo da queste parti. Per noi bambini poi era un vero divertimento: tutti i giorni e tutto l’anno andavamo a fare il bagno, anche se sapevamo che poteva essere pericoloso». A Pietro luccicavano gli occhi mentre mi raccontava la sua infanzia: gli altri amici non se ne accorsero […]. Tirando le somme del viaggio mi trovavo a riflettere sul fatto che il Delta del Po era davvero un luogo incredibile, completamente diverso da ogni altro visto fino ad allora: terra e acqua avvinghiate da sempre in un abbraccio lunghissimo e sinuoso; una terra selvaggia in continuo mutamento, soggetta ai desideri del fiume; un luogo così denso di storia e di tradizione eppure lasciato quasi all’abbandono. No, quei tre giorni non mi erano bastati: non erano stati sufficienti per vivere pienamente quella realtà. A breve sarei tornato: questa era l’unica certezza. E solo allora avrei scoperto se la terra del Grande Fiume era ancora quella vista in quei bellissimi giorni di marzo.

giovedì 1 agosto 2013

Dimmi come cammini e ti dirò chi sei

L’altro giorno leggevo un articolo il cui titolo mi è parso interessante: “Ricerca: sistema per riconoscere persone dalla camminata”. Ho pensato subito ad una qualche analisi comportamentale, ad uno studio che, attraverso il modo in cui un individuo si muove, fosse in grado di gettare luce sulla personalità di una persona, sul suo carattere e dunque sulle inclinazioni, preferenze, modo di vedere ed affrontare la vita. In realtà la notizia era tutt’altra e la finalità della ricerca non ha alcunché di antropologico. Si tratta in sostanza di un sistema computerizzato, con tecnica biometrica, in grado di riconoscere la camminata di una persona al fine dell’identificazione delle generalità: l’applicazione (assai vantaggioso - dicono i ricercatori - dal momento che il riconoscimento può essere fatto in remoto e non richiede la cooperazione del soggetto) si esplica ovviamente nel campo della sicurezza, consentendo di rilevare comportamenti sospetti (videosorveglianza), controllare l’accesso agli edifici o alle aree riservate e permette analisi demografiche di una popolazione in termini di genere e di età.
Bello, bravi: complimenti. E se invece mi piacesse avere qualche informazione sul modo di camminare delle persone, tale che si possano delineare i caratteri salienti della personalità? C’è qualcosa di questo genere in giro? Mah...! C’è chi cammina a passo lento e con lo sguardo basso come se stesse portando un macigno sulle spalle; chi procede ben eretto e con lo sguardo proiettato sicuro davanti a se al pari di un Grande di Spagna; c’è poi la cosiddetta camminata pelvica, ovvero quella del tipo con le mani eternamente nelle tasche dei calzoni e a “cui fumano i marroni”…; c’è il lottatore che si muove come se dovesse da un momento all’altro sparare un calcio rotante alla Chuck Norris; e c’è ancora il soggetto vittima della “sindrome Fantozzi”, ovvero colui che trattiene il respiro a più non posso, pur di tirare dentro il ventrone da malato di fegato (con asfissia assicurata); e quelli che camminano con un’andatura tipo gibbone di Sumatra, con le braccia penzoloni e il culo raso terra. Chissà che personalità si nasconde dietro ad ognuno di costoro? Per non parlare dell’andatura delle donne: ancheggiamenti vari, anche su trampoli vertiginosi, con rischio di cadute agghiaccianti; andature altere, al limite dello sprezzante (stile Regina Vittoria); sfilate di moda rapide, veloci ed eleganti; e poi ci sono quelle sempre di fretta, eternamente in lotta con borsette e t-shirt varie che non vogliono stare al loro posto. Mai. Si può capire tante cose da come cammina una persona. Se non altro che tipo di rapporto ha con se stessa e con il mondo che la circonda. Idem circa il proprio stato d’animo. Mio nonno, ad esempio, quando tornava dalla partitella a carte con gli amici aveva due sole andature: testa bassa ed espressione funerea voleva dire che era stato ripulito (il che accadeva assai di frequente); saltellante, fischiettante e con alcune monete a tintinnare nella mano destra, significava che aveva vinto qualche mano. Cristallino…!
Che poi a me è sempre piaciuto osservare le persone che camminano, ci trovo qualcosa di estremamente fascinoso e divertente nel modo di incedere di ognuno di noi. È come assistere al marchio di fabbrica. Una volta, durante un trekking in Bretagna, nelle lunghe ore di cammino sui sentieri costieri, osservai attentamente uno per uno i miei compagni di viaggio: ognuno aveva il proprio stile, le proprie sicurezze e incertezze, le proprie cadenze, gestualità, il proprio modo di osservare il mondo. Uno spettacolo nello spettacolo. Bukowski diceva: “L’umanità è il più grande spettacolo del mondo: e non si paga il biglietto”. E così, al termine del nostro viaggio, seduti in un ristorante nei pressi del porto di Brest, decisi di fare l’imitazione di ognuno di loro. Fu un momento esilarante.
Un’altra volta mi recai a far visita ad un amico ricoverato presso un ospedale di Milano per l’asportazione di una cisti anale. Il poveretto, operato la sera prima, già poteva alzarsi dal letto anche se non era padrone al cento per cento della sua andatura. Ondeggiava claudicando, come se avesse una trota salmonata nella parte posteriore delle mutande. Lo presi sottobraccio per fare due passi, e quasi non accorgendomene, cominciai a camminare come lui: due perfetti pagliacci agli occhi dei presenti. Ed infatti le risate si buttavano via. Se la prese non poco, e solo per riguardo alla nostra vecchia amicizia, non mi cacciò via a badilate sulla schiena.
Un’altra volta avevo appuntamento con degli amici a Piazzale Loreto a Milano. In metropolitana vidi un tipo molto strano, abbigliato in maniera assai originale: basco rosso di traverso (nonostante fosse estate), palettò vecchio e sdrucito in più punti, cartella scolastica stile anni ’70 di traverso, mazzo di fiori ribaltato a testa in giù e tenuto con la mano destra. Camminava fissando i passanti e saltellando: chiaramente mi misi sulle sue tracce. Il tizio faceva la mia stessa strada e ad un tratto si fermò dietro un angolo di palazzo e cominciò a spiare verso la piazza. Io dietro di lui. Poi all’improvviso saltò fuori e si diresse verso i miei amici. E già qui la sorpresa fu incredibile. Quando lo vidi consegnare i fiori alla mia cara amica Ester, e baciarla per giunta, rimasi quasi tramortito. Sapevo di una sua relazione con un ragazzo, ma mai avrei immaginato che si trattasse proprio di quel tipo là…!
E i miei amici? Come camminano loro? Lorenzo ha il passo del maratoneta stanco: per lui l’importante è arrivare. Quanto ci voglia non ha importanza. Dominique invece ha un incedere deciso, sicuro di se, a tratti nervoso e impaziente di raggiungere il suo scopo. Salvo quando va per montagne: in quel caso caccia le mani in tasca, mette su gli occhiali da sole e si gode la passeggiata. Come fosse sul corso di Cariati in Calabria, la sua antica terra. Alfio invece cammina guardandosi intorno, come a cercare sempre qualcosa d’interessante da fare. Alessandra invece non ama moltissimo camminare. O meglio preferisce andare in bicicletta: se potessi raffigurarla in termini mitologici, azzarderei un paragone con i centauri: metà donna, metà bicicletta. Simona al contrario ama passeggiare, e le sue belle forme, ancheggiando leggermente, disegnano volute aggraziate come onde del mare. C’è poi Robertino, che avanza con la stessa leggiadria de “la Cosa”, il personaggio dei Fantastici Quattro. Enrico invece corre sempre, anche se non ha un bel niente da fare. E quando lo si costringe a rallentare, in automatico mette le mani dietro la schiena, come un vecchio rimminchionito. Giovanna avanza lenta, cadenzando i passi al ritmo placido e pacato delle sue parole; Davide invece cammina con un incedere marziale, come un militare in missione: svelto ed efficace; Laura avanza veloce e sorridente, in sintonia con il suo carattere aperto e spontaneo; Elena si muove con circospezione, silenziosa e guardinga, tipo un agente del Mossad nel suk di Teheran; Salvo passeggia con lentezza e charme da lord inglese.
E mi fermo qui, scusandomi per non aver citato tutti. Ed io? Che tipo di camminata ho io? Ecco il ritratto fatto da un’amica sul mio modo di camminare:
Il mio compagno di viaggio è pigro e indolente: si guarda intorno con aria curiosa, il sorriso sornione di chi non si prende mai troppo sul serio. Figlio di terre ospitali e generose, porta con se un pezzetto di quel mondo. Cammina per strada col suo passo lento anche quando è di fretta. Lui vorrebbe cambiare vita. Lui vorrebbe cambiare nome. Il sorriso è beffardo, i suoi modi gentili e un po’ antichi; è un timido cavaliere d’altri tempi. Di lui so che ha viaggiato in posti un po’ strani, che ha toccato e respirato ogni più piccola parte dei luoghi visitati e ne ha donato una parte a tutti noi attraverso i suoi libri. Credo sia una bella persona, un potenziale buon amico. Di certo è un ottimo compagno di viaggio.
E scusate se è poco…!