Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

giovedì 11 aprile 2013

La giornata ideale

“Day Reconstruction Method”. È questo il nome che Sebastian Pokutta dell’Università Jacobs de Brema e Christian Kroll, docente alla Georgia Tech statunitense, hanno dato al loro studio volto a classificare le attività della giornata in base alla soddisfazione che offrono. In altre parole è stato chiesto ad un gruppo di persone di immaginare la propria giornata ideale: cosa farebbero, avendone la possibilità, per assaporare pienamente felicità, soddisfazione personale e benessere interiore. I criteri presi in esami dalla ricerca riguardano tutte le maggiori tematiche della vita, dal matrimonio al lavoro, dal successo economico alla sfera affettiva, e sono inquadrati nell’arco temporale delle sedici ore della giornata (escluse dunque le otto ore di sonno). E cosa è saltato fuori da questo meraviglioso gioco dell’assurdo? È presto detto: al primo posto, con ben 106 minuti tondi, si classifica la voce “Intimate relations”, tradotto in maniera assai sbrigativa dai nostri media con la parola “sesso”. Meglio sarebbe restare fedeli al testo e tradurre con “Relazioni intime”. Che ha ben altra valenza e portata. Al secondo posto, con 82 minuti, troviamo la voce “Socializing”. E già qui possiamo fare due conti: ben tre ore della giornata dedicate alla sfera affettiva e relazionale: che meraviglia. A seguire troviamo “Relaxing” (78 minuti), “Eating” (75), “Pray/meditate” (73), “Exercising” (68), “On the phone” (57). Mio Dio, 57 minuti al telefono??? Già…, e non finisce qui: “Shopping” (56), “Watching TV” (55), “Preparing food” (50). Al fondo della classifica, dopo la cura della casa, la cura dei figli, il computer e altro ancora, troviamo… udite udite: “Working”, con la bellezza di 36 minuti. Per avere il massimo del benessere possibile, ad un individuo medio basta poco più di mezzora di lavoro. Caspita, questa sì che è una vera novità. Alla faccia di tutte le affermazioni retoriche che, fin dai tempi di Stakanov, hanno magnificato il lavoro come manifestazione di progresso civile, evoluzione umana, appagamento, soddisfazione, gioia. Ma fatemi il piacere: il lavoro è fatica e questa ricerca non fa che confermare ciò che tutti pensiamo. Da sempre.
In merito a ciò, da qualche giorno il mio amico Alessandro di Roma ha cominciato a scrivermi messaggi di questo tenore: “Ah Luì, e qua bisogna dasse ‘na mossa. Me so rotto de fa’ er poveraccio, de campa’ in una squallida catapecchia de periferia. Vojo vivere in un attico a Piazza de Spagna, avecce la villa al mare e la barca ormeggiata al porticciolo. Dovemo trova’ ‘na soluzione”. Al che ho risposto: “Non saprei, potremmo magari lanciarci nel business dei tombaroli”. E lui: “Daje, non scherzamo…! Ho studiato la situazione, direi che tra i giochi disponibili e che possiamo tentare con maggior fortuna (o forse meglio dire con minor sfortuna) ci sarebbero le varie forme del Lotto, escluso il Superenalotto perché sono soldi quasi certamente buttati. Il calcolo delle probabilità è davvero feroce. Dovremmo giocare un mega-sistemone, e possibilmente trovare un finanziatore. Quel tuo amico maratoneta, come sta messo a quattrini?”. “Non saprei, mo chiedo…!”.
In effetti, chi di noi non ha mai pensato e sperato di fare una grossa vincita e di sistemarsi per tutta la vita? Certo le probabilità di incassare qualche milionata al gioco, come dice giustamente Alessandro, sono veramente pochissime, quasi una chimera. Ci vorrebbe una fortuna sfacciata. Meglio a sto punto sarebbe scoprirsi all’improvviso unici eredi del classico zio d’America. Ma ci pensate, da un giorno all’altro la vita sarebbe stravolta letteralmente: niente più lavoro, niente più ufficio con colleghi rompicoglioni annessi, niente più mutuo, ristrettezze, sacrifici. Solo un’esistenza fatta di agiatezza, relax, niente pensieri, piaceri senza limiti.
Già, ma per avere tutto ciò, cosa sareste disposti a fare? Leggete un po’ quanto segue e meditate… meditate:

«Sa perché c’è tanta delinquenza in giro? Perché non c’è più nessuno che abbia voglia di lavorare, caro ragionier Fantozzi!». Gli diceva Filini in uno di quei terrificanti pomeriggi di aprile, nei quali gli veniva voglia, guardando la primavera fuori, di fare tutto: andare al mare, leggere un libro sotto una magnolia, innamorarsi di una ragazza di 22 anni, giocare a bocce, portare sua figlia al cinema, ma non certo di stare otto ore in quella fogna maledetta. «Be’, in fondo noi non ci dovremmo lamentare – rispose Fantozzi – perché se osserviamo bene la condizione di tutti gli altri, noi siamo forse i più felici o meglio i meno infelici: non abbiamo le responsabilità che hanno i dirigenti, abbiamo la cassa malattia, la mensa, il sabato libero, le ferie pagate e soprattutto lo stipendio assicurato…». «Fame assicurata…! – lo interruppe Filini quasi incazzato – caro il mio illuso, con quello che costa vivere oggi lei ha solo la sicurezza di morire di fame, nessuno a voglia di fare un cazzo, i giovani vogliono tutto e subito, nessuno è disposto a fare sacrifici di nessun tipo» fece una pausa «alle volte mi verrebbe voglia di fare una rapina e mettermi a posto per tutta la vita». Si guardarono negli occhi con una strana intensità, in silenzio per quasi sei minuti poi Filini disse: «Ragioniere e se tentassimo? E metta caso che andasse bene, se l’immagina le soddisfazioni?». Fantozzi aveva la faccia rossa per l’emozioni: «Io come prima cosa andrei su da Colombani senza farmi annunciare, entrerei di colpo e gli cagherei sulla moquette». «Io – disse Filini – entrerei nudo da Semenzara, gli piscerei sulla scrivania e rutterei a pieni polmoni». Si stavano caricando come bestie. «Io – incalzò Fantozzi – andrei su da Catellani con un giornale pieno di merda e gli direi: “Ci sono brutte notizie per lei, legga qui” e glielo strofinerei sulla faccia». «E s’immagina ragioniere, non doversi più svegliare alle sette, asportarsi una basetta con una rasoiata e scaraventarsi in questa fogna!». «Ma invece – incalzò Fantozzi – svegliarsi alle undici, prendere un caffè a letto, leggere la Gazzetta dello Sport in cesso, una lunga, lenta barba in una vasca calda, una camicia croccante e lentamente scendere al bar a giocare a biliardo». «Il pomeriggio – disse Filini che aveva quasi le lacrime agli occhi – una pennichella fino alle sedici e trenta, un bel caffeuccio e poi al cinema». Si guardarono ancora lungamente negli occhi. Poi Filini, rompendo un altro silenzio di sei minuti disse: «Eh, ma se tentassimo sul serio, ma proprio sul serio?».
(Fantozzi contro tutti, Rizzoli 1979).

P.S. Vi risparmio il finale perché è veramente agghiacciante...!

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