Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

sabato 29 settembre 2012

La piazza più bella d'Italia per gli stranieri? Piazza delle Erbe a Verona

Questo è quello che emerge da una ricerca condotta dalla Fondazione Marilena Ferrari su cento testate estere e ripresa oggi dal Corriere della Sera. «La più sbalorditiva d'Italia, il vero cuore pulsante della città scaligera e il luogo ideale per manifestazioni che attirano visitatori da tutto il mondo» (The Guardian). leggi l’articolo del Corriere
Al secondo posto si classifica Piazza Sordello a Mantova, mentre al terzo si attesta Piazza Santo Stefano a Bologna. Mancano a sorpresa dalle prime dieci posizioni le piazze più famose d'Italia, come ad esempio Piazza San Pietro a Roma o Piazza San Marco a Venezia. A quanto pare agli stranieri i luoghi troppo affollati non piaciono alla follia. Ecco il resto della classifica: 4° Piazza Santa Maria Maggiore (RM); 5° Piazza Grande (Gubbio); 6° Piazza del Plebiscito (NA); 7° Piazza Pretoria (PA); 8° Piazza della Signoria (FI); 9° Piazza dei Miracoli (PI); Piazza San Nicola (BA). P.S. In realtà oggi il blog voleva parlarvi del "Raduno Universale dei Pigri" che si tiene a Ferrara in questi giorni. Ci sembrava un buon argomento di discussione in quest'epoca di corsa nevrotica e spasmodica verso l'efficienza, il dinamismo, l'occupazione di ogni spazio e secondo della nostra vita. Eravamo già pronti a parlarvi di Goncarov e del suo intramontabile "Oblomov", di Bertrand Russel e del suo "Elogio dell'ozio", del "Grande Lebowski" dei fratelli Coen... etc...etc...! Ed avevamo anche una chiosa meravigliosa, sebbene un tantinello volgarotta: "Bisogna mettersi in testa che ci deve essere anche il tempo per rompersi i coglioni". Ma poi approfondendo l'argomento ci siamo imbattuti in questo lancio Ansa: "Enzo Iacchetti sarà Pigro dell'Anno, con tanto di 'laurea' e Pigiama della Citta', al Raduno Universale dei Pigri a Ferrara (29 e 30 settembre). 'Pigroland', specie di parco a tema del comico Gianni Fantoni e di Ferrara Off, promette piccole installazioni, menu' senza coltello (si fatica troppo) e il Kit del Pigro, che comprende il cartello 'non disturbare' da appendere alla porta. Qui il Manifesto dei Pigri appoggia il diritto all'Ozio e alla Pigrizia nell'Epoca Moderna". E a quel punto abbiamo deciso di soprassedere...!

venerdì 28 settembre 2012

Ma esistono ancora le mezze stagioni?

Bah, e chi può dirlo. Sta di fatto che ormai, entrati ufficialmente in autunno, si sono riproposte le immancabili influenzine, associate a mal di gola, febbriciattole, sciropponi, supposte e tutto il resto. La settimana scorsa ero in treno e ascoltavo la conversazione di due tipi di mezz’età. Il primo aveva la voce come il Gabibbo e diceva all’altro: «Se domani è ancora bello, metto su il gilet…!». «Ma come il gilet, di già?» - rispondeva l’altro. «Sì, sì lo metto e basta: ormai ho deciso».
Se il tipo ha dato seguito al suo proposito, oggi gli sarà venuta una sincope! La cosa che però mi ha colpito non è tanto il risvolto meteorologico della conversazione, quanto il fatto che i due, che peraltro viaggiano sempre e soltanto in coppia, abbiano affrontato l’argomento gilet con dialettica quasi filosofica, come se si trattasse di una faccenda capitale, come il ciclo delle stagioni, come il nascere e il morire. Alla vacuità della materia si contrapponeva la pienezza del ragionamento. Per un attimo mi sono visto davanti queste due persone dapprima giovanissime e poi di colpo incanutite, sempre lì, sempre sedute sullo stesso sedile del terzo vagone del treno, sempre lì a discutere tra loro se fosse il caso o no di mettere su il gilet il giorno dopo. Mi è sovvenuta un po’ di malinconia e dunque, fischiettando per rianimarmi, sono tornato a casa e ho messo nel sacco per i poveri i due gilet che avevo nell’armadio e che contavo di mettere magari un po’ più in là. Credo seriamente che non ne acquisterò più per il resto della mia vita. Aggiornamento: il tizio del treno ha rotto definitivamente gli indugi, stamane indossava uno splendido gilet trapuntato sopra una camicia di cotone. Vedendolo in difficoltà gli ho chiesto: «Ma non hai freddo?» «No - ha risposto battendo i denti con un curioso rumore di nacchere catalane - , superati i primi delicati momenti della giornata… poi va bene». Intanto che parlava metà faccia gli stava diventando blu tenebra…! A quel punto mi sono fatto i fatti miei e buona.

giovedì 27 settembre 2012

Sbadiglia? Hurrà...

Carissimi, oggi il blog si sentiva un po' frivolo, leggero e dunque è andato a caccia di notiziole sfiziose..., anzi diciamo pure inutili...! La nostra attenzione dapprima è stata attirata da un articolo sugli alieni, nel quale si sosteneva che Usa e GB sono al corrente di tutto (e cioè che i "visitors" sono qui tra noi da illo tempore...!). In effetti basta accendere la televisione e guardare i programmi di approfondimento politico per non avere più dubbi. Lo stesso articolo, per fornire un po' di "ciccia" alla materia, sosteneva che Ronald Regan decise di abbandonare la brillante carriera di attore holliwoodiano per dedicarsi alla politica dopo un incontro ravvicinato del terzo tipo con un alieno verde, con la testa a forma di tegame Lagostena, alto tre metri e con dodici mani. Voi direte che sono pazzo a credere a queste cose.
E invece no: sono sicurissimo che questa è la sacrosanta verità. Così come sono certo che corrisponda al vero il fatto che il nostro amico Leo fu rapito da una navicella a forma di wuster nelle campagne intorno a Monteriggioni. Ad ogni modo non è di questo che volevo parlarvi. La ricerca che vi sottopongo quest'oggi tratta del rapporto uomo-donna. E qui già sento che la vostra attenzione cresce. La Conferenza Internazionale sullo Sbadiglio che si è tenuta quest'anno a Parigi è giunta alla conclusione che lo sbadiglio può verosimilmente essere sintomo di eccitazione sessuale. Pensate..., riflettete su quante volte di fronte a voi c'era qualcuno/a che alle vostre tante e sconclusionate parole - tese soltanto a quella cosa là..., siamo onesti una volta tanto - esplodeva in uno o più sbadigli spaventevoli. E voi subito pronti ad arrendervi sconfitti. Sciocchi..., ecco cosa siete. Bisognava insistere, non darsi per vinti...! Se non altro fino a che la persona che vi stava davanti non crollava miseramente al tappeto con la bocca spalancata. Non mi credete? E allora leggete quanto segue: Se sbadiglia è segno che gli piaci

mercoledì 26 settembre 2012

Oddio..., calano i consumi.

Il Centro Studi di Confcommercio ha stimato che negli ultimi quattro anni (2008-2012) il reddito disponibile delle famiglie italiane è calato in media di 5.000 euro. Sul mese pare che ogni famiglia abbia ridotto le spese di circa 230 euro. Un dramma spaventevole - a dar retta agli esperti - che non trova riscontro se non nel periodo subito successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Giuseppe De Rita, presidente del Censis, intervistato da Repubblica afferma che il calo dei consumi che si registra in Italia, oltre ad avere una spiegazione nella minor disponibilità economica, risiede anche nel fatto che “desideriamo di meno”. E De Rita associa a quest’ultimo fattore un pericolo ancora maggiore del precedente, dal momento che “la caduta del desiderio rende antropologicamente povera una popolazione, perché spezza il rapporto che c’è fra il desiderio stesso e la legge destinata a trattenerlo. Se non c’è più desiderio […] le personalità si fanno più fragili, manca la spinta, predomina l’inconsistenza”. (La Repubblica, 26 settembre 2012, pag. 33).
Per dirla tutta, leggendo l’intervista mi ero convinto - almeno fino ad un certo punto - che De Rita stesse sostenendo che in fondo il fatto che un popolo desideri meno cose (soprattutto voluttuarie, occorre dirlo, visto che i cali di vendite riguardano soprattutto il beni durevoli) non fosse una cosa del tutto negativa. Che ci fosse una sorta di ritorno alla morigeratezza dei consumi, all’etica del risparmio consapevole, alla riscoperta di altri valori. E invece, terminando l’interista, De Rita sostiene che questo calo del desiderio è una specie di tragedia (“per la storia di un popolo tutto questo è tragico”). Come chiosa mi verrebbe da aggiungere: «Alla faccia di Diogene che, passeggiando per il mercato di Atene, diceva: “Oh guarda guarda, quante cose di cui non ho bisogno (πόσα πράγματα που δεν χρειάζεται)”». Senza voler scomodare i guru della “decrescita” - né le recenti statistiche che ci raccontano di quanto il mal di vivere e il numero maggiore di suicidi si registrino nei paesi più opulenti e sviluppati - ritengo invece che tutti i mali non vengano per nuocere: occorre rendersi conto che i modelli di sviluppo esistono solo in matematica, non in natura. La produttività, i consumi, questo volano impazzito sul quale ci siamo seduti da decenni, convinti che avremmo avuto sempre di più, sempre più benessere, sempre più felicità, era ovvio che dovessero ad un certo punto rallentare. Ci siamo fatti travolgere da tutto questo, senza quasi rendercene conto. Ed ora siamo qui a tirare le somme, e a disperarci. Bisognerebbe cominciare a ragionare sul fatto che, per esempio, non è indispensabile per forza avere l’auto nuova ogni tre anni, né che la casa dev’essere di proprietà o niente, né tanto meno che è indispensabile mandare il figlio all’università (sempre le statistiche ci dicono che ci sono più avvocati a Roma che in tutta la Francia: abbiamo bisogno ancora di sfornare migliaia di laureati in legge ogni anno?). Vedremo quel che ci riserva il futuro. L’importante a mio avviso è cercare di sfruttare questa situazione per riscoprire il gusto dell’essenziale, la gioia dell’attesa, la conquista guadagnata un passo per volta. Basta con il “tutto e subito”: non ce lo possiamo più permettere. E oltretutto non da neanche la felicità. Vi lascio con un piccolo aneddoto personale. L’altro giorno all’Iper mi sono soffermato ad osservare un uomo anziano, anzi per dirla tutta, piuttosto vecchio e mal ridotto: la schiena incurvata, il passo lento e malcerto, lo sguardo spaesato, frastornato. Si aggirava stancamente tra i banchi dei dolciumi. Guardandolo mi è venuto in mente che mio nonno diceva spesso di avere la bocca amara e per questa ragione - orrore a dirsi - zuccherava perfino il vino. Ebbene questo vecchio ad un certo punto si è fermato davanti ad uno scaffale di biscotti al cioccolato, dopo lunga osservazione ne ha preso una scatola e l’ha messa nel suo carrello semivuoto. Ma fatti appena due passi si è fermato, ha messo mano al portafogli, che custodiva nella tasca posteriore dei pantaloni grigi, e aprendolo vi ha guardato dentro come se scrutasse il buio cupo dell’abisso oceanico. E’ rimasto immobile qualche istante, inespressivo. A quel punto ha fatto un gesto appena percettibile col capo e, serrando leggermente le labbra, l’ha riposto nella tasca. Dopo di che è tornato sui suoi passi - il capo ancora più sprofondato sul petto - e ha ricollocato la scatola dei biscotti al suo posto. Sul momento, osservando la scena, mi è venuto da sorridere: un sorriso empatico, s’intende. Poi però mi sono quasi fatto travolgere dal piccolo dramma a cui avevo assistito e per un momento ho pensato di offrirmi di regalarglieli io quei fottiti “costosissimi” biscotti. Sarebbe stato un bel gesto per il mio amor proprio, chissà come mi sarei sentito orgoglioso una volta detto: “Si figuri, l’ho fatto con grande piacere…”. E il vecchio poi - ho pensato - come si sarebbe sentito? A parti invertite come l’avrei presa io? Sicuramente non bene. A quel punto ho desistito e, dirigendomi verso la corsia dei latticini e insaccati, ho lasciato uscire quella sagoma tremolante dalla mia vista e dalla mia vita. Oltretutto - ho pensato - chi me lo diceva che aprendo il mio di portafogli non vi avrei trovato un abisso più abisso di quello visto dal vecchio…? No, lasciamo perdere: meglio riservare queste emozioni forti per gli anni “azzurri” a venire.

martedì 25 settembre 2012

I soldi non fanno la felicità

Almeno questa è la conclusione a cui giunge lo studio condotto dal Department of Housing and Urban Development degli Stati Uniti. A quanto pare i fattori che incidono maggiormente sullo stato di benessere e sulla percezione della felicità sarebbero quelli legati all'ambiente in cui viviamo, sia dal punto di vista naturalistico, sia per quanto riguarda il contesto sociologico. In effetti chi potrebbe contestare il fatto che sia meglio vivere in una zona centrale di una città medio-grande - a misura d'uomo verrebbe da dire - piuttosto che in una periferia degradata di una grande megalopoli. In altre parole se uno è ricco quanto basta, ma vive in un posto squallido, tipo Scampia, è meno "felice" di un povero in canna che vive a Sperlonga. Che poi verrebbe da chiedersi, ma se uno è ricco perché mai dovrebbe vivere in un posto orrendo...! Va beh, limitiamoci alla teoria...! Oggi Repubblica dedica un ampio articolo - a firma di Irma D'Aria - sull'argomento. «QUANTO incide sulla felicità e il benessere individuale il posto in cui viviamo? Secondo un recente studio, che sarà pubblicato domani su Science, stare in un quartiere piuttosto che un altro può fare la differenza non solo in termini di "soddisfazione residenziale", ma anche per la nostra salute e la percezione della felicità [continua a leggere l’articolo].

lunedì 24 settembre 2012

Torniamo al Medioevo

Qualche tempo fa sono stato a Lodi alla presentazione del libro "Il Ribelle" di Massimo Fini. Fu una bella serata, trascorsa ascoltando discorsi e argomentazioni, mi verrebbe da dire, "sullo stato dell'Umanità". Il tema dell'incontro era "I sette peccati capitali". Ricordo che ad un certo momento tra il pubblico si alzò un signore di mezza età che, impugnando il microfono, fece una domanda lunghissima, articolatissima, con un'infinità di subordinate e premesse. Un minestrone indigesto e indigeribile. Gli altri spettatori a metà intervento cominciarono a mormorare colmi di livore e disapprovazione. Fini, dopo che questi ebbe finito, si passò la mano sul volto, come a togliere stanchezza, e con un filo di voce disse: «Come direbbe Fantozzi..., non ho capito la domanda».
Ci fu uno scoppio di riso spontaneo nella platea. Se c'è un autore che ha avuto influenza sulla mia formazione, sul mio modo di pensare, di vedere la vita questi è proprio Massimo Fini. E' un uomo controcorrente, fuori dagli schemi, un "cane sciolto", come ama egli stesso definirsi. Cosa che non dovrebbe essere un handicap per un giornalista, ma anzi un valore aggiunto. In fin dei conti compito degli intellettuali è proprio quello di far ragionare, di offrire nuove chiavi di lettura, di fornire spunti di riflessione. Non quello di intruppare le menti verso schemi univoci e totalizzanti. Due suoi saggi, per esempio, riabilitano completamente le figure di Nerone e Catilina, personaggi storici demonizzati da sempre. E tra i suoi ultimi libri c’è anche la biografia del Mullah Omar, che ha suscitato grandi critiche da parte dei “benpensanti”. Le sue pagine hanno una tale potenza logica, argomentativa e di buon senso aggiungerei, che difficilmente ci si trova in contrasto con quanto afferma. Almeno questo è ciò che accade a me quando leggo un suo articolo. Eppure questo giornalista non è amato né dalle grandi testate, né dalla televisione. L'unico che lo invitava in trasmissione di tanto in tanto era il compianto Gianfranco Funari. Massimo Fini da anni, dal lontanissimo '87 ("La ragione aveva torto?") ci avverte di quanto questo nostro modo di vivere sia destinato all'autodistruzione, all'annientamento delle nostre identità, all'anomia. E in ogni articolo vi si legge costantemente di quanto la saggezza, la dignità, l’onestà che allignava nei nostri antenati, ahimè, ci stia abbandonando. Sabato scorso su “Il Fatto Quotidiano” è apparso un suo articolo che condensa e riassume tutta la sua visione del mondo. Eccolo a voi, buona lettura. «Nel Medioevo la Chiesa, attraverso le elaborazioni concettuali della Scolastica (Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, Raymond de Pennafort, Enrico di Langstein, Buridano, Nicola Oresme, Duns Scoto), condusse una lunga, generosa, e per molto tempo vittoriosa, battaglia non solo contro l’usura ma anche, cosa che oggi si tende a dimenticare, contro l’interesse. E con argomenti più sottili e sofisticati di quelli di Aristotele che sosteneva che il denaro, essendo sterile, non può produrre altro denaro [...continua a leggere l’articolo]

domenica 23 settembre 2012

Tragedia sul Manaslu

Oggi purtroppo il blog è costretto a dare una brutta notizia. Nella notte tra sabato e domenica una valanga ha travolto e ucciso almeno tredici persone, impegnate in una spedizione himalayana per la conquista del Manaslu (8163 mt.). Tra di esse c'è anche Alberto Magliano, noto per essere stato il primo alpinista non professionista (e il secondo italiano dopo Reinhold Messner) ad aver conquistato le «Seven summits», le vette più alte di ogni continente. Assisteremo a breve, su tutti i mezzi d'informazione, al solito ritornello che sempre accompagna queste tragedie: sentiremo parlare di "montagna assassina", dell'opportunità o meno di consentire tali imprese, del perché di debba mettere a rischio la propria vita in alta quota ed altro ancora. Ormai abbiamo fatto l'abitudine a questi tipi di banalità. Chi ama la montagna conosce le risposte a tutte queste obiezioni, sa i rischi che si corrono, anche soltanto affrontando un sentiero. E sa anche che la bellezza della montagna attrae con forza irresistibile, è quasi una malattia la cui unica cura è non opporvisi. Ma chi non ha mai provato sensazioni d'alta quota non riuscirà mai a capire quanto davvero "il gioco valga la candela". Alberto Magliano scrive nel suo blog: «Ai tanti che in questi anni mi hanno chiesto cosa rappresenti la montagna per me ho sempre risposto che è, innanzitutto, il luogo della mia libertà. Libertà da tutto ciò che ci vincola, ci impedisce, ci limita, vorrei dire ci trattiene in basso. L’alpinismo così interpretato diventa una straordinaria attività di vita, molto più di uno sport, ma nulla a che vedere con un lavoro: un modo di vivere, forse addirittura una visione del mondo. Le migliori tra le guide alpine che conosco non riescono a vivere la loro professione come un mestiere: la vedono come la proiezione adulta di un’attività ludica, iniziata da ragazzi e miracolosamente trasformata in un lavoro di alta responsabilità». L'unica consolazione pensando alle vettime è considerare che sono morte facendo ciò che più amavano. leggi la notizia su Repubblica.it

sabato 22 settembre 2012

Ammazza che magone...

Carissimi, l'altro giorno ho avuto uno scambio di mail con un amico che da poco ha lasciato Milano e si è trasferito a Roma. Per molti anni della sua gioventù ha vissuto nella Capitale e poi per ragioni di lavoro si è trasferito al nord, nella tetra Pianura Padana. Ora finalmente, sistemate le faccende mondane, si è ritirato a Roma, vicino oltretutto ai suoi affetti familiari. E in questi primi giorni d'assestamento, vedete quant'è strano l'animo umano, gli è sovvenuto uno forte struggimento nostalgico per Milano...! Da non credere... Salvo: «Bello 'sto newblog, m'è garbato assai:-) E m'è piaciuta la vostra pedalata sull'Adda, percorso che ho fatto a piedi un paio d'anni fa quando ero milanese, e che avrei volentieri bissato con voi, grigliata compresa: "E a quel pensiero a Salvo ci scappò una lacrimuccia; ah, el mè Milàn, i mè amis.. ah, la Madùnina..."». Yanez: «La nebia, el panettun..., el Motta...! El sciur colega, El barbun...! El magun..., ammazza che magone...!». Salvo: «Hi hi, m'hai fatto ridere di gusto! E' che la vita è strana... Quand'ero "milanese" ogni tanto pensavo a quella bellissima battuta di Sordi e qualche volta mi ci immedesimavo pure, mentre adesso che sono "romano" mi sorprendo a canticchiare "oh mia bèla madùnina..." Quant'è ondivago l'animo umano! (o sarò io? boh)». guardia guardia scelta brigadiere e maresciallo

venerdì 21 settembre 2012

La via del lupo

Su "Il Venerdì di Repubblica" oggi in edicola c'è un bellissimo articolo su un libro da poco pubblicato per Laterza: "La via del lupo - Nella natura selvaggia dall'Appennino alle Alpi". La tesi di fondo che emerge è che, grazie al boom economico e allo spopolamento di ampie fasce montuose della nostra penisola, il lupo è finalmente tornato a farsi vivo, dai Sibillini alle Alpi Occidentali. Ad una notizia cattiva si affianca una buona. Dio cosa darei per vedere un lupo in libertà...! Per ora mi accontento di aver visto solo impronte ed escrementi. Certo non è molto, ma è pur sempre qualcosa. Marco Albino Ferrari è l'autore del libro. Di Ferrari ho letto un paio d'anni fa "Freney 1961", la storia della tragedia consumata per la conquista del Pilone Centrale del Monte Bianco. Davvero un ottimo libro, un grande scrittore capace di coinvolgere e renderti partecipe di ciò che scrive. Buona lettura. La via del lupo

giovedì 20 settembre 2012

Lavorare male

Buongiorno a tutti…! Oggi apriamo il blog con un pezzo molto completo del mitico Maurizio Milani, il cui motto nella vita è: "l'importante è lavorare male".
Eccolo a voi in tutta la sua grandezza d’artista: Come ragazzone sono molto maleducato, per cui ben difficilmente trattengo l’aria che si forma nel processo metabolico. Anche adesso che mi hanno messo in ufficio può capitare che mi pavoneggi in rutti di pregevole fattura tali da distogliere dal lavoro decine di contabili. Il titolare sentendo la “saetta di bocca” mi fa: «Ma lei a casa sua fa così?». Io: «Dipende, se c’è in casa mio papà no, in quanto gli da fastidio; se invece siamo solo tra noi fratelli lavoro anche con la parte dove finisce la schiena…, ai miei fratellastri non fa né caldo né freddo, basta che non vado a rubare». Ieri sono andato a cena con il nano più alto del mondo (1.78 cm., bell’uomo…). Non avendo argomenti in comune abbiamo parlato della sua altezza. (M.Milani, Vantarsi, bere liquori e illudere la donna). leggi la recensione del suo ultimo libro

martedì 18 settembre 2012

C'è posta per te

Di seguito pubblico la mail che mi ha scritto Salvo un paio di giorni fa
"Caro Luigi, Non ci crederai ma ho recuperato le tue due graditissime cartoline. E pure le lettere del Ministero dei Trasporti che mi recavano i bollini per la patente e per la Carta di Circolazione (a seguito del cambio di residenza). Dove? Nella cassetta della posta di un tale "Asbrubale Ceronetti", che ha la ventura di abitare in una scala B del mio complesso, e di avere la cassetta alla posizione "4" (bada bene, interno 121, solo la posizione della cassetta è "4")!! E' successo che ieri, passando davanti a questo portone, e notando la targa "scala B", m'è venuto l'uzzo di controllare - perchè nella vita non si sa mai - le relative cassette; e per fortuna che 'sto Ceronetti non toglie la posta da un mese (probabilmente ancora non ci abita, o forse è morto...) e così ho potuto estrarre la posta che traboccava fuori dalla fessura...! Immaginati la gioia nel trovare le cartoline! Complimenti alle Poste, e al postino che - visto che quella era la scala B - ha infilato la posta di Gaber nella cassetta di Ceronetti (tanto, che ce frega...)! Viva l'Italia".

La CICLOVIA dell'Adda

Il secondo week-end di settembre Lorenzo ed io decidiamo di percorrere la ciclo-via dell’Adda fino a Lecco. Io comincio a pedalare da Cassano d’Adda, seguendo il Naviglio Martesana, lasciandomi alle spalle chiuse leonardesche, ruote di mulino e dighe artificiali. Dopo circa 25 chilometri incrocio Lorenzo a Paderno d’Adda. Continuiamo assieme fino a Lecco. Il paesaggio è fantastico: la sterrata non si discosta mai dal fiume, e lungo il tragitto attraversiamo paesini incantati, quasi fiabeschi. Da Lecco in poi proseguiamo lungo la statale che costeggia il lago e a Mandello ci fermiamo per uno spuntino. A Varenna incontriamo sulla strada una coppia di mezza età. Sono neozelandesi e a loro dire questi che stiamo visitando sono tra i luoghi più belli del mondo…!
Traghettiamo su Menaggio e qui ci incontriamo con Simona. Ancora qualche chilometro e siamo al Parco di Villa Tramezzo. Bagno nelle acque fredde del lago e relax. Per cena ci fermiamo in ostello: c’è una grigliata che spande profumi di salsicce e costine alla brace inebriante e non si può resistere. Si uniscono a noi Alessandra e due suoi amici. Una coppia di superciclisti che l’estate scorsa hanno percorso gran parte della catena alpina, con bagagli e tenda appresso. La serata finisce ovviamente in faccende alcoliche. Il giorno dopo si parte costeggiando il lago fino a Gravedona. Da qui si sale verso Livo. Una bella salita di circa sette chilometri, a tratti impegnativa. E a seguire, inoltrandoci lungo una sterrata nel bosco, raggiungiamo Crotto Dangri, un luogo ameno tra le montagne, con un piccolo torrente che crea delle pozze d’acqua cristalline. Nel pomeriggio il ritorno, non prima di aver salutato con un brindisi questi bellissimi due giorni.

Il Cammino Franco-Provenzale

Tornato dal mare, appena il tempo di mettere tutto in lavatrice e si riparte. Mi attende un lungo trekking da Aosta alla Val di Susa in Piemonte. Con me ci sono Lorenzo e Simona, oltre ad un gruppo di squinternati superallenati guidati da Maurizio Barbagallo, detto Mouritio. Sono tappe faticose, lunghissime e con dislivelli assai impegnativi. Si parte da quota relativamente basse (1.000 - 1.400 mt.), si valica a quote prossime ai 3.000 e si ridiscende in valle. Alla sera siamo stremati. Si dorme in località assai rinomate, come Pialpetta…! A Usseglio, il terzultimo giorno di trekking siamo accolti nel museo etnografico dove l’associazione “Chambra d’Oc”, ci illustra gli usi, i costumi e la storia delle valli franco-provenzali, dove ancora si parla il “patois”. Insieme all’affascinante Teresa c’è anche Luisa, una poetessa dialettale che ci recita alcune poesie da lei composte.
Non ci si capisce quasi nulla della lingua, ma quel poco che si intuisce ci commuove quasi fino alle lacrime, tanto e tale è lo struggimento per il tempo andato e per il modo di vivere dei vecchi quasi completamente perso. Il giorno successivo con un autobus privato raggiungiamo il sentiero e da qui, seguendo un tracciato lungo e a tratti molto panoramico ed esposto, conquistiamo il rifugio Ca’ d’Asti (2.800 mt.). Trattasi di uno dei luoghi più spartani che abbia mai visto. Non c’è acqua, se non quella raccolta dalle cisterne dell’acqua piovana. La mattina successiva, mentre il termometro segna tre gradi, ci incamminiamo verso la vetta del Rocciamelone. In circa un’ora e mezza siamo sulla sommità, al cospetto di uno spettacolo indescrivibile.
Davanti a noi, da quota 3.538 mt. si squaderna uno spettacolo incredibile: tutta la catena alpina si lascia ammirare nel cielo terso: il Monviso, il Monte Rosa, il Monte Bianco fanno da corona a questa vetta, regalando sensazioni inebrianti. Il gestore del rifugio Ca’ d’Asti è salito con noi in vetta e ha preparato un grosso pentolone con del tè fumigante. E’ un bel gesto ed è apprezzato da tutti. Anche perché quassù fa decisamente freddo, nonostante il sole. Prima di ripartire le doverose foto. Quelle che poi serviranno per vantarsi a casa con parenti e amici.
Sulla via del ritorno adottiamo un tedescone di mezza età che sta compiendo la Gta (Grande Traversata Alpina) in solitaria. Il giorno prima è caduto lungo il sentiero rischiando di sfracellarsi sulle rocce sottostanti. Gli offriamo di scendere a valle con noi. Egli accetta volentieri. A Susa ci saluta. Il nostro viaggio volge al termine. Col treno raggiungiamo Torino e da qui ognuno segue la propria via di casa.

Ferragosto al Pradaccio

Per Ferragosto si torna su al Pradaccio. Convinco Dominique a salire con me e a suonare per i clienti che qui trascorreranno qualche giorno. C’è tantissima gente, alcuni hanno appena concluso un trekking sulle Apuane condotto da Andrea. Altri invece sono giunti per trascorrere solo un paio di giorni in altura. Dopo una magnifica cena ecco la sorpresa: da un paesino qui vicino, dove era in vacanza, si unisce a noi Bianca, la cantante di “Mila-serve-ai-tavoli”, la band musicale in cui suona Dominique. I due, aiutati da Pier, un musicista provetto di jazz, improvvisano un concerto all’aperto. La scena è illuminata da alcune fiaccole al vento e tutto intorno il pubblico ascolta rapito. Terminata l’esibizione Giovannella mi costringe a leggere alcuni brani de “Il Cialtrone”, l’autobiografia che ho scritto da poco.
Scelgo astutamente i pezzi più divertenti e incredibilmente riscuoto un discreto successo. La serata finisce con Gilberto che prende in mano la chitarra e suona (o meglio cerca di suonare) qualche pezzo dei Pink Floid. Uno strazio mai visto, una delle scene più tristi di tutta la mia vita. Il giorno dopo breve escursione su per i monti e poi pranzo di Ferragosto, con tanto di sangria. Nel pomeriggio visita alla così dicono splendida “casa-museo” e poi gran parte del gruppo prende la via di casa. Il giorno successivo Dominique ed io ce ne andiamo verso il mare, a Levanto. L’alluvione dell’autunno scorso ha lasciato frane e voragini lungo la cornice e per giungere al mare c’è da faticare non poco.
A Levanto poi la situazione viabilistica è drammatica. Per parcheggiare siamo costretti ad uscire dall’abitato e salire sulle colline. C’è la fiera in paese e una confusione mai vista. Cena a base di pesce e serata conclusa al fianco di una bottiglia. Al mattino trekking Levanto - Framura. Fa troppo caldo. Tornati alla base col treno bagno rigenerante al mare e preparazione per la serata. Il giorno successivo raggiungiamo in macchina Rio Maggiore, località Biassa, in collina. Da qui, con un bel sentiero all’ombra di folte piante di castagno, giungiamo al mare, dove non abbiamo neanche il tempo di un bagno visto che l’unico autobus di linea che ci può riportare alla macchina è in partenza. Nel tardo pomeriggio siamo sulla via di casa.

Sul Lago di Lugano

Il w-e successivo Lorenzo ed io torniamo sul Lago di Como. Anzi per l’esattezza sul Lago di Lugano, a Porlezza, ospiti di Simona. Dopo un pranzo molto abbondante (Simona è un’ottima cuoca, oltre che un’artista a tutto tondo…) ci avventuriamo verso la montagna, decisi a conquistare la cima che sovrasta il lago. Sono stanco per il trekking appena trascorso, ma non mi riesce di convincere i miei due amici a fermarsi prima della vetta. E così, nel tardo pomeriggio riusciamo ad abbracciare la croce metallica che svetta sulla cima del cucuzzolo. Torniamo a casa che è già buio. Doccia veloce e giù a cena, dove ci portano una quantità di carne alla brace inimmaginabile: a occhio e croce minimo metà bue…! Ci raggiunge finalmente anche Alessandra, ma ormai è fine serata.
Giusto il tempo per bere il bicchiere della staffa. Il giorno dopo saliamo su al rifugio Menaggio da dove si gode di una visuale strepitosa sul punto in cui si diparte il lago di Como dal lago di Lecco. Ancora il tempo di vantarmi con il gestore circa la mia millantata capacità di affrontare la traversata di cresta in invernale e da solo… (Lorenzo e Simona ridono…) e si ridiscende.

L'ALTA VIA dei 2000

A fine giugno parto per San Pellegrino in Alpe, da dove inizierà un trekking lungo l’Appennino tosco-emiliano. Nel gruppo ci sono, a parte la meravigliosa Giovannella, tre personaggi particolari. Andrea la guida li ha definiti “Il buono, il brutto e il cattivo”. Il primo è un buon camminatore di Livorno, di una bontà disarmante; il secondo è un trasvolatore di Bresso, con una barba da “uomo-lupo” e una simpatia paciosa e coinvolgente; il terzo è una delle persone più cattive mai viste in vita mia: dice male di tutto e di tutti, è rancoroso come un nano e sta sempre sul collo dell’Uomo Lupo, angariandolo come una mosca tze-tze.
Partendo dal rifugio Pradaccio giungiamo al rifugio Battisti, gestito dalla bella Mascia, di cui Andrea la guida s’innamora subito (non ricambiato purtroppo). Lungo la via incontriamo un vecchio logorroico che sostiene di essere un grande artista. A me in realtà sembra solo un grande rompicoglioni. Per liberarcene siamo quasi costretti a prenderlo a badilate. La cena è abbondante e succulenta, ma all’Uomo Lupo non basta: “Mascia, non è che per caso c’hai di là in dispensa la Nutella?”. Morale le fa fuori il barattolo. Il giorno dopo, tra scenari che non hanno da invidiare nulla alle Alpi, si sale sul Monte Prado (2.054 mt.) e si ridiscende al rifugio Isera. Da qui in auto si ritorna al Pradaccio, dove nel pomeriggio ci si congeda. Salvo imprevisti…! Infatti giunto alla macchina provo a metterla in moto, ma non parte. Mi ci vorranno due giorni di avventura per riuscire ad averla a disposizione. Poco male, l’ospitalità di Giovannella fa dimenticare ogni preoccupazione.

Rimini mon amour 2012

E come ogni anno arriviamo alla “biciclettata di primavera”. Nel solco della tradizione rinnoviamo l’immancabile appuntamento con Rimini. Questa volta però c’è una novità: Alessandra, Lorenzo ed io decidiamo di raggiungere la località balneare in bici. O meglio in treno-bici. Scendiamo infatti a Cesena e, seguendo la ciclabile, tocchiamo prima la pittoresca Cesenatico, con il suo coloratissimo porto-canale, e poi giungiamo a Rimini. Una bella sgambata di una quarantina di chilometri. Elena ed Alfio scendono in auto, Giovanna in treno. Aperitivo sulla spiaggia con spritz-aperol e a seguire cena a base di pesce. La mattina successiva si parte di gran carriera alla conquista di San Leo. Una lunga marcia d’avvicinamento lungo la ciclabile del Marecchia ci porta all’attacco della salita. Sono circa otto chilometri, con pendenze che si aggirano tra il 6 - 11%, e in alcuni tratti ti lasciano senza fiato. Per di più è ormai mezzogiorno, il sole è alto nel cielo terso e non c’è traccia di vegetazione per riparasi dal caldo. Salendo la rocca medievale in cui fu rinchiuso Cagliostro si fa sempre più prossima.
All’arrivo, nonostante l’orgoglio di essere saliti fin qui, siamo abbastanza stremati e non riusciamo neanche a goderci la bellezza della città fortificata. Breve spuntino e subito giù a tutta velocità, inseguiti dai ruggiti di un temporale in rapido avvicinamento. Nel tardo pomeriggio bagno e relax. A cena si uniscono a noi Vichi e Dominique. Scorrono fiumi di alcool e c’è grande allegria. Poi si passa dal “Bounty”, con musica dal vivo, e si chiude la serata in un pub sulla spiaggia. Siamo tutti abbastanza alticci. Alessandra ed io invece siamo decisamente sbronzi, tanto che non riusciamo quasi più a trovare la via dell’albergo. Io farfuglio parole incomprensibili, tale quale un alcolizzato cronico. La mattina successiva il cielo è coperto, e complice i postumi della sbornia, non c’è molta voglia di faticare sui pedali.
E così decidiamo di fare quattro passi da pensionati per le vie di Rimini. Nel primo pomeriggio si riparte alla volta di casa. Senza peraltro un piccolo inconveniente: Alessandra ci trascina quasi di forza verso un treno regionale per Bologna, senza avvedersi che questi fa il tragitto lungo, vale a dire passando da Ravenna. Morale arriviamo a destinazione con un ritardo mostruoso e perdiamo la coincidenza per Milano. Unica consolazione aver trovato e conosciuto sul treno Dahlya, straordinaria artista di burlesque…!

Il Triangolo Lariano

Ai primi di aprile si decide di andare a fare il Triangolo Lariano. In effetti questo trekking era diventato un tormentone angosciante: ogni volta che si discuteva di possibili mete Robertino, scrutando assorto verso un orizzonte indefinito, saltava su dicendo: “Si potrebbe, vediamo un po’… ecco, si potrebbe andare a fare il Triangolo Lariano… già, proprio quello, partendo da Brunate…”. Seguiva immancabilmente un coro di dissenso. Qualcuno aggiungeva anche un leggiadro: “Piantala cialtrone”. E così quella primavera, finalmente si decide di accontentare il nostro compagno. Lorenzo prenota i posti in rifugio e si pianificano le tappe. Il giorno prima della partenza però Robertino da forfait: ha tosse e raffreddore. Siamo molto delusi: se non sarà dei nostri, continuerà a riproporre il Triangolo Lariano per i prossimi venticinque anni…!
Ci troviamo a Como, siamo in quattro: Alessandra, Salvo, Lorenzo ed io. Sul lungo lago pioviggina purtroppo. Con la funivia saliamo a Brunate e da qui proseguiamo seguendo le indicazioni per il Monte Boletto. C’è nebbia e non si vede neanche uno scorcio di panorama. Arriviamo al rifugio un attimo prima che si aprano le cateratte dal cielo. Fa freddo e a riscaldare l’intero edificio c’è una piccola stufetta sifilitica. Per passare il tempo ci attacchiamo alla fiasca del vino (una tremenda vinaccia…) e divoriamo un salame nostrano. A cena l’unico che riesce ad onorare la cucina di casa è Salvo, sfoggiando una “spazzola” davvero ragguardevole. Nelle camere fa un freddo atroce, ma alla lunga si riesce a prendere sonno. Qualcuno russacchia…, e Salvo commenta: “Che bel concertino…”.
Al mattino il cielo si è rasserenato e riprendiamo la marcia. Presso la Colma di Sormano ci incontriamo con Robertino, l’amico risanato all’improvviso. Risalendo il crinale ci si spalanca una visuale meravigliosa sul ramo del lago di Lecco, con la catena montuosa innevata a fare da sfondo. C’è molto vento, vento freddo. Proseguiamo il cammino, sfiliamo sotto le pendici del Monte San Primo (a qualche chilometro ci sarebbero da vedere le sorgenti del fiume Lambro…) e poi giù verso le sponde del lago. Nel primo pomeriggio siamo a Bellagio. C’è una folla chiassosa di turisti, soprattutto anglosassoni. Diventiamo subito insofferenti. Traghettiamo su Varenna e da qui ognun per se e Dio per tutti. Amen.

Roma caput mundi

La settimana successiva ci trasferiamo a Roma, sempre seguendo le gesta eroiche di Lorenzo. Questa volta si tratta della mitica “Maratona della Capitale”: quarantadue chilometri e lascia…! Il prode ed io giungiamo a Roma nel primo pomeriggio e subito raggiungiamo il b&b. Giù le borse (che qui chiameremo “borze”) e subito a pranzo per scofanarci due etti a testa di spaghetti cacio e pepe. Incontro con Simona e via verso l’Eur per ritirare il pettorale. Qui abbiamo appuntamento con uno dei personaggi più straordinari e simpatici di tutto il Centro Italia: il nostro amico Walter degli Affetti. Passeggiamo lungo i Fori Romani, sfiliamo sotto l’Altare della Patria mentre il sole tramonta; e quando la città sprofonda nell’oscurità e accende le luci della movida serale, giungiamo a Piazza di Spagna. C’è una folla spaventevole. La sera siamo a cena in zona San Lorenzo, accompagnati quasi per mano da Teresa - un’amica di vecchia data - verso una locanda molto caratteristica.
La mattina successiva arriva Elena. I freni del suo treno fischiano alle sei e trenta. Un orario disumano per andarle incontro ad aspettarla al binario. E così, sola soletta, ci raggiunge al b&b. Altra giornata di visita alla città eterna. Nell’ordine: Santa Maria Maggiore, Colosseo, Fori Imperiali, Piazza Navona, Pantheon, Senato delle Repubblica, Piazza Montecitorio (dove ci sono i galantuomini…), pranzo presso l’Antica Focacceria San Francesco (specialità siciliane). Nel pomeriggio Villa Borghese, San Pietro, Mausoleo di Adriano (altresì detto Castel Sant’Angelo), Campo dei Fiori (là dove venne amorevolmente arso vivo Giordano Bruno). Per l’aperitivo ci raggiunge il mio grande amico e scrittore di fama Alessandro Lisi (Il segreto del demoniaco dottor Alker ), che ci porta in un raffinatissimo locale del centro. Per cena invece si unisce a noi un’ex collega di Lorenzo. Il ritorno al b&b è straziante: sono passate da poco le due di notte ed essendo noi tre spilorci matricolati che mai prenderebbero un taxi, ce la facciamo tutta a piedi, dormendo praticamente in piedi. Al mattino Lorenzo si sveglia alle sei per andare a correre: è talmente cotto che invece di indossare i pantaloncini e la canottiera da gara cerca nell’armadio giacca e cravatta. E non trovandoli impreca ferocemente con se stesso…! Poi cerca nell’oscurità il box doccia, ma entra deciso nel vano ascensore e non trovando le manopole dell’acqua fredda e calda impreca ancora una volta. Finalmente trova il bagno e solo dopo uno scroscio di acqua ghiacciata realizza finalmente dove si trova.
Ha una faccia assai afflitta, soprattutto quando concentra lo sguardo su Elena ed il sottoscritto che dormono con grande voluttà, mugolando di piacere. Sul momento pensa bene di tornarsene a letto, poi prevale il dovere. Elena ed io ci svegliamo alle dieci carichi di sonno e dopo colazione ce ne andiamo a seguire la messa in latino a San Giovanni in Laterano. Poi per vie sconosciute arriviamo a San Giovanni e Paolo al Celio. In zona Colosseo incontriamo Walter nella calca invereconda. Trattasi di un mezzo miracolo. In attesa di Lorenzo un maratoneta, uno dei tanti, si allunga a terra stremato. Lo soccorriamo e lo portiamo al posto medico avanzato dove un addetto ci dice secco: “Buttatelo pure là…”. In un ampio spazio ci sono accatastati un centinaio di atleti privi di conoscenza e abbandonati al loro triste destino. C’è troppa confusione, troppa ressa per trovarsi col nostro amico e dunque decidiamo di attenderlo al b&b. Nel primo pomeriggio, seduti comodamente ai tavolini di un bar, finalmente scorgiamo la sagoma di Lorenzo. Barcolla, ha il viso stravolto, gli occhiali di traverso sono sporchi e appannati. Parlotta da solo e di tanto in tanto scoppia in risate sgangherate. Elena gli va incontro: “Lore, tutto bene”. Al che questi risponde prontamente: “Mai stato meglio in vita mia”. E si schianta quasi esanime sul divanetto di vimini del bar. Pranziamo tutti insieme in via Merulana, ci congediamo dai nostri amici di Roma e, raggiunta la stazione di Roma Termini, ci affidiamo ai veloci Freccia Rossa per il ritorno. I nostri posti sono vicino ai cessi, ma in fondo che ci frega. L’importante, come dice Lorenzo, è partecipare.

Mezza maratona di Lorenzo

Il 4 e 5 febbraio il Listone decide di seguire il prode Lorenzo nel suo cimento preferito, la maratona. Anzi la mezza-maratona. E’ in programma infatti in Liguria, per l’esattezza da Santa Margherita a Portofino (e ritorno), una sgambata da pensionati di circa venti chilometri.
Non ce la sentiamo di lasciarlo solo, anche perché è il primo appuntamento agonistico della stagione, e Lorenzo appare ancora molto indietro nella preparazione. Spesso infatti, corricchiando per il suo paesello, e vedendone i locali - che peraltro appaiono ostili verso tutti - le scarse prestazioni, associate a volto paonazzo, scatarrate mostruose e fiatone da asmatico cronico, proferiscono frasi non troppo incoraggianti tipo: “Datti al lancio dei coriandoli…!”. E così lungo il percorso, ad attendere il suo passaggio ci saranno Giovanna, Elena, sua sorella ed il sottoscritto. Correrà al suo fianco invece Andrea, un amico di famiglia, essenziale in questi tragici momenti della sua vita. Purtroppo però il tempo meteorologico è devastante. L’Italia è stretta nella morsa del gelo e della neve e quindi la maratona viene rimandata di oltre un mese. Sabato 10 marzo invece la giornata è splendida: sole, cielo azzurro, vento di primavera. Lorenzo, attraverso canali oscuri e misteriosi, è riuscito a raccattare i biglietti ferroviari a prezzi stracciati. Il personale del b&b che ci ospita è agghiacciante: dietro al bancone della reception una grassona di un’antipatia quasi unica (la prima persona grassa e antipatica incontrata in vita mia…) cerca di spillarci più soldi di quanto dovuto, ci ripete allo spasimo che se perdiamo la chiave si rivarrà su di noi (e nel caso sui nostri posteri fino alla settima generazione) e ci intima di eseguire alla lettera le prescrizioni affisse in camera, pena dieci nerbate sulla piazza del Municipio.
Prendiamo l’autobus per Portofino dopodiché ci inoltriamo su verso il sentiero alto che porta a Pietrestrette. Una faticata immane essendo la prima uscita della stagione. Da qui discendiamo verso Santa Margherita Ligure. Un breve trekking che ci regala visuali, sensazioni e profumi inimmaginabili nella tetra pianura padana. Il giorno dopo Lorenzo e il suo amico Andrea, di buon mattino si avviano verso la partenza. Noialtri continuiamo a dormire e russare sconciamente. Dopo un paio d’ore ci leviamo e con molta calma scendiamo a fare colazione. Stancamente ci dirigiamo verso il percorso di gara, e qui, dopo neanche dieci minuti, vediamo Lorenzo transitare felice verso il traguardo. Indossa gli ormai classici calzettoni bianchi, alti fino al ginocchio, guanti e maglietta rossa. E corre apparentemente senza far fatica. Sorride. Al termine della gara, come al solito scoprirà di aver fatto un tempo assai scadente. Ma in fondo a lui interessa partecipare.