Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 8 aprile 2013

L’arte di darsi delle arie

Joseph Pujol, 1857 - 1945
Io non amo andare al cinema. Un po’ perché un film per piacermi deve essere proprio un capolavoro, e ultimamente siamo veramente messi male, un po’ perché vi sono una serie di motivi contingenti non legati all’arte cinematografica. Ad esempio mi dà molto fastidio la costrizione (perché se la sala è vuota, devono obbligatoriamente mettere i pochi disperati spettatori uno accanto all’altro?), non tollero i rumori di sottofondo, il chiacchiericcio, lo scartocciare pop-corn e snack vari, il tossicchiare dei ventidue malati di faringite sempre presenti ad ogni spettacolo. Senza considerare il costo del biglietto, che nelle fasce di punta ormai è arrivato a superare i sette euro. Solitamente poi al cinema si va al pomeriggio, dopo pranzo; o anche dopo cena. Il momento meno indicato per sedersi in mezzo ad altra gente, intruppati tra estranei, in un ambiente scarsamente ossigenato e dove la temperatura non scende mai sotto i trentadue gradi. Gli antichi greci, ad esempio, andavano a teatro al mattino presto e poi ci restavano spesso tutta la giornata. Noi moderni invece siamo più furbi, e preferiamo andarci quando sonnolenza e apatia raggiungono il culmine. Negli spettacoli serali dei teatri italiani, ad esempio, per fronteggiare il temibile fenomeno “cecagna”, che colpisce il 98 per cento degli spettatori, viene messo in atto uno stratagemma semplice eppure assai efficace: gli attori, approfittando dei momenti di silenzio scenico, esplodono in urla portentose o in rimbombanti salti sul boccascena. Anche se completamente assenti nel copione. L’effetto conseguente è il risveglio drammatico e immediato della platea dormiente. È pur vero che in galleria qualcun viene colpito da infarto miocardico fulminante, ma infondo questo è solo un effetto insignificante e collaterale del fruire di cultura. Ma più di tutto questo, c’è una cosa che mi spaventa oltremisura: i borborigmi. I miei naturalmente. Nel momento in cui il processo metabolico raggiunge il suo apice, noi molto astutamente ci andiamo ad accomodare fianco a fianco con altri sprovveduti digerenti. Che geni. E così, quando ancora qualche amica riusciva a trascinarmi di forza al cinema, mi capitava di trovarmi immediatamente in grosse difficoltà. D’altra parte quando la propria madre è un’esperta assoluta in fatto di pasta fatta in casa, ragù di vitello e maiale, e pastiera napoletana, c’è poco da stare allegri. Mi ci volevano pochi attimi per capire che la situazione era grave, ma non seria. Come diceva giustamente Flaiano. La pressione ventrale in questi angoscianti momenti diventa insostenibile e nell’atto di trattenere l’intrattenibile, cominciano a diffondersi per la sala dei miagolii imbarazzanti, alternati a brontolii osceni e gorgoglianti che inizialmente suscitano qualche smorfia d’ilarità, ma che nel breve volgere di qualche attimo, diventano motivo di litigate furibonde. E sì perché, tra l’altro, tali sonorità si effondono immancabilmente durante le scene di suspense, oppure nel corso di poetiche dichiarazioni d’amore, e in generale in assenza di dialoghi e musica. E in quei frangenti, al cospetto degli sguardi rancorosi e disgustati dei vicini, gradiresti assai essere in altro luogo. A quel punto non resta che cercare un po’ di umana pietà atteggiando sofferenza con una smorfia. Ma spesso si ottiene l’effetto contrario, perché il pensiero che sorge spontaneo è sempre e soltanto uno: “Ma se sta male, perché cavolo non se ne sta a casa sua, invece di venire qui ad ammorbarci con i suoi venti?”. Alcuni invece, incapaci di resistere a cotanta onta, si alzano di scatto e si recano alla toilette, nella vana speranza di liberarsi di tutte queste arie insane. Ma non c’è verso: c’è qualcosa di assolutamente scientifico nella chiusura delle “paratie” non appena si varca la soglia della ritirata. E così non resta che rassegnarsi alla tortura (propria e altrui) o, nella peggiore delle ipotesi, abbandonare la fidanzata al suo destino e fuggire verso la tundra più lontana.
Ora però, dagli Stati Uniti, giunge una soluzione geniale per questo drammatico problema: il Flat-D, ossia il Flatulence Deodorizer, deodorante per flatulenze. Nella sostanza si tratta di una sorta di pannolino molto sottile, composto di fibra di carboni attivi, che va applicato sull’esterno delle mutande. Gli ideatori garantiscono sulla qualità del prodotto, anche se ci tengono a sottolineare che l’efficacia dello stesso ha un arco temporale limitato a massimo due tre giorni. Poco tutto sommato, considerando che ogni assorbi-odore costa circa dodici euro. Ad ogni modo, questo potrebbe davvero essere un grosso aiuto per tutti coloro che non riescono a padroneggiare con sicurezza la propria esuberanza aerea, e che dunque rischiano costantemente l’allontanamento e la riprovazione sociale. Che poi, ad essere sinceri questo è un argomento che dovrebbe riguardare un po’ tutta l’Umanità. Gli esperti infatti affermano che la maggior parte degli uomini ha fenomeni di flatulenza tra le 14 e le 25 volte al giorno, e anche le donne non fanno mancare il loro contributo alla causa, sebbene in maniera ridotta rispetto agli uomini: tra le 7 e le 12 volte al giorno. E così ben venga questa trovata: pensate, ogni assorbente può immagazzinare fino a 75 flatulenze. Certo per quanto riguarda il rumore associato all’emittenza, occorrerà industriarsi in qualche altra maniera: in fondo il prodotto copre solo l’odore. Per l’abbisogna eventualmente si consiglia di sviare le tracce con opportuni colpi di tosse (anche ripetuti), oppure con stridii di sedie e scrivanie, o anche alzando considerevolmente il volume di televisori, stereo e altri apparecchi elettronici.
Che poi, ad essere sinceri, non si capisce perché si debba fare tutto questa attenzione a tali manifestazioni corporali. Si dice “ma è maleducazione” e dunque non si fa. Eppure, senza voler essere imprudenti, si potrebbe ricordare qui alcuni esempi preclari di arte associata a tale argomento. Qualche anno fa in televisione andava in onda Cinico Tv, un programma in cui comparivano attori non professionisti alle prese con performance sceniche innovative e rivoluzionarie: memorabile l’interpretazione di Paviglianiti che scende da una scalinata, modello Vanda Osisir, e ogni tre scalini si ferma per sollevare leggermente la gamba destra e diffondere una portentosa vibrazione sfinterale. Ma anche nel campo della letteratura abbiamo mirabili trattati e romanzi che affrontano la questione. Qualche hanno fa, ad esempio, è stato ridato alle stampe L’arte di petare - ovvero il manuale del subdolo artigliere, una raccolta di straordinarie massime di autori come Luciano, Ermogene, Quintiliano, in grado di illuminare (e un po’ anche ossigenare) il lettore su quest’arte ingiustamente trascurata e vilipesa da sempre. E poi c’è l’intramontabile Serge Gainsbourg con il suo immenso Gasogramma, autobiografia nella quale l’autore racconta delle sue registrazioni sismografiche di flatulenze, tracciate con il pennino su pregiata carta canson: produzione artistica che gli varrà fama e ricchezza, oltre ad un fascino sessuale ineguagliabile. E per concludere, come non ricordare Il Petomane, film del 1983 interpretato da uno strepitoso Ugo Tognazzi. È curioso pensare che tale vicenda sia tratta da una storia vera. Nella realtà il petomane era tale Joseph Pujol, nato a Marsiglia nel 1857. La sua specialità era intrattenere gli spettatori riproducendo “suoni” di alcuni strumenti musicali. All’età di trent’anni era già considerato una star e nel 1892 portò in scena le sue prodezze al Moulin Rouge di Parigi. Tra i suoi cavalli di battaglia, pare che ci fosse la riproduzione di effetti sonori di colpi di cannone e temporali, oppure esecuzione di canzoni popolari come O sole mio e La Marsigliese. Spesso usava anche accompagnarsi con un’ocarina, opportunamente “soffiata” attraverso un tubo di gomma infilato nell’orifizio meno nobile. Si dice che tale fosse la sua arte che era in grado si spegnere una candela anche da una distanza di diversi metri. Ai suoi indimenticabili spettacoli si dice che abbiano assistito anche Re Edoardo VII, Re Leopoldo II del Belgio e Sigmund Freud.
Che dire, la prossima volta che andrò al teatro, saprò come comportarmi. E voglio anche l’applauso.

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