Questa mattina ho trovato in chat Giovanna, e dopo un paio di battute sulla sentenza emessa dalla Cassazione ieri (hihihiihhi…), ci siamo informati a vicenda circa le ferie prossime venture. Giovanna andrà in Croazia per una vacanza rigenerante in barca a vela. Poi trascorrerà qualche giorno nella Città Eterna. Io sarò in giro in bicicletta con altri cinque pazzi, a spasso per i colli marchigiani e abruzzesi. Prima di congedarci, abbiamo preso un appuntamento: al ritorno dalle vacanze, ci ritroveremo tutti insieme per raccontarci le nostre vite a spasso per il mondo. Un paio d’anni fa un brunch a Milano fu l’occasione per riunire tutti i membri della Loggia del Listone. Quest’anno, invece sarebbe bello chiudere idealmente l’estate con un’escursione in bici lungo le stradine piatte e deserte del Delta del Po. Già qualche hanno fa siamo stati con alcuni amici da queste parti, ma si trattava del mese di marzo, un periodo ancora freddo e piovoso. Non il massimo per scoprire tutta la bellezza di questo luogo incantato, a metà tra terra e mare. L’ideale sarebbe partire venerdì 6 settembre e raggiungere Ferrara in treno. Dopo una visita alla città, si proseguirebbe verso est, fermandosi alla splendida Abbazia di Pomposa. Imperdibile. Il viaggio poi continuerebbe fino ad incrociare i primi reticoli d’acqua, anticipazione di quel portentoso finale che termina nel Mare Adriatico. Da Ferrara a destinazione ci sono circa 70 chilometri: una bazzecola, considerato che il terreno è tutto piatto come una frettata di cipolle. Il giorno successivo, si potrebbe compiere un ampio giro lungo le stradine deserte che costeggiano i vari bracci del Po che arriva al mare: Po di Venezia, Po di Maistra, Po di Pila, Sacca degli Scardovari, Po di Goro, Bocca Sette. Dei luoghi incantati, immersi della meraviglia del Parco Regionale del Delta. In alternativa si può fare un’escursione in barca, seguendo i meandri disegnati dalle acque che arrivano al mare. L’altra volta che siamo stati da queste parti, abbiamo pernottato in località Gorino Sullam, nei pressi di Taglio di Po. Una sorta di ostello immerso nel verde e a ridosso dell’argine del fiume. Si mangia, si beve e si dorme con pochi euri. E l’accoglienza di Stefania è fantastica. Domenica mattina poi si riparte per Ferrara, e quindi casa.
Qui di seguito alcuni brani tratti dal racconto Là dove finisce il grande fiume, contenuto nel libro Sulle orme di Francesco:
Era da molto tempo che desideravo andare a vedere il Delta del Po. Avevo letto molto su quelle terre in cui fiume e mare si uniscono in molteplici abbracci. Mi ero anche informato su possibili punti d’appoggio ed itinerari da percorrere, ma non avevo mai concretizzato questo viaggio. Un giorno, inaspettatamente trovai sulla posta elettronica una e-mail di Pietro, uno dei compagni d’avventura dell’ultimo Capodanno a Lubiana, in cui si proponeva un fine settimana in una località nei pressi di Porto Tolle, estrema propaggine delle terre emerse […]. Ripartimmo alla volta di Codigoro: la giornata era magnifica.
Da diversi chilometri osservavamo fino all’orizzonte un paesaggio straordinariamente piatto: sembrava di muoversi su un tavolo da biliardo, interrotto di tanto in tanto da un corso d’acqua. Ci trovavamo infatti a percorrere l’ultimo lembo dell’immensa pianura alluvionale, modellata, spianata nel corso dei secoli dalle acque del Grande Fiume […]. Ci rimettemmo in viaggio e dopo esserci quasi persi trovammo finalmente un’indicazione per Gorino. Lateralmente alla nostra strada correva l’argine del Po di Goro, uno dei tanti bracci del fiume che arrivano a mare. Il paesino era piccolissimo e poco distante dalla piazza della chiesa si intravedeva il porticciolo. Lasciammo l’automobile e ci incamminammo in quella direzione. Davanti a noi si aprì un’ampia darsena con centinaia di piccoli pescherecci ormeggiati. All’ancora sul fiume vi era La Freccia del Po di Goro, una piccola imbarcazione da turismo. Sparse qua e là alcune barche a motore. Il luogo era praticamente deserto: c’era solo un anziano signore accompagnato da un cane irrequieto e un paio di turisti. Ci avvicinammo alla riva: l’aria profumava di mare, ma anche di fiume. In questo punto, così come in altri lungo il delta, il Po finiva la sua lunga corsa, abbracciandosi con le acque dell’Adriatico.
Il sole stava lentamente tramontando ed una luce calda colorava d’oro e di rosso tutto il paesaggio […].
Costeggiammo il fiume, che in quel tratto appariva ampio e tumultuoso, e raggiungemmo le sponde della Sacca degli Scardovari. Davanti a noi si apriva una laguna salmastra dai confini lontanissimi ed indefiniti, poco profonda e pescosissima. Vegetazione selvatica e canneti alti e sparsi facevano da corona alla riva, offrendo ampio riparo ai tanti uccelli acquatici della zona. Alcuni ruderi di casolari abbandonati da tempo immemore si elevavano al centro della laguna: segno incancellabile della continua e disperata lotta dell’uomo contro la natura. Seguendo il profilo della costa si stagliavano numerose palafitte e strutture di supporto alla pesca. Pietro ci illustrò brevemente la storia di quei luoghi, soffermandosi soprattutto sul business della raccolta dei mitili, decollata negli ultimi decenni. Il tempo stava rapidamente cambiando: quando fece buio si levò un vento teso, freddo e carico d’umidità. Riparammo in tutta fretta all’ostello […]. Il ritorno avvenne sotto un cielo di piombo, sferzati da un vento freddo. Costeggiando il fiume giungemmo a Santa Giulia, il borgo che Pietro frequentava da bambino. A sentire il nostro amico un tempo qui vi erano molti abitanti e ancor più bambini. Ora il paese invece appariva deserto, come deserte ci erano apparse tutte le terre del Delta viste fino ad allora. Pietro ci mostrò la parrocchia e l’oratorio, frequentati per anni; e poi il parco giochi, dove ci lasciammo andare come bimbi, salendo sulle altalene e dondolandoci sui cavallucci. Tornammo al ponte di barche: il fiume si era ingrossato ed era davvero inquietante pensare che, al di sotto del suo livello, vi erano tutti i paesini che avevano visto durante il nostro giro. Pietro ammirava quella massa tumultuosa d’acqua grigiastra e ripensava ai tempi in cui era bambino: «Per noi il fiume era tutto, era parte della nostra esistenza in ogni momento. Era il grande dispensatore di ricchezza - con le sue piene che fertilizzavano i campi - e di calamità, quando decideva che non gli bastava fare solo un po’ di scena. Per noi era normale trovare pesci nei fossi, fino a dieci chilometri dal fiume. Il fiume era l’unica ricchezza che avevamo da queste parti. Per noi bambini poi era un vero divertimento: tutti i giorni e tutto l’anno andavamo a fare il bagno, anche se sapevamo che poteva essere pericoloso». A Pietro luccicavano gli occhi mentre mi raccontava la sua infanzia: gli altri amici non se ne accorsero […]. Tirando le somme del viaggio mi trovavo a riflettere sul fatto che il Delta del Po era davvero un luogo incredibile, completamente diverso da ogni altro visto fino ad allora: terra e acqua avvinghiate da sempre in un abbraccio lunghissimo e sinuoso; una terra selvaggia in continuo mutamento, soggetta ai desideri del fiume; un luogo così denso di storia e di tradizione eppure lasciato quasi all’abbandono. No, quei tre giorni non mi erano bastati: non erano stati sufficienti per vivere pienamente quella realtà. A breve sarei tornato: questa era l’unica certezza. E solo allora avrei scoperto se la terra del Grande Fiume era ancora quella vista in quei bellissimi giorni di marzo.
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