Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

martedì 12 febbraio 2013

L’ora dei lupi

La notizia è troppo importante per non occuparcene. Ieri il Papa, poco prima di mezzogiorno, si è dimesso. Era da oltre sei secoli, dai tempi di Celestino V (il Papa che fece “il gran rifiuto”) che non si assisteva ad un evento di simile portata. La notizia è arrivata improvvisa, come una folgore a ciel sereno, spazzando via in un istante tutte le insulsaggini che ammorbano queste infinite giornate di fine legislatura.

E sì, perché come di fronte ad un sipario squarciato, ci siamo resi conto d’improvviso di quanto siano piccole e insignificanti le faccende del mondo, quelle sulle quali ci accapigliamo tutti i giorni, da sempre. Ed in particolare strideva fortissimo il contrasto tra questo enorme capitolo della storia che si realizzava sotto i nostri occhi increduli, e le vuote e noiose parole lette e ascoltate fino ad un attimo prima da questi infimi pifferai che ci chiedono il voto. In un’intervista a La Stampa di oggi, Giovanna Chirri, vaticanista dell’Ansa, racconta di come ha appreso la notizia e di come l’ha divulgata al Mondo: «… poi ha parlato il Papa che, sempre in latino, ha pronunciato la formula di rito. Ho fatto un salto sulla sedia. Ma potevo dare una notizia simile senza conferma? Ho chiamato Padre Federico Lombardo, il capo della Sala Stampa Vaticana. Sì, mi ha detto, hai capito bene, il Papa si dimette. Ho riattaccato e ho dato la conferma. La notizia era in rete dopo pochi secondi». E il giornalista che l’intervista: «Avevi fatto uno scoop, il massimo per un giornalista». E lei: «Ma avevo anche vissuto una fortissima emozione umana. Era una cosa immensa, ed era accaduto tutto in pochissimi, concitati minuti. Sono stata attraversata da una scossa: la scelta del Papa mi aveva colpito e, umanamente mi dispiaceva moltissimo. Sono crollata sulla mia scrivania. E ho pianto».
La reazione della giornalista dell’Ansa è quanto di più umano si possa avere di fronte ad una notizia del genere. Tanto più che sapeva di essere probabilmente la prima a darne comunicazione al Mondo intero. Da quel momento in poi su tutte le radio, i telegiornali, i siti internet, i social network la notizia si è diffusa come una saetta, con una rapidità impressionante, cancellando d’un botto tutti i vecchi muffiti palinsesti. Superato l’iniziale sgomento, tutti hanno cominciato a chiedersi il perché e il percome di quel gesto: i teologi e gli esperti di diritto canonico hanno spiegato dottamente le ragioni delle dimissioni, i fondamenti della dottrina, i precedenti (uno solo, a dire il vero), e le conseguenze; i giornalisti d’inchiesta hanno tirato fuori arcane teorie complottistiche, misteriosi dossier e inchieste giudiziarie, scandali recenti e diatribe interne alla Curia Romana; i conduttori televisivi, al cospetto di un plastico raffigurante la Piazza di San Pietro, hanno lanciato subito il sondaggio su chi gli italiani vorrebbero come prossimo pontefice. In attesa dei risultati, a quanto pare ci sarebbero già degli esimi auto-candidati provenienti dalla classe politica italiana: il nome più papabile del successore dovrebbe essere “Pio Tutto”.
Ecco, al di là di tutto questo gran rumore, di cui francamente avremmo fatto volentieri a meno, le dimissioni di Ratzinger appaiono sconvolgenti sia per i laici che per i credenti. Per i primi si tratta comunque del venir meno di un Capo di Stato importantissimo, del rappresentante di uno degli ultimi poteri sovrannazionali. È vero che l’influenza della Chiesa Cattolica negli ultimi decenni è crollata ai minimi termini e che la sua guida ormai non è più considerata un faro neanche per gran parte dei suoi fedeli - figuriamoci per i non credenti - , ma parliamo pur sempre di una realtà diffusa su tutta la Terra, di un fortissimo sistema di potere, di proselitismo, di aderenze diplomatiche, di capacità di condizionare, nel bene o nel male, la vita politica di interi Stati. Ed infatti quasi tutte le prime pagine dei giornali del mondo di oggi riportano la notizia delle dimissioni del Papa, a dimostrazione che il mondo, non è indifferente di fronte a queste tematiche.
Per i credenti invece - quelli veri intendo - , la notizia è stata una batosta. Perché il Papa, al di là della simpatia e del gradimento che riscuote il pontefice del momento, è una di quelle pochissime figure che garantiscono certezza, stabilità, punti fermi: egli è l’autorità per eccellenza, l’istituzione che è lì da sempre, dalla notte dei tempi, inamovibile, imperturbabile, una garanzia costante “for better or worse”, come direbbero gli americani. Anche se il mondo va a scatafascio, anche se tutto va in malora, se non hai speranze, se non vedi un futuro…, lui è lì, affacciato a quella finestra a ricordarci che Dio c’è. Ma dopo aver ascoltato quella formula solenne in latino, quelle parole sottovoce, quasi soffiate con le ultime forze (“Fratres carissimi, non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vitae communicem. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum…”), per i credenti si è spalancata la notte buia e tenebrosa, l'ora dei lupi, in cui tornano antichi echi evangelici: “Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse” (Marco 14, 27-31). È lo stesso smarrimento provato alla morte di Giovanni Paolo II: un senso di abbandono, solitudine, paura, sgomento, di oscuri presagi. Come se l’umanità avesse perso la sua guida, il suo scudo, il suo paladino nei confronti del male del Mondo. Perché in effetti, per un cristiano, di questo si tratta. Il Papa è il vicario di Cristo in Terra, colui che porta la croce dell’Umanità, la sofferenza del Mondo, colui che, dovesse anche scomparire l’ultimo credente della Terra, resterà testimone fedele fino al ritorno del Figlio dell'Uomo.
Ecco, è da questa assenza che viene tutto il disorientamento, lo sbigottimento, il turbamento dei credenti.
Ieri tra l’altro era l’11 febbraio, giorno in cui la Chiesa Cattolica ricorda la prima apparizione della Madonna a Lourdes. Qualche tempo fa ho letto un’intervista a Vittorio Messori, giornalista del Corriere della Sera e scrittore, riguardante il suo ultimo libro, Bernadette non ci ha ingannato. Tra le altre cose, una mi ha colpito in maniera sconvolgente: il sorriso della Madonna. L’intervistatore chiede a Messori: «Da sempre, c’è chi denuncia come limite del cristianesimo la mancanza del riso. Tu racconti che la Madonna di Lourdes non solo sorrideva, ma anzi rideva…». E questi risponde: «Questo secondo me è uno dei segni più belli di verità. Rispetto alle altre apparizioni, Lourdes ha un clima talmente sereno… A parte i pochi momenti in cui si rattrista perché pensa ai peccatori, Maria sorride sempre, e addirittura ride. […]. La Madonna si mette a ridere quando Bernadette, temendo che sia il diavolo, l’asperge con l’acqua benedetta. Prima sorride, poi siccome Bernadette insiste, si mette a ridere. Ride anche quando le sue compagne spingono la ragazzina a presentarsi con una bottiglia d’inchiostro e una penna per chiedere all’Apparizione - Aquerò (quella là) - di scrivere il suo nome, e Bernadette arriva lì, tutta bardata con queste cose, e cerca di allungare penna e calamaio. L’Immacolata sorride, poi siccome Bernadette insiste, ride. Il bello è che il suo riso è contagioso. Le testimoni, due bambine, raccontano che anche Bernadette si mise a ridere come una matta avendo compreso quant’era ridicola la situazione».
Ecco, il riso: c’è qualcosa di più profondamente umano del riso? Una persona che ride mette a nudo i suoi sentimenti, trasmette sincerità, lealtà, trasparenza, desiderio di apertura verso il prossimo. La risata è la quint’essenza della spontaneità, della verità, crea empatia. Di una persona che ride ci si fida. Non per nulla è quasi impossibile fingere una risata: non c’è niente di più falso al mondo di una risata falsa. E la Madonna ride, in più di un’occasione: “Quindi gioiosa la Madonna - dice Messori - , ma gioiosa anche la sua ambasciatrice”. L’impressione che se ne trae da tutto questo racconto, da tutta la vicenda di Lourdes è che si sia trattato di un incontro tra due ragazzine, pressoché coetanee, contente di vedersi, dice lo scrittore. In un clima di serenità, di gioia, di allegria. Non ci sono foschi presagi, non ci sono profezie di sventura, non si parla di apocalisse e fine dei tempi. Da Lourdes esce un unico portentoso messaggio: la speranza.
Ecco, di fronte a questo momento difficile, di fronte a questo smarrimento, peraltro già travolto dal chiasso che caratterizza i giorni della nostra vita, mi piace pensare a quel sorriso, a quello sguardo di benignità con cui Maria guarda i suoi figli. Fino a che Aquerò sarà lì a sorriderci, non avremo nulla da temere.

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