Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

martedì 29 aprile 2014

La Pasqua della Loggia

Casa Alpina 'Il Pradaccio' - San Pellegrino in Alpe
- Smettetelaaaaa con ste foto…, smettetela subitooooo, tanto non ci riuscirete nel vostro spudorato intento di farmi rimpiangere di non essere venuto…! Singhsinghsingh Fottuto servizio meteo

- A me piace questa foto (in allegato). Si vede anche Lore in una posa plastica che lascia supporre abbondanti cene a base di legumi e nottate potenzialmente indimenticabili

giovedì 24 aprile 2014

Allegri dialoghi con l’uomo triste

- Mi sa che non parto.
- Meteo?
- Sì. Gli altri sono decisi a partire. A me sembra una follia.
- Già…
- Mi spiace solo non rivedere la Giò.
- Che vuoi, la vedrai più avanti.
- Il fatto è che la salute… sai la salute se te la giochi così…
- Certo, meglio giocarsela a lavorare…
- Oggi ho preso un caffè al bar… c’era una barista nuova… che dire, avrà avuto minimo la quinta taglia! E poi tutto il resto… Sono uscito e mi sono sentito una merdaccia.
- Dovevi prendere un Fernet: avresti fatto colpo.
- Mah…, secondo me non capiva, non era italiana. Ad occhio sudamericana, una cosa troppo esagerata, da far incazzare.
- Guarda, non dirlo a me…! La primavera mi sta risvegliando gli ormoni…! Il che è già un miracolo: ero convinto che si fossero ormai estinti come i berlusconiani…
- A me la primavera rompe solo i coglioni.
- Oh e perché mai?
- Si corre, si corre, sempre per un guadagno inferiore, sempre più vessazioni burocratiche…, balena all’orizzonte la chiusura…
- Noooo, anche nel tuo settore? Tu…, tu che sei sul ramo…
- Ecco bravo, taglio il ramo su cui mi trovo.
- Ma si dice sul ramo o nel ramo? Sul ramo potrebbe confondersi con uno scimmiotto del Borneo.
- In effetti non c’avevo pensato.
- E la tipa che ti hanno presentato al matrimonio del tuo amico? Vi sentite?
- Ma quando mai, non ho mica il numero. La prossima volta che vedo chi me l’ha presentata tasto il terreno. Chiedo che impressione le ho fatto. Cazzo, mi sembra di essere tornato alle elementari!
- E meno male: cos’è, vuoi rinchiuderti già in un residence anni azzurri?
- Del resto sono bravo a tastare il terreno (essendo giardiniere: ndr).
- Anche a tirare il rastrello, s’è per quello…
- Facciamo una società io e te. Io bevo gasolio e sputo fuoco, tu passi con il cappello e raccogli i soldi…
- E nei momenti vuoti faccio la sagoma per il lanciatore di coltelli. Che poi sarebbe mio zio di Buccinasco.
- Perfetto, così le donne presenti si azzufferanno per noi.
- Giusto, ben detto: cadranno ai nostri piedi.
- 49 anni e sparare di queste robe…, e come se non bastasse in maggio ho un altro matrimonio: quasi quasi mi do malato. Uveite bilaterale.
- Ma va là…, ai matrimoni si acchiappa un casino. Soprattutto le damigelle d’onore.
- Certo, come no…!
- Si sa che le damigelle d’onore vanno in cerca di emozioni forti…! Non hai visto il film Quattro matrimoni e un funerale? È matematico.
- Bella emozione forte che sono (io).
- Ma scherzi? Io ho sempre fatto la mia porca figura ai matrimoni. Una volta mi sono infrattato con la ragazza di un mio cugino di secondo grado. Parrucchiera e damigella d’onore. Lei ovviamente, non lui.
- E sì, immagino…! E tuo cugino?
- Ah guarda, per me lui è come un fratello.
- A sì…? Sei proprio certo al cento per cento di quello che dici?
- Può sembrarti assurdo, e lo capisco, ma l’ho fatto solo ed esclusivamente nel suo interesse: dovevo capire se lei era la donna giusta per lui.
- E quindi, bocciata?
- No no, e perché mai? Sono fatti l’uno per l’altra…

- Oggi mi hanno presentato una tipa ad un party…, non mi ricordo neanche il nome…
- Andiamo bene…
- E per giunta era anche carina…
- Ottimo: lei é carina, tu c’hai i soldi… Siete a posto.
- Una festa di compleanno di un cliente (che conosco poco). La compagna ha questa amica single e decide di combinare ‘sto incontro. Per fortuna c’era altra gente, però quanto imbarazzo. Io non sono fatto per ‘ste robe… In fondo ho sempre sognato di incontrare casualmente una ragazza spigliata, gentile, dall’aspetto gradevole, che non mi trovasse eccessivamente repellente (cit.).
- Le hai detto che suoni?
- Ma va a cagare, va…
- Hai fatto bene: poteva essere una mossa controproducente dato il tuo non ancora eccelso livello artistico…! Le hai lasciato almeno il tuo numero?
- Macché, secondo me era più imbarazzata di me. In compenso ho fatto due chiacchiere con le amiche che, essendo già accasate, si sono mostrate spigliate e di spirito. Sempre così succede.
- Già, questa è la triste verità… Vorrei provare a consolarti, magari suggerendoti di aggrapparti alla fiasca. Ma temo che, così come per la chitarra, il consiglio si risolva in una debacle.
- Lasciamoci così, senza rancore. È meglio.

- Allora com’é andata?
- A cosa ti riferisci in particolare?
- Non dovevi uscire con una tipa?
- Mi sa che ti confondi. O sfotti…

- Ma io non capisco, sei un bel ragazzo (sì be’, magari proprio bello no… diciamo gradevole), hai una posizione, sei simpatico, generoso, pieno di premure e attenzioni… Ma cosa cazzo va trovando ‘sta qua?
- Lei ama le storie complicate, lontano da casa, che arrechino problemi: dovresti saperlo che le cose normali alle donne non piacciono.
- Oh mamma, e dire che non è più una ragazzina. Ma ciula, almeno?
- Secondo me molto poco.
- E lo vedi allora: è sempre quello il problema. Però ciula… Ne avete parlato delle sue ciulate? Potrebbe essere un buon modo per rompere il ghiaccio.
- Grazie del consiglio, sei sempre più prezioso… E comunque no, non ne abbiamo parlato: ne parla appena alle sue amiche.
- E tu come fai a saperlo?
- È venuto fuori che tempo addietro ha avuto una storiella con un tizio di Parma. Gli ha prestato anche dei soldi, dato che era un miserabile. Doveva andare in vacanza, poverino. Da solo! E lei glieli ha prestati!
- Ma allora è pure deficiente…
- Ad ogni modo ho comprato la moto: usata ovviamente.
- Ecco bravo…, metti su un bel giubbotto di pelle strappato, fatti crescere la barba… e cerca di puzzare di vino (meglio se Barbera). Magari ci vede un po’ di sano farabutto pure in te…
- Grazie del suggerimento. Metto subito in pratica.

martedì 22 aprile 2014

Giornata della Terra

La Giornata della Terra (in inglese Earth Day), è il nome usato per indicare il giorno in cui si celebra l'ambiente e la salvaguardia del pianeta Terra. Le nazioni Unite celebrano questa festa ogni anno, un mese e due giorni dopo l'equinozio di primavera, il 22 aprile. La celebrazione che vuole coinvolgere più nazioni possibili, ad oggi coinvolge precisamente 175 paesi.
Nata il 22 aprile 1970 per sottolineare la necessità della conservazione delle risorse naturali della Terra. Come movimento universitario, nel tempo, la Giornata della Terra è divenuta un avvenimento educativo ed informativo. I gruppi ecologisti lo utilizzano come occasione per valutare le problematiche del pianeta: l'inquinamento di aria, acqua e suolo, la distruzione degli ecosistemi, le migliaia di piante e specie animali che scompaiono, e l'esaurimento delle risorse non rinnovabili. Si insiste in soluzioni che permettano di eliminare gli effetti negativi delle attività dell'uomo; queste soluzioni includono il riciclo dei materiali, la conservazione delle risorse naturali come il petrolio e i gas fossili, il divieto di utilizzare prodotti chimici dannosi, la cessazione della distruzione di habitat fondamentali come i boschi umidi e la protezione delle specie minacciate (Wikipedia).

Pensando a questa giornata mi è venuto in mente il Cantico delle Creature di San Francesco. Non credo ci sia mai stato, nella storia dellUmanità, qualcosa di più alto e sublime

Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore

et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore,
cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per loi.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore,
de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore,
per sora luna e le stelle,
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte,
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore,
per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi’ Signore
per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:

Guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;

Beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate et benedicete mi’ Signore'
et ringratiate et serviateli cum grande humilitate

(San Damiano, Assisi, 1224)

giovedì 17 aprile 2014

Dai sette colli ai sette passi - un giro del mondo in bicicletta in completa autonomia

Qualche settimana fa abbiamo anticipato la nascita di un progetto visionario, un’avventura ai limiti delle umane possibilità: il giro del Mondo in bicicletta, passando dai sette passi più alti della Terra. Da un paio di giorni è on-line il sito di riferimento, curato personalmente da Simona e Daniele, i due “squinternati” che a luglio daranno il via a quest’impresa. Ecco cosa si legge sulla home page del sito:

Sette sono i colli su cui sorge Roma, sette sono i punti che disegnano sulla mappa l’itinerario completo di questa avventura. Non è un semplice viaggio, ma un’impresa sportiva che si pone come obiettivo il supporto per iniziative umanitarie e sociali e la promozione della bicicletta come mezzo di trasporto definitivo, divulgando un viaggiare lento e consapevole delle distanze e dei luoghi.

Partendo dalla nostra città natale porteremo le nostre biciclette in cima ai sette passi di montagna più alti del mondo, uno per ogni continente, dai 1580 metri del Dead Horse Gap in Australia (il passo più basso) ai 5565 metri del Semo La Pass in Himalaya. L’itinerario attraversa più di 50 paesi e copre più di 100.000 km esclusivamente in bicicletta. Dove possibile inoltre realizzeremo l’ascensione di diverse importanti vette improntando le scalate con lo stesso spirito di totale autonomia che caratterizza il viaggio.

Obiettivo del progetto è anche raccogliere fondi per la World Bicycle Relief, una ONG americana. Scopo dell’Organizzazione è quello di mobilitare e rendere indipendenti le piccole comunità del terzo mondo donando loro biciclette e formando, in loco, meccanici specializzati. E’ attiva in diversi paesi dislocati tra Africa, sudest asiatico e Sudamerica, tutte zone attraversate dal lungo itinerario del viaggio.

La scelta di viaggiare in bicicletta permette di entrare maggiormente a contatto con le realtà locali che si incontrano lungo il percorso. Il nostro progetto è anche una promozione del viaggiare responsabilmente e consapevolmente. Per questo l’AITR (Associazione Italiana del Turismo Responsabile) ci ha proclamato ambasciatori della carta del viaggiatore responsabile, e con la loro collaborazione ci impegniamo a mantenere e diffondere un comportamento rispettoso dell’ambiente e della cultura del luogo. Il progetto è un veicolo di conoscenza delle realtà alternative fuori dai consueti circuiti turistici, consapevoli della diversità di culture e necessità dei popoli che incontreremo.

Segui l'avventura direttamente sul sito becycling.net: http://www.becycling.net/

Le perle di Maurizio Milani

Lettera a Carlo (prof.) Rubbia: «Gentile professore, voglio parlarle chiaro. Quanto tempo ha in mente di far scontrare protoni a spese della fiscalità generale? Dispiace dirlo, ma lei nel 1985 aveva detto: “Tra 20 anni avremo la fusione fredda, energia pulita dal sole”. A oggi non mi risulta niente. Quindi cosa fa scontrare protoni a fare? A questo punto, d’accordo anche con il dott. Carlo Cottarelli, abbiamo deciso di chiederle:
1) Dove compra i protoni?
2) La ditta che li fornisce ha certificazione antimafia?
3) Quanto costa un protone?
4) Quanti centri di spesa per acquisto di protoni ci sono in giro?
Dispiace dirglielo, ma adesso i protoni li compriamo noi facendo gare al ribasso. Le parlo francamente: alcuni del Governo volevano non farle più spaccare protoni alla velocità due volte la luce. Anche perché, non per mancarle di rispetto, è mai possibile che parlate di cosa c’è prima del Big Bang e poi salta fuori un nuovo pianeta nel Sistema Solare? Ma prima di guardare “oltre” guardate a un chilometro dalla Terra!
Adesso alle Europee vado a votare un candidato. Mi raccomando prof., non mi voti poi la sua decadenza. Anche perché così non vale. Uno al bar che mi sente ragionare così: “Bravo, è ora di finirla! C’è pieno di miliardari che non hanno un’azienda, diventano ricchi con i soldi dello Stato. Che si affittino un capannone e rischino i loro soldi”».

Per la giornata del Fai sono andato a visitare il diurno di Porta Venezia a Milano. È chiuso dal 1950. Ancora molto bello. In stile liberty. Arrivano due rom con asciugamano e ciabatte e dicono al volontario del Fai: «Scusare amico, noi fare la doccia qui al diurno comunale, pagare un euro».
Volontario Fai: «No! No! Qui oggi non si può, oggi è la giornata del Fai».
Intervengo volentieri: «E allora? Fagli fare la doccia, cosa hai paura che ti rompano il museo? A parte che è già mezzo rotto».
Volontario: «No! La responsabilità della doccia ai rom non la prendo».
Interviene un altro disoccupato: «Me la prendo io, basta fare il finto volontario per entrare in politica».
Io: «È vero! Lei come volontario Fai è in arresto».
Volontario: «A che titolo?»
Noi: «Comitato di Salute Pubblica per far tornare Milano una città industriale e non un museo, per cui voi due rom fate tutte le docce che volete».
I due rom: «E voi brav’uomini che fate adesso?»
Noi: «Scappiamo in collina perché avendo arrestato uno del Fai, l’autorità darà ragione 100 per cento a lui».
I due rom: «Siete sicuri?»
Noi: «Dispiace dirlo, ma non siamo sicuri anzi pensiamo di aver fatto una pirlata per cui scappiamo. Vi dispiace se prendiamo il tram senza biglietto?»
I due rom: «Un po’ sì»
Noi: «Allora lo paghiamo»
Volontario Fai: «Basta far teatro nei luoghi Fai, andate a lavorare».
Infatti oggi iniziamo. Il Comune ci ha dato la licenza di barberia notturna. Esercitiamo qui nell’ex luogo Fai. Tanto si lamentano perché non siamo diplomati… però siamo drogati.

Fonte: http://www.ilfoglio.it/innamoratofisso

mercoledì 16 aprile 2014

Anteprima bike tour d’agosto (dei tre mari e delle quattro regioni)

L’anno scorso, come molti sapranno, ci siamo dilettati su e giù per le colline marchigiane (prima) e per i monti abruzzesi (dopo). Con qualche puntatina al mare (Conero, Costa dei Trabucchi etc…). Quest’anno invece ci spingeremo un po’ più a sud, varcando i confini di ben quattro regioni: Puglia, Basilicata, Campania e Molise (il solitario e misterioso Molise).
Partiremo da Trani, la cittadina pugliese che si affaccia sul Mare Adriatico con la sua splendida cattedrale romanica di pietra bianca, e c’inoltreremo nel cuore delle Murge; da qui punteremo verso Matera (patrimonio dell’Umanità), per poi raggiungere il Mar Ionio. Da qui rientreremo verso l’Appennino dove, lungo la nostra strada, affronteremo le asperità delle Dolomiti Lucane. A questo punto, lasceremo la Basilicata e, attraversando il Parco Nazionale del Cilento, sbucheremo a Castellabate, sul Mar Tirreno. Lunga tirata verso Salerno; giro intorno alla penisola Sorrentina; e poi via di nuovo verso l’interno, alla scoperta dell’Irpinia, passando dalle mitiche “terre dei briganti”. Con un’ultima pedalata ci porteremo in Molise, per visitare Campobasso e per giungere nuovamente al mare, nei pressi di Termoli o Vasto.
Cominciate a scaldare le gambe…!

1) Trani - Castel del Monte (Federico II) - Altamura (Parco Nazionale dell’Alta Murgia): 70 km.
2) Altamura - Matera (Murgia Materana) - Marina di Ginosa (Mar Ionio): 64 km.
3) Marina di Ginosa - Craco (città abbandonata) - Aliano (luogo di confino di Carlo Levi): 89 km.
4) Aliano - Castelmezzano - Pietrapertosa (Dolomiti Lucane) - Viggiano (1.023 m.): 77 km.
5) Viggiano - Teggiano - Laurino (Parco Nazionale del Cilento): 76 km.
6) Laurino - Castellabate (Mar Tirreno): 51 km.
7) Castellabate - Paestum - Salerno: 56 km.
8) Salerno - Amalfi - Positano - Sorrento - Castellamare di Stabia: 80 km.
9) Castellamare di Stabia - Avellino - Pontelandolfo (terra dei briganti) - Benevento: 76 km.
10) Benevento - Cusano Mutri (Parco Regionale del Matese) - Campobasso: 82 km.
11) Campobasso - Larino - Guglionesi - Termoli/Vasto (Mare Adriatico): 71 km.

Totale 792 km. (escluso i cosiddetti extra-ride).

12) Termoli/Vasto - Rimini (in treno)
13) Rimini - casa (in treno).

lunedì 14 aprile 2014

“Caro agli Dei è chi muore giovane”

Vent’anni fa moriva ad Imola Ayrton Senna, il più grande pilota di Formula Uno di tutti i tempi. Me lo ricordo quel giorno, guardavo il Gran Premio nella casa che avevo in affitto a Sesto San Giovanni, insieme ad altri due sciagurati come me. Avevo ventidue anni a quell’epoca, ed il mito della velocità ce l’avevo nel sangue, così come il culto del bel gesto e del cavaliere senza macchia e senza paura (eravamo nel pieno di “Mani pulite”). Ed Ayrton incarnava alla grande questo cliché: era il più veloce in corsa, stupiva per le sue straordinarie doti nelle condizioni tecniche o meteorologiche più infami: nessuno riusciva a stargli dietro sul bagnato. Era un vero “eroe” del volante, sprezzante del rischio, contrario ad ogni compromesso (mitici i suoi scontri con Alain Prost), disposto a giocarsi sempre il prezzo più alto. Ed anche nella vita, nonostante rifuggisse i riflettori della mondanità, era sempre al centro dell’attenzione, perché in ogni cosa che faceva, risaltava prepotente la sua forza d’attrazione, il suo carisma ineguagliabile. I tabloid di mezzo mondo fecero affari d’oro, per esempio, con le sue liaisons d’amour con le donne più belle del pianeta (vedi Carol Alt).
Quel giorno maledetto, quando la sua Williams andò a sbattere contro il muretto della curva del Tamburello, nessuno di noi riuscì a credere neanche per un istante che la sua vita sarebbe finita quel giorno: egli era immune dalla morte nelle nostre menti di ragazzi…! E così, anche quando lo tirarono fuori dall’abitacolo, non ci sembrava vero che fosse grave, tutt’altro, ed anzi, ci aspettavamo che da un momento all’altro si alzasse sulle proprie gambe e, come aveva fatto mille volte, si togliesse il casco e se ne tornasse da solo verso i box. La cronaca poi ci raccontò il seguito. Purtroppo.
Ecco, ora a distanza di vent’anni, ancora di più rifulge il suo ricordo, e così come accade con i grandi che se ne sono andati tragicamente - e troppo presto - , ci si appresta alle grandi celebrazioni. Si inaugureranno statue ricordo, si dedicheranno a lui circuiti sportivi, magari anche qualche scuola adotterà il suo nome.
Ayrton aveva 34 anni quando se n’è andò, era ancora un ragazzo. Nel suo bellissimo pezzo pubblicato su Il Fatto Quotidiano di sabato, Massimo Fini scrive un elogio del campione brasiliano e una serie di considerazioni circa la sua “morte epica (non già tragica), una morte nella pienezza della salute, nello splendore della giovinezza. Una morte in bellezza”. E la mette in contrapposizione con quell’altro tipo di morte, “la morte biologica, quella in genere del vecchio, con un corpo che si sta disfacendo”. Quella che “ci fa orrore”. Ecco perché gli antichi - nella loro infinita saggezza - avevano elevato a massima di vita l’espressione “Carpe diem”, ovvero cogli l’attimo. Oggi invece, nella nostra infinita insulsaggine, abbiamo cancellato il concetto di fine, la morte non ci appartiene più antropologicamente. E così tutto scorre in un continuum temporale che ci porta dall’infanzia alla vecchiaia, quasi senza distinzione di colore, come se tutto dovesse essere sempre uguale ed identico a se stesso. Ed invece dovremmo ogni tanto fermarci a riflettere, dovremmo accendere una luce su parole come vecchiaia, morte, tempo. Solo in questo modo, forse, riusciremmo a dare la giusta prospettiva alla nostra vita e ad assegnare importanza alle cose importanti, tralasciando tutto il resto. Forse…!

Ferruccio Sansa (Il Fatto, 7/4), che leggo sempre volentieri perché ogni tanto scantona dai temi della legalità e della politica che sono propri del nostro giornale, avendo letto, a Londra, su una grande lavagna la frase «Prima di morire vorrei…», riflette sulla vecchiaia, la morte, il tempo.
Nella mitologia greca Cronos, il padre degli dei, mangia i suoi figli. Cosa vuol dire questa metafora? Che il Tempo ci divora. È il padrone ineluttabile delle nostre esistenze. («Vola il tempo, vola e va, ma forse più del tempo, che non ha età, siamo noi che ce ne andiamo»- De Andrè). Per rimuovere questo pensiero riempiamo la nostra vita di ogni sorta di cose, di azioni e di sentimenti (i quali, nella mia ottica, non sono che delle, non innocue, malattie psicosomatiche). Cerchiamo in tutti i modi di ‘ammazzare il tempo’. Purtroppo è il Tempo che ammazza noi.
«Caro agli Dei è chi muore giovane» scrive Menadro. Quando ero ragazzo pensavo che fosse solo una bella battuta d’autore. Credo invece che contenga una cruda verità. La morte di Ayrton Senna, trentenne -quando, dopo vari preavvertimenti, si infila il casco, come il cavaliere medioevale si cala la celata, sapendo che va a morire, ma il suo orgoglio di campione non gli concede scelta- non è tragica, è epica, è una morte nella pienezza della salute, nello splendore della giovinezza. È una morte in bellezza. La morte biologica, quella in genere del vecchio, con un corpo che si sta disfacendo, ci fa orrore.
Ma forse ad essere baciati in fronte dagli Dei sono solo coloro che non sono mai nati. Perché una volta che ci sei entrato, nella vita, non hai più scampo. Non puoi evitare il torturante confronto col Tempo. E finché ci sei te la devi giocare questa partita […].

Continua a leggere l’articolo di Massimo Fini: http://www.massimofini.it/articoli/l-inevitabile-condanna-della-nostra-vecchiaia

mercoledì 9 aprile 2014

Il viaggio di Darinka

“Che cos’é ‘walk-about-italia’? In due parole è il mio più grande desiderio. Camminare da sola, dalla Sicilia al Piemonte, con una macchina fotografica, un diario, senza soldi e una scatola nella quale raccogliere i vostri sogni”.
Così si legge sulla homepage del sito che racconta l’avventura di Darinka Montico, fotografa di Baveno (Lago Maggiore), alle prese con la risalita a piedi della Penisola.
Partita da Palermo il 26 marzo scorso, Darinka (vezzeggiativo russo di Daria???) arriverà oggi a Ragusa. Alle sue spalle Corleone, Cianciana, Agrigento, Licata, Palma di Montechiaro, Gela: a occhio e croce un 300 chilometri buoni. Sul suo profilo Facebook Enzo L. scrive: «Darinka attraversa l’Italia a piedi, dalla Sicilia al Piemonte, raccogliendo i sogni delle persone che incontra e gli scatti dei luoghi che incrocia per scriverne infine un libro. Quando l’ho sentita al telefono la prima volta e mi ha detto Sono a Licata, per Gela ci sono 30 chilometri? Ok, in sei orette dovrei farcela! … mi è sembrata abbastanza folle da poter meritare tutta la mia ospitalità!».
E sì perché Darinka, come una novella cantastorie dei tempi passati, attraversa territori e città, incontra persone, condivide emozioni, e in questo scambio continuo che sa di antico, racconta la sua storia e ascolta quella delle persone che le offrono ospitalità. E così, come un tempo nelle piazze gli spettatori remuneravano con piccole offerte l’arte della parola raccontata da questi bizzarri viaggiatori affabulatori - storie che entravano a far parte del bagaglio culturale collettivo di una comunità - alla stessa maniera oggi Darinka regala qualche pillola della sua avventura in cambio di ospitalità. “La camminata fino a Palma di Montechiaro scorre liscia - scrive Darinka nel suo diario - solo 25 chilometri in confronto dei 50 per arrivare ad Agrigento: me li mangio come fossero noccioline. Evito di perdermi e arrivo a Palma fresca come una rosa. Inizio ad apprezzare i giorni più duri, come il cammino fino a Corleone o quello fino ad Agrigento, perché fanno sembrare i cammini tra i 20 e i 30, senza intemperie veramente delle passeggiate”. Venticinque chilometri di cammino e sentirsi freschi come una rosa: è una tipa tosta la nostra amica…! E così continua: “A Palma i miei piedi mi guidano da soli esattamente alla mia destinazione, l’ufficio della proloco locale, che tramite un contatto su Facebook (grazie Michele) ero riuscita a contattare. Mi aspetta Raffaele, lavora per la proloco e dipinge i quadri che ne tappezzano le pareti. La Sicilia è veramente una terra di artisti. Passerò la notte proprio li, sul pavimento dell’ufficio della proloco che si trova all’interno del palazzo Tomasi, scenario del Gattopardo! È la prima volta che mi tocca sfoderare materassino e sacco a pelo, però mi sento una principessa a dormire nel palazzo”.
Ecco, lo confesso, più passa il tempo, più scorrono i giorni, e più l’avventura di Darinka mi affascina. In fin dei conti a chi non piacerebbe lanciarsi un una epopea come questa? Anni fa, per esempio, progettavo con un amico di percorrere tutto il sentiero E1, da Capo Nord a Capo Passero, estrema punta sud-orientale della Sicilia continentale. E come spesso accade con i sogni, non se ne fece nulla purtroppo. E dunque, più leggo le riflessioni di Darinka e osservo le foto che inserisce sui social network, più mi affeziono a questa ragazza e alla sua impresa solitaria. Mi prende come un senso di tenerezza verso di lei, come un moto dell’animo che vorrebbe aiutarla, darle assistenza, compagnia durante quelle sue lunghissime camminate. Farla sentire meno sola. E scopro che questo mio sentimento sta pervadendo la rete, come se si fosse stretto intorno a lei un cordone di solidarietà, un afflato di fratellanza e umanità che l’accompagna e se ne prende cura: “We love you…”; “Metti la crema che ti bruci…”; “Sei arrivata? Non farci preoccupare…”; “Se passi di qui mi faccio trovare. E ti procuro una carriolina per i miei di sogni…”; “Grande Dary, grande Licata vai a mangiarti un mega panino da Oscar Panino”; “Ciao tigre…! Come va il tuo viaggio? Ti seguiamo sempre, tienici informati. Stai molto bene con il nuovo taglio corleonese! P.s. Complimenti per l’avventura…”; “Ciao Darinka, se ti serve un tetto a Palma di Montechiaro fai un fischio”.
Ha del sorprendente tutta questa voglia di partecipazione e di solidarietà, in un epoca di estremo egoismo e disinteresse verso il prossimo. Sono sicuro che al suo ritorno, questo è ciò che resterà maggiormente impresso nei ricordi di questa piccola grande viaggiatrice.  

Darinka terminerà il suo viaggio a ottobre, in tempo per festeggiare il compleanno con i suoi. Ciao cara, continueremo a seguirti. In bocca al lupo.

Fonte: http://www.walkaboutitalia.com/

lunedì 7 aprile 2014

L’Aquila a cinque anni dal sisma

L’ipotesi di fare una puntatina lassù (Campo Imperatore: ndr) ci aveva solleticato nelle prime ore della mattinata, ma la voglia di arrivare in fretta a l’Aquila e il dislivello non indifferente per raggiungere la cima (oltre mille metri da dove ci troviamo) ci fanno desistere senza troppi rimpianti. E dunque dall’altipiano piombiamo a tutta velocità nel capoluogo di regione abruzzese. Siamo scesi di oltre settecento metri di quota e il caldo è diventato insopportabile. Varchiamo Porta Napoli e, seguendo il bel viale alberato che porta in centro, sentiamo crescere, insieme alla stanchezza, anche la curiosità di vedere in che stato si trovi la città a distanza di quattro (ormai cinque: ndr) anni dal terremoto. La zona periferica sembra quasi integra, a parte qualche cantiere, e la cosa ci rincuora. Mano a mano però che ci avviciniamo alla zona centrale, la faccenda cambia. All’incrocio tra via Crispi e via XX Settembre ci si para davanti tutta la gravità della situazione: palazzi diroccati, barriere contenitive, ponteggi, traversine, nastri che delimitano le zone di pericolo. Ci sale in gola un groppo che ci lascia ammutoliti. Solo osservando dal vivo queste scene si può capire la gravità di quel maledetto sisma. Proseguendo lungo Corso Federico II, altre scene analoghe ci parlano della furia che ha imperversato da queste parti. E tutto ciò, unito al caldo insopportabile, al silenzio quasi religioso e alla totale assenza di persone per strada, lascia in bocca una sensazione straziante. Come di una città ferita a morte e abbandonata.
Raggiungiamo Piazza Duomo e cerchiamo informazioni per raggiungere la Locanda Aquilana. In realtà, guardando la mappa, sarebbe semplicissimo rintracciarla, dato che si trova alle spalle del Duomo. Nella sostanza però, a causa della “zona rossa” in cui è assolutamente vietato transitare a causa del pericolo di crollo, siamo costretti a fare un lungo giro. Ed ovviamente ci perdiamo. E perdendoci, casualmente finiamo proprio in una di queste strade chiuse al transito. Non è raro infatti che le transenne vengano spostate da qualcuno e che dunque l’accesso, anche involontario, avvenga senza accorgersi del pericolo. E così ci troviamo a percorrere una di quelle vie rimaste inchiodate a quella tragica notte del 6 aprile del 2009. Il nostro sguardo attonito penetra dentro porte scardinate, si posa su architravi incrinati, su muri fessurati e abbattuti. E dentro quelle case, rimaste esattamente come allora, ancora s’intravedono gli ultimi segni di quella vita che, scampata miracolosamente alla morte, non vi ha fatto più ritorno. Tavoli, sedie, un divano polveroso, un attaccapanni con ancora appeso un giacchino blu. Da una sezione di casa diroccata si vedono delle piastrelle azzurre. Forse era un bagno. Mette i brividi questa scena. E ancor più fa impressione osservare le catene poste dai proprietari sulle porte delle case: sono il simbolo della voglia di preservare, di ricostruire, di tornare a vivere in questi luoghi. Eppure la ruggine che già è comparsa da tempo su tali catene, dà la dimensione del tempo trascorso, e dell’affievolirsi inesorabile della speranza.
Dopo lungo girovagare, ed anche grazie alle indicazioni degli Alpini della divisione Aquila presenti sul luogo, finalmente riusciamo a raggiungere il nostro posto tappa. Esso si trova nel cuore della “zona rossa” e solo grazie alla tenacia dei suoi gestori, è stato possibile riaprire. Nella via della locanda, proprio di fronte ad essa, vi è un palazzo completamente ingabbiato da possenti travi di metallo; appena girato l’angolo diverse palazzine gravemente danneggiate; un caseggiato di quattro piani è crollato e solo una porzione di esso è rimasto in piedi. Col tetto pesantemente accartocciato su se stesso. Sembra di essere finiti in una città bombardata. Ad accoglierci ci sono Romina, e la sua allegra famiglia. Da poco hanno finito di servire il pranzo, e sono tutti molto stanchi. Con i loro modi cordiali e cortesi ci fanno sentire subito a casa. Ed in questo immenso disastro, ci appare quasi surreale questo loro modo di ironizzare su quello che ci circonda. Ci vengono assegnate le stanze e dopo breve tempo siamo di nuovo in giro per la città. Quello che più colpisce di queste strade è il silenzio, un silenzio che si placa solo nelle zone dove la tenacia abruzzese sembra aver sconfitto la catastrofe. E poi ci sono i negozi chiusi, le botteghe artigiane con le vetrine polverose e i cartelli che indicano le nuove aperture fuori città. Chissà quanta vita è passata per questi luoghi, e quanto tempo ci vorrà ancora per restituire agli aquilani la loro città?
E così, nel tardo pomeriggio ci troviamo diretti alla Basilica romanica di Collemaggio, prima tappa del nostro itinerario turistico. Per raggiungerla passiamo davanti alla Chiesa di San Bernardino e poi giù dalla scalinata che porta verso via Fortebraccio e lo Stradello dei Poeti. Un angolo molto suggestivo della città. Da quel poco che abbiamo visto, l’Aquila è una città stupenda. Anche qui però i segni della devastazione sono sconvolgenti e lungo la rampa che da Costa Mandatario risale verso il centro, le prime erbacce cominciano ad infestare i gradoni in pietra. Segno inequivocabile dell’abbandono della zona. La Basilica di Collemaggio ci appare in tutto il suo splendore al termine di un ampio prato rettangolare circondato da abeti, sul quale giocano a rugby dei ragazzi. Il rugby è lo sport più amato da queste parti e molti nazionali italiani provengono da questa regione. In questa splendida basilica, Pietro Angelerio da Morrone, santo eremita, il 5 luglio del 1294 divenne Papa Celestino V. Primo e unico papa incoronato al di fuori di Roma. Già ci pregustiamo l’ingresso, quando un uomo anziano ci fa notare che la basilica è stata dichiarata inagibile qualche giorno fa, e dunque chiusa al pubblico. Pare che la facciata si sia scostata di quasi venti centimetri dall’intero edificio e dunque è assolutamente necessario rimettere mano alla ristrutturazione. Ci suggerisce di restare qualche giorno in città perché, in occasione della “Perdonanza”, la festa che ricorda l’indulgenza plenaria istituita da Celestino V lo stesso anno della sua elezione, la basilica verrà aperta al pubblico. È un grave colpo, ma non ci possiamo fare nulla.
Torniamo sui nostri passi e con grande sorpresa e piacere, notiamo che la città si è rianimata. Per le vie aperte al transito, soprattutto sul Corso Vittorio Emanuele II, il salotto buono della città, vi è una discreta folla e quel che più stupisce è la presenza di tantissimi giovani e giovanissimi. Il che fa ben sperare per il futuro di questa terra martoriata. Breve visita al Forte Spagnolo, anch’esso inagibile a causa del sisma, e poi un meritato aperitivo sul corso. Cena condita con lo zafferano della zona, breve passeggiata in Piazza Duomo e a letto. Domani è un altro giorno.

(dal mio resoconto di viaggio in bicicletta dell’agosto scorso).

venerdì 4 aprile 2014

Lettera a Giulio Einaudi

A proposito di referendum...

Vivo da anni nel cremasco, ma solo qualche giorno fa, andandomene a spasso per la campagna, mi sono imbattuto nel cartello qui a fianco. Questa zona per secoli è stata contesa tra Ducato di Milano e Repubblica di Venezia. Il potere del Doge, fino a tutto il ‘700, si estendeva su queste terre e si arrestava all’Adda. E di fatti Renzo de I Promessi sposi, in fuga da Milano perché accusato per la ribellione contro i “profittatori”, solo attraversando il fiume può dirsi in salvo. Ecco, sono passati secoli, moti del 1830, del 1848, Guerre d’Indipendenza, Risorgimento…, e ancora Prima Guerra Mondiale e poi Seconda Guerra Mondiale…, e morti…, tanti morti…! Il tutto nel grande sogno visionario di unire questa nostra nazione umiliata e offesa da sempre…! Ed ora che ce l’abbiamo fatta, ecco che qualcuno salta su e chiede (anzi pretende) che si torni come ai vecchi tempi: confini, dogane, gabellieri, monete diverse, statuti diversi, eserciti armati gli uni contro gli altri («Ehi… chi siete? Da dove venite? Sì, ma quanti siete? Un fiorino» - Non ci resta che piangere). Come se la panacea di tutti i mali d’Italia fosse quella di separarsi. E poi, chissà come mai, queste spinte secessioniste, vengono fuori così prepotenti solo ora che l’economia del nord-est sta andando a picco. Quando il Pil negli anni ‘80 viaggiava al 10 per cento, nessuno che avesse nulla da dire contro “Roma ladrona”. Come a dire, va ora in onda la più classica delle guerre tra poveri…!
Va be’, speriamo che si risolva tutto con una grande risata (“tanko” docet); o meglio, in ottemperanza allo spirito patrio, speriamo che si risolta tutto a tarallucci e vino…!
P.S. Chissà se i colpi di doppietta sul cartellone erano veneti o lombardi…?

Welfare Art - Nuovo cibo per la mente

Amici, un appuntamento imperdibile in quel di Milano: dal 9 al 16 aprile 2014, presso “La Casa delle culture del Mondo” in via G.Natta 11 (M1 Lampugnano) si terrà “Welfare Art - Nuovo cibo per la mente”, mostra collettiva d’arte di artisti, studenti e docenti, promossa dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Milano in collaborazione con l’Associazione Culturale Oradarte e Donne in Arte.
I temi rappresentati ed esposti saranno il lavoro, la sostenibilità, l’attenzione al cibo e all’alimentazione, il sostegno ai territori, l’incentivo e la protezione delle eccellenze artigianali e industriali nei settori della moda e del design, l’attenzione all’interculturalità. Le opere esposte intendono far vedere quanto l’arte sia legata alla quotidianità di ciascuno e capace di creare processi di trasformazione reali della società. L’esposizione offre l’opportunità agli artisti di confrontarsi ed interpretare attraverso le proprie opere esperienze e idee per un nuovo welfare equo e partecipato, mettendo così in mostra le possibili interconnessioni tra arte e cura, dove per cura si intende un welfare di relazioni, i cui protagonisti sono le istituzioni, le aziende, il terzo settore e i cittadini. La mostra fa parte del macroevento “Fuori Salone Milano Design Week ’14”.

Artisti in mostra: Moris Bonetti, M.Chiesa, Tommaso Cigarini, Christian Flores, Guido Ginebri, Simona Lodolo, Giulia Martiri, Angela Milasi, Franca Milasi La Rosa, Stefania Monciardini, Chiara Montesano, Laura Moroni, Mirca Nervi, Giulia Procopio, Gianluca Puleo, Roberto Rocchetta, Miriam Saavedra, Marina Scognamiglio, Stefanella Sposito, Marisa Zaccaria, Marcia Zegarra.
Gli Istituti superiori I.I.S. “Marelli-Dudovich” di Milano; I.I.S. “Erasmo da Rhotterdam” di Bollate e I.I.S. “E.Montale” di Cinisello Balsamo, coadiuvati dai docenti, sono presenti con più di un’opera ciascuno.

Inaugurazione martedì 8 aprile, ore 18.30
Seminario di approfondimento: sabato 12 aprile dalle ore 17.00 alle 20.00 (Conferenze di approfondimento sul tema della mostra WELFARE ART. Concluderà il seminario alle ore 19.00, la breve performance “I momenti dell’anima”- con sculture viventi di Simona Lodolo*, animate dalle coreografie di Simona Chiesa, interpretazione vocale di Matteo Minerva, musiche di Marco Madia, testi di Simona Lodolo, Angela Milasi.

Orari: martedì venerdì 10.00 - 18.30 / sabato e domenica 14.00 - 20.00. Lunedì chiuso.
Telefono per informazioni: +39 02 77406353
e-mail info: culturedelmondo@provincia.milano.it
Sito ufficiale: http://www.provincia.milano.it/cultura

*Simona Lodolo, per gli amici “Supersimo”.

martedì 1 aprile 2014

Ma perché lo fai?

A proposito della “Stramilano”, Lorenzo mi invia alcune foto che lo ritraggono. E così commenta: “Ma perché uno si deve ridurre in questo stato…?”
Fa dell’ironia il novello Filippide…! In realtà, la frase è mia, e la usai come ultimo, estremo tentativo per cercare di dissuaderlo dall’insano proposito di correre quell’assurda gara, peraltro sotto un paventato diluvio. L’ultima edizione della competizione infatti si è tenuta un paio di settimane fa e si è svolta sotto acqua e grandine. Mi rispose: “Ma sì, poi vediamo: al limite faccio solo un pezzetto e poi mi ritiro”.
In realtà Lorenzo, nonostante appaia distaccato ed estremamente decubertiano nel suo approccio alla disciplina, è profondamente orgoglioso di ciò che fa. Come chiunque riesca a correre per 42 chilometri e passa. E questo lo si evince quasi sempre dalle risposte semi-serie che restituisce ai miei immancabili frizzi e lazzi colmi d’invidia: “Com’è andata la corsa? Ti hanno riso dietro anche sta volta?” - “Ma no, è andata bene: sono arrivato 295esimo” (omette peraltro sempre di dire quanti sono i partecipanti: ndr) - “Ah però, complimenti: hai nulla in contrario se vado in giro a vantarmi di avere un amico così forte?” - “No figurati, fai pure…”.
Ecco ora mi domando e dico: guardando la foto qui accanto, cosa vi viene in mente? Appena l’ho vista ho pensato: “O mamma, gli scappa uno sternuto fortissimo, ma ha visto il fotografo e si sta trattenendo”. Errore gravissimo peraltro, dato che queste manifestazioni corporali non vanno mai trattenute: e ciò che non esce dall’alto, per forza di cose deve uscire da qualche altra parte…!
Poi però, osservando bene il volto di Lorenzo, sofferente, sfinito, al limite del crollo psico-fisico, mi è sovvenuta una scena tra le più grandiose della cinematografia mondiale di ogni tempo: “Per arrivare a timbrare il cartellino d’entrata alle otto e trenta precise, Fantozzi sedici anni fa cominciò col mettere la sveglia alle sei e un quarto. Oggi, a forza di esperimenti e perfezionamenti continui, è arrivato a metterla alle sette e cinquanta: vale a dire al limite delle possibilità umane. Tutto questo salvo imprevisti […]”. Ecco, nel seguito del film il tragico ragioniere, salta giù dal terrazzino, si arrischia l’autobus al volo (trascinando con se tutti i passeggeri…), viene preso a calci e, dopo infinite peripezie, riesce ad arrivare alla mega ditta. “Sono in un ritardo pazzesco, devo timbrare il cartellino…” - dice ai portantini dell’ospedale che gli hanno concesso pietosamente un passaggio. Mancano pochi secondi allo scoccare dell’ora fatale e nel lunghissimo corridoio i colleghi tutti assistono con viva e vibrante partecipazione a questo sforzo supremo: “Coraggio ragioniere che ce la fa!” - “Un altro sforzo ed è fatta - “Mancano solo cento metri”. Poi, ad un soffio dal traguardo, il crollo: Fantozzi va giù a pelle di leone e i due uscieri che lo scortano fedelmente cercano di rialzarlo. Ma proprio in quel momento sopraggiunge un integerrimo direttore che inveisce: “No, non lo aiutate sennò è squalificato: deve farcela da solo”.
Ecco, ditemi voi se quell’espressione di Lorenzo non è più o meno la sintesi di tutto questo…!

Anteprima “Rimini”

Molte persone, quando in questo periodo dell’anno comincio ad accennare alla biciclettata di Rimini, mi guardano perplesse e, non riuscendo a controllarsi, esplodono con un irriguardoso: “Ancora…? Un’altra volta a Rimini…? Ma perché non cambiate meta sta volta?”. Al che io le fisso con un sorriso sornione appena accennato, tra il bonario e l’irridente, e mi sento come colui che si trova di fronte ad un tizio che pone domande ingenue, oziose, che non necessitano di risposta tanto sono banali e scontate.
Perché ritornare per l’ennesima volta a Rimini? Perché non cambiare, almeno per una volta, destinazione? Ecco, questa l’obiezione. E questa è la risposta: la biciclettata di Rimini è ormai una tradizione, e come ogni buona tradizione che si rispetti, anche questa deve necessariamente tenere fermi determinati capisaldi: se l’appuntamento si definisce da sempre “Biciclettata di Rimini”, che senso avrebbe spostarci altrove quest’anno, poniamo caso, in Liguria? E perché no magari non più in primavera, ma in estate. A quel punto bisognerebbe cambiare dicitura: “Biciclettata ligure estiva”. Sentite come suona male…? Mette orrore solo a pronunciarla una “roba” simile…!
Rimini per me e per altri come me, rappresenta non solo, e non più, una località balneare in cui ci si trova bene, si è bene accolti e non si spende troppo (che non guasta tra l’altro, dato il periodo…). E non è neanche ciò che molti (profani…) credono, ovvero baldoria, discoteche, sballo e poco altro. Rimini in primavera è diventato una sorta di sogno da inseguire nei lunghi mesi invernali, la porta d’accesso alla stagione delle stagioni, il caldo, la luce, i colori, i profumi che ritornano dopo il freddo grigiore dei mesi bui. È il ritorno alla gioia condivisa, assaporata pedalando su e giù per le colline dell’Appennino romagnolo; gustata a brevi sorsi, o tracannata di rigore, attorno ad una tavolata goliardica di amici ritrovati; inalata a pieni polmoni in riva al mare e sulle spiagge già calde, eppure ancora semideserte. In una parola, Rimini significa tornare a casa. O meglio ancora - e consapevole dell’enormità che mi accingo a scrivere - Rimini vuol dire FELICITÀ. E sì, perché al netto appunto della più indicibile delle parole, “felicità”, questa è un po’ la sensazione che provo quando penso ai giorni trascorsi - e soprattutto a quelli che verranno - in questo luogo della riviera. D’altra parte felicità è prima di tutto proiezione verso il futuro. Un lungo fine settimana vissuto al massimo dell’intensità esistenziale, unico (una volta all’anno), evocativo, fugace eppure capace di regalare piccoli spicchi di eternità. Come diceva giustamente Fellini: “Io credo che se uno vive intensamente in pienezza spirituale ogni istante, gode per un anno e ogni anno diventa cinque anni più giovane!” (La dolce vita).
E così la biciclettata di primavera - giunta ormai alla quinta (o sesta? boh…) edizione - diviene tradizione consolidata, rito di passaggio che segna l’inizio ufficiale del tempo di raccolta. E come ogni anno di questo periodo ci si prepara al grande evento, si mettono a punto i programmi, gli itinerari, i luoghi da visitare: “Oh Lu, stesso albergo dell’altro anno: colazione ok, e parcheggio bici comodo e sicuro”; “Sì Ale, e poi aperitivo al chiringuito sulla spiaggia, e cena a base di pesce al Club Nautico”; “Ok, e avvicinamento a Rimini facendo la panoramica di Gabicce Monte”.
E ragionando di tutto ciò, già si gusta stilla a stilla un po’ di quel nettare che scorrerà brioso e abbondante nelle vene. E ci si sente ebbri sulla fiducia...!
E dunque che Rimini sia…! Le date? Eccole: 6-7-8 giugno. Segnatele con il lapis rosso sull’agenda.

A presto.