Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

mercoledì 8 maggio 2013

Ciclisti di tutto il mondo unitevi

Restando in tema di bicicletta, domani si terrà il Bike to work day, giornata internazionale dedicata a chi va al lavoro in bicicletta. L’iniziativa, ideata dalla Lega dei Ciclisti Americani nel 1956, ha lo scopo di incentivare il pendolarismo in bici come alternativa salutare e sicura all’utilizzo dei mezzi a motore. Gli organizzatori dell’evento (Ciclomobilisti) distribuiranno volantini e materiale informativo ricordando che coloro che scelgono di recarsi al lavoro in bicicletta contribuiscono, oltre alla riduzione del traffico cittadino, anche alla riduzione delle emissioni di Co2, a tutto vantaggio dell’ambiente e dell’aria che respiriamo. Senza dimenticare che chi pedala compie un ottimo allenamento sia per il sistema cardiovascolare sia per tutto l’apparato muscolare. Tra l’altro, da recenti studi, pare che le comunità di cittadini con un maggior numero di ciclisti siano non soltanto più in salute, ma anche più educate e cortesi, oltre che più felici. Eppure, nonostante tutti questi benefici, l’uso della bicicletta per recarsi a lavoro in Italia, come abbiamo visto nel post di ieri, non decolla (5 per cento). Perché? Negli Stati Uniti, che come si sa sono avanti trent’anni rispetto a noi, questo problema è stato ampiamente dibattuto. Ciò che è emerso è che vi sono una serie di ragioni (più o meno plausibili) che giustificano il mancato uso della bicicletta. Ed essendo gli americani persone molto pragmatiche, ecco le soluzioni. Tra le scuse più diffuse vi sarebbe l’impossibilità di portare oggetti o cose troppo pesanti (pc portatili, contenitori per alimenti, borse ecc.). “Avete mai pensato di applicare un cestino o un portapacchi alla vostra bicicletta?” dicono i sostenitori delle due ruote. Sembra banale, ma spesso le bici sono sprovviste di questi accessori, e dunque inservibili per il trasporto di bagagli. Cicloturismo docet. E ancora molti sostengono che la bicicletta non si può utilizzare causa pioggia. E già qui io stesso avrei grosse difficoltà ad andare contro a tale obiezione. Ma gli americani no: “Basta indossare indumenti traspiranti, una giacca impermeabile, e avere un ricambio sul posto di lavoro”. L’ottimismo, come diceva quel tale coi baffi, è il sale della vita. E quando arriva l’inverno e la neve? Impossibile salire sulla sella, si direbbe. E invece no: “Se disponete di una mountain bike con un buon battistrada, non vi ferma nessuno”. In America poi tutti i ciclisti indossano il caschetto di protezione (mica come da noi…) e dunque una delle scuse più gettonate è quella che tale oggetto rovina la capigliatura. Ve l’immaginate una manager di successo con la messa in piega tutta scompigliata? Orrore. Soluzione? “Portare sempre con sé (o meglio tenere in ufficio) pettini, spazzole e tutto l’occorrente per rifare il parrucco”. Banale, no? Altro impedimento apparente insuperabile è il fatto che la bicicletta è un mezzo di trasporto lento e che dunque ci si mette troppo tempo per raggiungere la propria destinazione. Cosa vera solo in apparenza: nelle ore di punta e con il traffico congestionato, una bicicletta è infinitamente più veloce di un’automobile ferma in coda. Tralasciando tutte le tematiche legate allo stress della guida. E come conseguenza di quanto appena detto, ecco un’altra scusa ricorrente: c’è troppo traffico e dunque pericolo. Giusto: come negarlo? Gli indomiti sostenitori della bicicletta tuttavia replicano che non c’è alcun problema: “Basta usare tutte le precauzioni del caso, indossare il caschetto e rispettare le regole del Codice della Strada. Senza dimenticare di controllare sempre l’efficienza e il buono stato del proprio mezzo, comprese naturalmente luci e fanali”.
Negli Stati Uniti inoltre, non è raro trovare realtà lavorative in cui vi siano agevolazioni per coloro che decidono di usare la bicicletta. Tanto per cominciare vi sono spesso locali attrezzati con un kit comune per le piccole riparazioni: camere d’aria, giraviti, chiavi inglesi. Il minimo per far fronte alle necessità più frequenti e non restare appiedati. E ancora, docce, armadietti e spogliatoi: chi utilizza la bicicletta, potrebbe aver bisogno di una rinfrescata. Per il piacere proprio e per quello dei colleghi, aggiungerei. Lungimirante, direi. E gli incentivi, tipo buoni benzina, o rimborsi per il carburante? C’è qualcosa di simile anche per chi utilizza la bicicletta? Ebbene sì, gli americani hanno pensato anche a questo: kit, interventi di riparazione gratuiti, accessori, sconti nei negozi sportivi convenzionati, lezioni e corsi.
Uno degli altri motivi per i quali non si utilizza la bicicletta, è il rischio di furto. Ebbene negli Usa moltissime realtà lavorative stanno mettendo a disposizione dei propri dipendenti spazi comuni adibiti a parcheggio. E per i pendolari che arrivano da fuori città? Che si fa, li obblighiamo a mettersi in sella alle quattro del mattino? Improponibile. La soluzione sta nel trasporto integrato: treno (o autobus) più bicicletta in bike-sharing (con abbonamento agevolato). Bell’idea la bicicletta pubblica in condivisione, non c’è che dire. Molti anni fa a Milano c’erano le bici gialle del comune. Ebbero vita breve però: furono quasi tutte rubate o cannibalizzate delle ruote, delle selle, dei manubri. Un vero scempio. Ultimamente le nostre amministrazioni ci stanno riprovando, e pare che i risultati siano incoraggianti. Siamo ovviamente lontani dagli standard Usa, ma non disperiamo di avvicinarci prima o poi. A New York, per esempio, si sta pensando di ampliare i servizi relativi alla mobilità sostenibile grazie ad un nuovo progetto di bike sharing. Anche da quelle parti tuttavia non mancano critici e oppositori: “le rastrelliere rubano spazio per i parcheggi delle auto”; “aumentano le rimozioni forzate”; “deturpano l’estetica degli edifici di lusso”. Ed altre amenità di questo genere. E non bastasse questo, ci si è messa anche una norma infelice del regolamento del bike-sharing a creare problemi: l’utilizzo delle biciclette è vietato agli obesi. Il divieto scatta al di sopra dei 117 chilogrammi. Apriti cielo: sono piovute accuse di discriminazione a gogò. La ragione di tale norma in realtà risiede nei limiti di sicurezza indicati da parte dei costruttori delle biciclette, e dunque poca colpa ne hanno gli amministratori. Ad ogni modo il problema è facilmente risolvibile: insieme alle venti biciclette standard, basta aggiungerne un paio per le taglie extra-strong, con telaio rinforzato, copertoni tipo moto da enduro e sellino doppia piazza per culi abbondanti. Cari americani, mi meraviglio che non ci siate arrivati…!

(Fonte: http://www.huffingtonpost.com/2012/05/15/bike-to-work-week-bike-commute_n_1519099.html?ref=green&ir=Green#s=979976).

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