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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

martedì 7 maggio 2013

Gli italiani e la bicicletta: più croce che delizia

Un paio di giorni fa sui media è apparso un’interessante studio promosso dall’azienda Belté sul rapporto degli italiani con la bicicletta. Ed essendo io un amante del genere, come d’altra parte molti degli amici del blog, non potevo perdermi l’occasione di approfondire la materia. Attraverso un migliaio di interviste telefoniche, su un campione casuale di persone che usano la bicicletta, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, la ricerca ha dipinto un bell’affresco delle abitudini e delle caratteristiche degli italiani che usano le due ruote. Il 60 per cento del campione, tanto per cominciare, afferma che pedalare ha il merito di mantenere in forma e in buona salute. Per quattro intervistati su dieci, la bicicletta rilassa e trasmette benessere interiore, aiuta a fare una vita meno sedentaria, e consente di stare in forma in modo piacevole. Ma oltre all’aspetto salutista, anche il rispetto per l’ambiente e il contatto con la natura, sono tra i vantaggi che gli intervistati attribuiscono alla bicicletta. Venendo però a quanti effettivamente utilizzano questo mezzo, e con che assiduità, non c’è da star granché contenti: più della metà del campione infatti afferma di inforcare la bici solo saltuariamente (avverbio che in Italia viene utilizzato pudicamente per non dire “mai”); un altro quinto degli intervistati risponde “solo in casi particolari” (che se possibile è ancora peggio di “saltuariamente”). Per sei italiani su dieci infatti, la bicicletta rimane soprattutto uno svago e non già un mezzo di trasporto ordinario, tant’è vero che solo il 5 per cento del campione usa la bicicletta per andare a lavoro.
Ma quei pochi che utilizzano la bicicletta, quanti chilometri percorrono ogni volta che salgono in sella? Anche qui c’è poco di che rallegrarsi: il settanta per cento degli intervistati ha risposto massimo cinque chilometri; uno su cinque ne percorre al massimo dieci. Dato sconfortante, ma non sorprendente, considerato che si pedala soprattutto lungo le vie trafficate della città (42 per cento). E tutti sappiamo quanto siano pericolose e asfissianti le nostre strade. Dalla ricerca emerge che le donne vanno più spesso in bici degli uomini, ma questi ultimi, quando decidono di fare una pedalata, la fanno senza risparmiarsi. Le donne pedalano soprattutto in città, gli uomini, più sulle strade di campagna o di periferia. E mentre le prime utilizzano le due ruote soprattutto per motivi economici e ambientali, i secondi lo fanno per l’aspetto sportivo.
Sabato scorso a Milano si è tenuta la manifestazione nazionale “L’Italia cambia strada”, promossa dalla Rete della #MobilitàNuova. Centinaia di ciclisti, pedoni (che orribile parola: meglio camminatori) e pendolari si sono trovati davanti alla Stazione Centrale ed hanno attraversato la città fino a Piazza Duomo. Il loro slogan? “Città a misura di bicicletta, più sicure per chi pedala e chi si sposta a piedi in ambito urbano”. Dalla manifestazione è partita anche una raccolta-firme per una legge d’iniziativa popolare che vincoli almeno i tre quarti delle risorse statali e locali disponibili per il settore trasporti a opere d’interesse pubblico, che agevolino lo sviluppo del trasporto collettivo e di quello individuale non motorizzato. Speriamo che questo nuovo Parlamento, tra le mille beghe interne ed esterne ai diversi partiti, trovi il tempo e la voglia per dare almeno un’occhiata a questa proposta.
L’anno scorso Fiab, Legambiente e CittàinBici, hanno realizzato uno studio dal titolo “Bici in città – numeri e buone pratiche sulla ciclabilità urbana in Italia”. Dall’analisi dei dati è saltato fuori che l’Italia dispone di 3.297,2 chilometri di piste ciclabili urbane, l’equivalente di tre città europee (Stoccolma, Hannover e Helsinki). Un capoluogo italiano su tre non ha o ha solo piccoli segmenti di percorsi ciclabili, ed anche l’intermodalità è una chimera, visto che solo 4 città su 104 prevedono una o più linee di trasporto pubblico locale in cui sia consentito portare biciclette. Cifre che messe a confronto con altre realtà straniere gettano nello sconforto: Amsterdam, 500 chilometri di piste ciclabili; a Copenaghen un cittadino su tre va a lavoro in bici su corsie appositamente riservate; a Berlino più di 400 mila abitanti percorrono ogni giorno 620 chilometri di piste ciclabili per andare al lavoro e il governo investe ogni anno milioni di euro per la mobilità su due ruote; a Barcellona il rischio d’incidenti per i ciclisti è quasi inesistente (0,005 per cento) e tutt’intorno alla città vi è un “ring-verde” di cento chilometri pensato solo per le biciclette; a Londra dal 2010 si sta lavorando ad un progetto che prevede la costruzione di dodici “superstrade ciclabili” (con 66mila posti in più per parcheggiare le bici); a Davis, California, la prima città degli Stati Uniti a promuovere le piste ciclabili (nel 1967), il 95 per cento delle strade dispongono di corsie riservate alle biciclette. Che dire, ne abbiamo di strada da fare.
Qualche anno fa lessi un libriccino intitolato l’Elogio della bicletta. L’autore, Ivan Illich, attraverso una serie di ragionamenti logici e scientifici, dimostrava quanto male avesse fatto alla nostra civiltà il mito della velocità a tutti i costi. E quanto, in contrasto con i relativi propositi, la velocità abbia in realtà rallentato la nostra mobilità. Il concetto, grossolanamente riassunto, è che maggiore velocità, associata ad uno spazio finito, provoca ingorghi e dunque rallentamento. E come conseguenza, ecco l’elogio della bicicletta come mezzo di trasporto ideale. In coda al libro c’è una breve appendice scritta da Franco La Cecla, antropologo e architetto. È un’analisi lucidissima e malinconica su cosa sono diventate le nostre città e su quanto faremmo bene a sbarazzarci al più presto delle automobili, a vantaggio delle due ruote: “La bicicletta è un’invenzione contemporanea a quella dell’automobile, non è venuta né prima come qualcosa di tradizionale, né dopo come onda eco-contestataria. È anch’essa un omaggio all’individuo ed è l’inno alla meccanica, alla capacità di ruote e rondelle, di cambi e bielle di moltiplicare la spinta umana, di rendere miracolosamente redditizio lo sforzo umano che già lo è di per sé. È una soluzione funzionale perché ha una velocità giusta per una città, riesce a districarsi in mezzo ad altre mille bici, non ha un problema di occupazione di spazio, non prevede l’eliminazione dell’uomo che cammina né l’invenzione del pedone […]. La bicicletta è il modo inventato per dare il massimo della libertà a tutti e il massimo della democrazia a una città. Non richiede che le strade divengano piste né che i centri storici vengano condannati perché ostili alla circolazione […]. L’auto postula la fine della città, non ne ha bisogno, se ne serve solo come tappa per parcheggiarvi per un po’, ma della qualità dei suoi spazi e soprattutto della fruibilità di strade e piazze non se ne fa nulla […]. La rinascita delle città passa dallo sgombero delle strade dalle auto che se le sono prese senza pagare a nessuno questo diritto. Nessuno ha mai deciso che le strade dovessero appartenere all’auto e non ai cittadini […]. Una città dove non si può giocare per strada, dove gli anziani non possano stare seduti o appoggiati a osservare la vita che gli passa accanto e che li coinvolge, una città che ha eliminato la plurifunzionalità degli spazi pubblici non è altro che un parcheggio”.

(Fonte: http://www.internazionale.it/news/da-sapere/2013/04/21/qual-e-la-citta-migliore-per-andare-in-bici/).

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