Domenica scorsa nel cremasco si è svolto un evento decisamente fuori dall’ordinario: l’arrivo del treno a vapore. In questi giorni infatti si festeggia il 150esimo anniversario dell’inaugurazione della linea ferroviaria Treviglio – Cremona, portata a compimento il primo maggio del 1863. Per l’occasione, un gran numero di viaggiatori si è concesso questo viaggio fuori dal tempo, prendendo posto a Milano Lambrate ed attraversando tutta la bassa padana. Lungo tutte le stazioni intermedie una folla festante ha salutato l’arrivo del convoglio, e a Crema c’è stato l’accoglienza trionfale con tanto di banda musicale. Io di certo non potevo perdermi un tale spettacolo, anche perché a bordo vi era un mio cugino, e Dio solo sa quanto ci sarebbe rimasto male se non fossi andato a salutarlo, oltreché naturalmente ad immortalarlo con qualche opportuno scatto fotografico. Nell’attesa dell’arrivo del treno, vi era una gran confusione lungo i binari: famigliole con bambini in festa, foto-reporter d’assalto pronti a difendere con i denti la posizione conquistata, anziani dallo sguardo scettico (chissà quante volte avranno visto questa locomotiva sbuffare), curiosi e passanti accorsi più che altro per la folla presente. D’altra parte si sa, bastano un paio di operai intorno ad uno scavo per raccogliere nutrite schiere di spettatori, figuriamoci l’arrivo del treno a vapore. E così anch’io mi sono preparato a rendere immortale questo momento tanto atteso. All’improvviso, spaccando il secondo, si è udito un fischio lontano. E a quel punto l’entusiasmo e il clamore sono esplosi incontrollabili. Urla di giubilo, visi raggianti, occhi fissi all’orizzonte per intravedere la macchiolina nera in avvicinamento. Non appena il primo dei presenti ha lanciato il primo “eccolo là…”, i bambini hanno preso a correre lungo il binario, e dietro a loro mamme e papà preoccupatissimi. A quel punto ho scelto una buona posizione e mi sono preparato diligentemente con la mia fotocamera. E nel mentre, ginocchio a terra, mi apprestavo al primo scatto, ecco che un donnone alquanto distratto mi ha impallato l’obiettivo con il suo enorme culo. Il marito, per mia fortuna, le ha fatto notare la sgarbatezza e questa, senza neanche degnarmi di uno sguardo si è scansata di sette centimetri scarsi. Mi sono riposizionato poco più lontano e ho dato il via al servizio fotografico. Una decina di scatti nei quali si vedono la locomotiva a vapore tutta nera, tirata a lustro e agghindata da due tricolori laterali; un paio di carrozze “cento porte”, con le panche di legno (quelle che un tempo erano le terze classi); a seguire un altro paio di carrozze, le mitiche “Corbellini”, vetture più recenti (consegnate tra il ’52 e il ’54) e anch’esse destinate alla sola terza classe; e in coda due carri merci chiusi. Dai finestrini del convoglio vi erano affacciati i viaggiatori, gitanti sorridenti e rilassati. Non già pendolari furenti e avvelenati. Tra questi anche mio cugino e la fidanzata. Appena l’ho scorto gli sono andato incontro e questi mi ha fatto segno che sarebbe sceso per salutarmi. Sulla porta però vi era una sorta di vigilante con la pettorina gialla che, sigaretta all’angolo della bocca, impediva sgarbatamente lo sbarco: «Non si può scendere…!». «Neanche per un secondo?». «No, neanche per un secondo». Neanche si trattasse di un convoglio di deportati. E così, ridendocela di sottecchi, abbiamo scambiato qualche parola a distanza. Dopo una decina di minuti il treno, lanciando il suo classico fischio stridulo, si è rimesso in moto ed ha abbandonato lentamente la stazione diretto a Crema. Dai finestrini mani agitate a congedarsi; per chi è rimasto sul marciapiede il possente sferragliare delle carrozze, la nuvola bianca di vapore scaricata al suolo e il fumo nero lanciato verso l’alto. E dentro come l’impressione di aver assistito al passaggio non già di una macchina, ma di un essere vivente carico d’anni e di gloria, di aver visto un prodigio della natura all’opera, un mostro che respira, che sbuffa, che fatica a muoversi, ma che poi si lancia sui binari in un vortice di allegria, di libertà, cantando a squarciagola e divorando tempo e distanze.
Il 1863 è dunque l’anno in cui entra in esercizio tale linea, un’epoca tutto sommato abbastanza vicina a noi, eppure così lontana. Com’è mio costume sono andato a dare un’occhiata a cosa accadde in quei dodici mesi e come al solito mi sono ritrovato a stupirmi, nonostante si tratti di avvenimenti che dovrebbero far parte del nostro patrimonio culturale. Il primo gennaio di quell’anno Abramo Lincoln proclama l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti (due anni dopo sarebbe stato assassinato); tra maggio e luglio si svolgono le più sanguinose battaglie della Guerra di Secessione americana (Chancellorsville, Vicksburg, Gettysburg); il 23 ottobre Quintino Sella fonda il Club Alpini Italiano; nello stesso mese a Ginevra i rappresentanti di sedici nazioni danno vita alla Croce Rossa Internazionale; il Parlamento italiano approva la “Legge Pica” per la repressione del brigantaggio; Nadar compie le prime ascensioni in pallone su Parigi; a Londra viene fondata la Football Association, la prima federazione di calcio al mondo, e a seguire vengono codificate per la prima volta le regole del gioco del calcio (fonte: Wikipedia). Non ci si fa caso, ma in quell’anno l’Italia non è ancora unita completamente: il Veneto verrà annesso al Regno solo tre anni dopo (a seguito della III Guerra d’Indipendenza) e per ottenere Trentino e Friuli Venezia Giulia occorrerà attendere la fine della Prima Guerra Mondiale. La stessa Lombardia, del resto, fa parte dell’Italia da appena quattro anni. In precedenza apparteneva all’Austria. Ed è proprio grazie all’Austria che l’Italia del nord comincia a viaggiare sui treni. I primi progetti di unire Venezia e Milano tramite ferrovia, risalgono addirittura al 1835. La società Imperial Regia Privilegiata Strada ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta, inaugurò il 12 dicembre 1842 il primo tronco della linea, da Marghera a Padova; seguirono poi i tratti Padova – Vicenza e Milano – Treviglio (1846); e ancora Verona – Vicenza (1849); Coccaglio – Brescia – Verona (1854); e Coccaglio – Brescia – Treviglio (1857). Nel mezzo di questi lavori, la Prima Guerra d’Indipendenza. Con l’annessione della Lombardia al Regno d’Italia, si arriva alla separazione politica della rete ferroviaria austriaca da quella italiana. La costruzione delle strade ferrate tuttavia, rimane appannaggio di una società il cui capitale resta saldamente nelle mani austriache fino al 1875, anno in cui il Governo italiano riscatta la società e l’intera linea. Per arrivare a Cremona la linea dovette attraversare la pianura a sud di Treviglio. Spesso con espropri. La direttrice più immediata tuttavia, venne osteggiata dall’opposizione di gruppi di potere nel territorio di Vailate e così, i binari dovettero piegare verso est, attraversando Caravaggio. Su questo tratto il treno a vapore, detto familiarmente “Ciuff-Ciuff”, continuò a correre fino al 1966: oltre un secolo di onorato servizio. Venne quindi sostituito dalle locomotive a diesel, e nel 1977 arrivò l’attuale elettrificazione.
Che grandiosa epopea, che meraviglioso secolo fu l’ottocento! Che slanci umanitari, quanti ideali, quante lotte per la libertà. E che fiducia nel futuro, quanti sforzi per il progresso. Guardando a tutto questo glorioso passato non si può non fare un paragone con i nostri tempi. Cosa racconteranno i nostri discendenti della nostra epoca? Qualcuno si ricorderà del ventennio berlusconiano o del Governo Letta (E.)? E dei nostri treni attuali, quelli che ogni giorno sono costretti ad utilizzare i nostri sfortunati pendolari, qualcuno ne parlerà? Qualcuno verrà ad accoglierli, da qui a cinquant’anni, con la banda e la folla festante? “Ai posteri l’ardua sentenza”.
E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
Che l’uomo dominava con il pensiero e con la mano
Ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite
Sembrava avesse dentro un potere tremendo
La stessa forza della dinamite
La stessa forza della dinamite
(La locomotiva, F.Guccini).
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