Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

mercoledì 13 marzo 2013

La noia, questa sconosciuta

A fine febbraio il Wall Street Journal si è occupato di un argomento assai particolare: la noia. Il che è già una notizia, dato che stiamo parlando di un giornale che da sempre ha fatto dell’economia e della finanza il suo cavallo di battaglia. Certo in questi giorni di conclave, di assalti (fortunatamente pacifici) ai tribunali, di ansiogeni colloqui politici e di moniti presidenziali (sempre “con viva e vibrante partecipazione”) c’è poco da annoiarsi. Al massimo c’è da arrabbiarsi. Ad ogni modo l’argomento ci sembra interessante, anche perché pare che negli ultimi tempi ci sia un crescente numero di ricerche scientifiche volte ad indagare questo particolare stato d’animo. Non per niente da ormai tre anni si tiene la Boring Conference, una conferenza annuale sulla noia, che attira centinaia di psicologi, neurofisiologi, antropologi e altri studiosi. E così il quotidiano statunitense ha raccolto alcuni di questi lavori e li ha messi a disposizione dei lettori, introducendo l’articolo con il consueto humour anglosasso-ne: “sperando di non annoiarvi”. Ma in quale maniera i ricercatori possono scandagliare la noia umana? Semplicissimo: basta propinare ad un gruppo di malcapitate cavie le più mortifere attività che vi siano sulla faccia della Terra e vedere l’effetto che fa. Per esempio alla Guelph University, nell’Ontario, i volontari vengono obbligati a contare quante volte una lettera ricorre in una lunga lista di citazioni bibliografiche; all’Università di Limerick, Irlanda, invece pare che i soggetti vengano costretti a visionare per ore ed ore, ininterrottamente, un lungometraggio educativo sugli allevamenti di pesce; all’Università di Waterloo, in Belgio, vengono legati con cinghie di contenimento alle sedie e obbligati ad assistere alla proiezione di un video di un uomo che tosa l’erba, pota le siepi o appende la biancheria. Dio mio, roba da suicidio. E per evitare che i dati della ricerca vengano falsati, pare che ci siano anche degli addetti pronti a intervenire con piatti e xilofoni acustici nel momento in cui un volontario, sfinito dalla noia, sia sul punto di addormentarsi di schianto. Non so, a questo punto – tortura per tortura – metteteli anche in ginocchio sui ceci. Che poi, dico io, non c’è mica bisogno di cavie, basta andare in una qualsiasi catena di montaggio, in un qualsiasi ortomercato dove ci siano addetti alle selezioni di agrumi e ortaggi vari e fare un paio di domande tipo: “E dimmi un po’, ti annoi a scartare limoni bacati tutto il giorno?”. Probabilmente comincerebbero a volare le cassette di frutta.
Da sempre considerata una condizione “malata” dell’animo, manifestazione di disagio, di insoddisfazione, di preludio alla depressione, la noia, secondo studi recenti sarebbe causa di disturbi psichici, obesità, abuso di alcol e droghe. Le persone che si annoiano, sostiene una ricerca del 2010, avrebbero un rischio doppio di ammalarsi di disturbi cardiaci rispetto alla media della popolazione. Dagli studi emergerebbe che per gli annoiati, la noia è quasi sempre uno stato d’animo riferibile a fenomeni esterni all’individuo ovvero agli altri: “questa lavoro è oscenamente noioso”; “questa compagnia è una palla”. Quasi nessuno associa la noia ad una propria condizione personale, ad una causa interiore.
E gli studiosi cosa dicono in merito? Hanno qualche consiglio pratico da offrire, di quelli un tanto al chilogrammo? Sì, certamente. Mettiamo il caso che il vostro lavoro sia alienante, ripetitivo e fastidioso (oltreché sottopagato, data la crisi): bene, il sistema migliore per vincere la noia è pensare che esso abbia comunque, e nonostante tutto, una sua utilità sociale. Insomma, basta prendersi un po’ per il culo da soli e tutto è risolto. In alternativa, fare attività fisica, “anche solo una passeggiata”. Non si precisa se la passeggiata si può e si deve fare anche durante l’orario di lavoro: certo sarebbe un gran bel vantaggio. «Ehi tu, dove cavolo te ne vai a quest’ora? E la produzione?». «Ma no, tranquillo: vado a fare due passi perché mi annoio a stare tutto il giorno alla pressa. D’altra parte lo dicono anche gli studiosi…». In altre parole il suggerimento è: invece di rintracciare le cause della noia, cerchiamo di sfuggirle, di dimenticarla, anche facendo ricorso ad artifici e raggiri dozzinali. Un po’ come quando si butta giù un cache per il mal di testa: curi il sintomo, ma non la causa. Ma qui ovviamente stiamo parlando di scienza. E per la scienza – a parte una teoria che assocerebbe la noia ad un corto circuito nella rete del sistema nervoso che controlla la capacità d’attenzione – , la soluzione al problema del meccanismo e delle cause di questo tedioso stato d’animo è ancora una chimera. Mancanza di azione, ozio, monotonia, ripetitività, inerzia. Accidia. Cos’è la noia? Fino a qualche tempo fa i filosofi s’interrogavano su questo tema, e si davano anche delle risposte. Poi però la cultura del “tutto e subito”, del prontuario di rapida consultazione sotto mano ha avuto la meglio e dunque non si è più perso tempo a indagare, a conoscere il profondo. E di conseguenza ora brancoliamo nel buio come tanti ciechi, sperando che qualche esperto di chiara fama c’illumini con un consiglio usa e getta. Pascal per esempio, già nel ‘600, afferma che le frenetiche occupazioni dell’uomo moderno hanno reso gli individui incapaci di godere del riposo, dell’otium e quindi della serenità interiore. E che in ultima analisi tutto questo affannarsi non è altro che uno stratagemma per non pensare all’infelicità della condizione umana: “E quelli che sull’argomento fanno della filosofia e che giudicano assai poco ragionevole che la gente passi l’intera giornata a correr dietro a una lepre che non si vorrebbe aver comprato, non capiscono nulla della nostra natura. Quella lepre non ci impedirebbe la vista della morte e delle altre miserie, ma la caccia, che ce ne distrae, può farlo… e quand’anche ci si vedesse abbastanza al riparo da tutte le parti, la noia, di sua privata autorità, non farebbe a meno di venire a galla dal fondo del cuore, dov’è naturalmente radicata, e di riempire lo spirito con il suo veleno” (Pensieri). Per Schopenhauer “la vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia… Il godimento è solo un punto di trapasso impercettibile nel lento oscillare del pendolo”.
L’essere umano è l’unica bestia del creato consapevole del suo destino, della sua fine, ed è più che ovvio che abbia una paura atavica e smisurata. In funzione di ciò si crea una serie di attività che, oltre a permettergli di procurarsi la sussistenza, gli consentono anche, e soprattutto, di tenere la mente occupata, di divagare e di non pensare alla sua esistenza. Perché pensare all’esistenza, inevitabilmente conduce a pensare alla morte. E nulla è più spaventoso del pensiero della morte, della non esistenza. Molti anni fa il padre di un mio amico andò in pensione: aveva passato quasi quarant’anni alla catena di montaggio della Magneti Marelli. Una vita intera a provare motorini d’avviamento. Ebbene, il pover’uomo, privato all’improvviso di quel lavoro, di quell’orrendo esercizio quotidiano, noioso e ripetitivo, ma che pure gli occupava la vita, non resse e decise di suicidarsi con gas di scarico dell’auto. Perdendo quella tortura quotidiana, quell’uomo aveva perso tutto se stesso, tutte le risposte alla sua esistenza. Davanti a lui non c’era rimasto che il vuoto assoluto, niente più che potesse stordirlo e distrarlo mentre cerca di sfuggire da sé stesso. Una storia che la dice lunga sulla condizione dell’uomo di oggi: esisti e dunque hai un ruolo solo e soltanto se sei attivo lavorativamente parlando. Il lavoro, che un tempo era una parte limitata della vita, ora è divenuto il fulcro dell’esistenza, tanto che quando esso cessa, cessa anche la vita. D’altra parte il concetto stesso di “tempo libero” la dice lunga sulla nostra epoca. L’altro giorno passeggiando per strada mi sono imbattuto in una targa “E.N.T.L.” – Ente Nazionale Tempo Libero. Non credevo ai miei occhi. E poco più avanti ho incrociato una gelateria artigianale con un cartello: “Consegne a domicilio”. Consegne anche per il gelato, prelibatezza che da sempre viene associata alla passeggiata, allo svago, alla divagazione. Una società che arriva a questo ha perso completamente il senso del tempo, che in fin dei conti è l’unico bene prezioso cui abbiamo. Ed è limitato e non recuperabile. Ecco, la noia è questo: l’attimo in cui, privati della frenesia e dello spasmo vitale, ci fermiamo a riflettere. E riflettendo ci accorgiamo della finitezza della nostra vita. E questo provoca inevitabilmente un senso di disagio, di angoscia, di desiderio di evasione. In altre parole la nostra è un’esistenza in continua fuga. Scrive Massimo Fini in un articolo: «Un primo pomeriggio di un luglio milanese, canicolare e patibolare, di parecchi anni fa, mi aggiravo nei corridoi de Il Giornale alla ricerca del mio amico e collega Massimo Bertarelli cui mi lega, nonostante si sia tutti e due assai imbolsiti, l’antica e comune passione per il gioco. Ma passando davanti alla stanza del Direttore (Montanelli: ndr), che aveva la porta aperta, vidi con sorpresa Indro alla scrivania, davanti alla macchina da scrivere vuota, in atteggiamento meditabondo. Mi affacciai: “Che ci fai qui, Direttore, alle due di pomeriggio d’un giorno di estate?”. “Che vuoi”, rispose, “se sto a casa penso alla morte e quindi preferisco venire qui a scrivere”».
Ecco, questa è la noia.

Nessun commento:

Posta un commento