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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

martedì 30 aprile 2013

Bon ton da ufficio: le dieci cosa assolutamente da evitare

Ieri ci siamo occupati dello “stress da lunedì”, oggi, tanto per restare in argomento, discuteremo di galateo da ufficio, o meglio di tutti quei comportamenti che sarebbe più opportuno evitare per arrecare il minor fastidio possibile ai propri colleghi. D’altra parte si sa, la convivenza forzata sul luogo di lavoro spesso è causa di attriti e incomprensioni e quindi ben venga qualcuno che ci chiarisca le idea in questo campo. Per fare ciò ci affidiamo ad una ricerca pubblicata qualche mese fa sul quotidiano britannico Daily Express. Secondo gli studiosi inglesi, la cosa che dà più frustrazione in assoluto in ufficio (57 per cento degli intervistati) è il “noisy eating” (mangiare rumorosamente). Il giornalista inglese usa un’espressione quasi onomatopeica: “colleagues who chewed their food noisily”. Quel “chewed” richiama il termine chewing-gum, la gomma da masticare, e a tutti viene in mente l’immagine di un tizio che “ciancica”, che manda su e giù la mandibola, emettendo dalla bocca sconciamente aperta, sonorità raccapriccianti. Trasponete il tutto sul luogo di lavoro, magari nella sala riunioni trasformata per l’occasione in mensa aziendale, ed avrete un bel quadretto completo. Di questi tempi poi, è diventato assai di moda portarsi il cibo da casa e consumarlo in ufficio. Alcuni addirittura, per espletare questa più che trascurabile attività fisiologica, non abbandonano neanche la propria scrivania. Disseminando peraltro briciole e residui organici ovunque. Un tempo, quando la crisi non aveva ancora stravolto le nostre abitudini, c’era chi si recava al bar, chi alla pizzeria; c’erano poi quelli che in luogo della pausa pranzo (ridotta all’essenzialità di una barretta energetica) si sottoponevano a sedute intensive di tapis roulant, body building, acqua-gym, spinning e altro. Dicevano tutti di sentirsi molto bene al ritorno dalla palestra, ma poi non si capiva perché il portiere dello stabile, quando li vedeva rientrare, non li riconosceva e si impuntava perché gli venisse mostrata la carta d’identità. A dire il vero non è che costui avesse completamente torto: tutti, nessuno escluso, dimostravano vent’anni di più. E per di più erano stanchi e sul lavoro traccheggiavano. Ma come detto, le ristrettezze economiche hanno quasi azzerato queste pratiche sommamente deleterie e così ora ci si ritrova tutti appassionatamente insieme a condividere il cibo. Secondo la ricerca infatti, tre persone su quattro pranzano in ufficio. E da ciò ne derivano ulteriori fastidi: “messy” (disordine, non il giocatore del Barcellona), “not washing up” (mancanza della pulizia dopo aver sporcato) e “smelly food” (cibo maleodorante). A chi in effetti non è mai capitato di sedere accanto al collega con i contenitore di plastica dura, quelli in cui la sera prima sono stati accuratamente ordinati cavoli, broccoletti e legumi vari? In un attimo tutto l’ambiente diviene saturo di odori nauseabondi e quel poco di appetito che ancora ti restava, finisce inevitabilmente nella spazzatura. Insieme alla tua fetida piadina fredda e rinsecchita.
Ma passiamo oltre che di ciò ve n’è già abbastanza. Altro comportamento assai sgradito è il ritardo. Far attendere una o più persone è davvero un’azione poco riguardosa. I ritardatari non sono persone cattive, né provano piacere per ciò che fanno. Di solito si dividono in due categorie: nella prima vi sono coloro che, vivendo costantemente nell’apprensione e nel timore di arrecare disagio a chi li attende, pianificano ogni cosa, nel minimo dettaglio. Poi però saltano sempre fuori degli imprevisti e addio sogni di gloria. C’è qualcosa di assolutamente scientifico nel concatenarsi degli eventi che conducono ad un ritardo. Nella seconda categoria viceversa, ci sono quelli per i quali la puntualità è un concetto misterioso e inafferrabile, antropologicamente assente dalla loro coscienza. In questo caso non c’è speranza alcuna.
Altro atteggiamento sommamente irritante è “non ascoltare o interrompere” i discorsi dei colleghi. In tutto ciò vi è mancanza assoluta di rispetto per l’interlocutore, disinteresse per ciò che pensa e dice, maleducazione, prevaricazione, arroganza. In Puglia per esprimere questo concetto di usa dire: “Meglio essere cornuto che male sentuto”. E ancora, altra cosa spiacevole è il “clicking pens” (aprire e chiudere di continuo le penne a scatto). Chi compie questo gesto – per lo più compulsivo – durante una riunione, manifesta immediatamente nervosismo, insofferenza, fastidio, e di conseguenza provoca un disagio nella persona che gli sta davanti. Quasi sempre il dirigente dell’azienda. Se poi a ciò si associano anche sguardi lanciati a ripetizione verso soffitto e finestre, sospironi e sbadigli malamente celati, vuol dire che la situazione è disperata. A quel punto l’unica cosa da fare è chiedere una piccola interruzione e correre giù al bar per un Fernet.
In fondo alla classifica troviamo le telefonate private e gli sfoghi circa i propri problemi fisici, familiari o esistenziali. Le prime provocano devastanti deficit d’attenzione sul lavoro (talché conviene scendere di nuovo al bar, senza essere visti dal dirigente di cui sopra); i secondi sono ancora peggio, dal momento che la depressione, come ha dimostrato una recente ricerca statunitense, si trasmette da una persona all’altra già dopo tre mesi di “trattamento”. E poi altro che Fernet…!
Ecco, se vogliamo evitare di trasformare l’ambiente di lavoro in una bolgia dantesca, basta seguire qualche piccola regola di buona educazione. Niente di trascendentale: la nostra libertà finisce là dove comincia quella del nostro prossimo. E viceversa.

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