Il mese scorso Dove, azienda leader nel settore dei prodotti per l’igiene personale, ha lanciato una campagna pubblicitaria dal titolo “Dove, Real Beauty Sketches” (immagini di vera bellezza). Il video è senza ombra di dubbio un capolavoro. E lo dico senza ironia. Sulle sonorità delicate di un pianoforte di sottofondo, entrano in scena alcune donne alle quali viene chiesto di descrivere loro stesse e i loro volti ad una persona che esse non possono vedere per via di una tenda. La persona è un artista forense (uno di quei professionisti che tratteggiano identikit nelle aule di giustizia) ed è lì per disegnare i ritratti delle donne in base alle loro descrizioni. Ad ogni donna viene poi chiesto di socializzare con uno sconosciuto, il quale a sua volta dovrà descrive in seguito la donna per l’artista forense. L’artista disegna dunque due distinti ritratti sulla base delle diverse descrizioni. Alla fine vengono mostrati entrambi i disegni alle donne. Ed è qui che irrompe prepotente e assolutamente inaspettata la sorpresa: le donne osservando quei ritratti si rendono conto che quelli effettuati sulla base delle descrizioni degli sconosciuti appaiono molto più belli di quelli fatti in base alle descrizioni fornite da loro stesse. Alcune di esse restano attonite, con un sorriso a mezz’aria, altre sono sorprese e incredule, con un’espressione a tratti beffarda, qualcun’altra, dopo un breve momento di indecisione, si lascia travolgere dalla commozione. E allo spettatore non resta che commuoversi di rimando sull’ultima scena che mostra una giovane donna sorridente, che abbraccia l’innamorato. Il video si chiude con la scritta: “You are more beautiful than you think”. E così, sull’onda lunga del non detto, si fanno largo nella mente di ognuno echi di buoni sentimenti e profondità d’abisso esistenziale, ed in un attimo ci si rende conto di quanto tutto ciò strida con questa nostra spietata cultura dell’apparire che ci rende, per definizione, sempre più infelici e insoddisfatti di noi stessi. L’effetto è quello di un balsamo che scende nel profondo a lenire i dolori della vita e dunque ci si congeda sereni da questo video, riappacificati poeticamente con noi stessi e con il mondo. Un po’ come quando si ascoltano le storie del buon Gramellini da Fabio Fazio.
Una dolce fiaba a lieto fine si potrebbe dire, dunque. Eppure un dubbio rimane: sarà poi vero tutto ciò? E cioè che l’immagine che abbiamo di noi stessi è peggiore di quella che appare agli occhi degli altri? In fondo si tratta pur sempre di una pubblicità che ha come scopo finale quello di farci acquistare saponi e creme di bellezza. Ebbene la dolce incertezza non è durata che poco più di un mese. A sconfessare questa meravigliosa teoria ecco giungere dagli Stati Uniti un’apposita ricerca. Per dimostrare quanto questa reclame sia poco aderente alla realtà, Nicholas Epley dell’Università di Chicago e Erin Whitchurch della University of Virginia hanno preso le immagini di un campione di partecipanti all’esperimento e, utilizzando un software, hanno elaborato le stesse facendone due versioni: una più attraente e l’altra meno attraente. Ai partecipanti poi sono state mostrate le tre immagini (le due modificate, più quella originale) ed è stato chiesto loro di identificare quella non modificata. La maggior parte di essi ha scelto quella modificata in meglio pensando erroneamente che si trattasse di quella originale. Stessa procedura è stata effettuata con le immagini di un estraneo: in questo caso, al contrario, l’identificazione dell’originale è stata assai precisa. Basandosi su tali risultati i ricercatori hanno dedotto che noi tendiamo a pensare al nostro aspetto in termini assai più lusinghieri di quanto in realtà non sia. I ricercatori definiscono tale fenomeno con l’espressione “self-enhancement” (auto-valorizzazione).
Questo meccanismo, tra l’altro, pare trovare riscontro non solo nel giudizio estetico che si ha di se stessi, ma anche in altri campi del nostro agire. Ecco perché, ogni qual volta ci troviamo di fronte ad una comparazione con altri soggetti, il nostro metro di giudizio sembra essere assai indulgente da una parte (la nostra) e spietatamente rigoroso dall’altra (il resto del mondo). Il 93 per cento degli automobilisti, ad esempio, ritiene di guidare meglio della media; così come il 94 per cento dei docenti pensano di insegnare meglio di altri. Stesso discorso vale per la salute: “A me non capiterà di prendere l’influenza”. Questo atteggiamento tuttavia - sostengono i ricercatori - se da una parte mette in scena un auto-inganno inconscio che deforma la realtà, dall’altro potrebbe riscuotere un certo qual vantaggio nelle relazioni sociali: le persone che si auto-valorizzano e che credono veramente di possedere caratteristiche desiderabili, possono contare su una spinta in più e su una maggiore fiducia in se stesse. E come si sa, fiducia in se stessi comporta forza, decisione, sicurezza, autorevolezza, tutte caratteristiche determinanti ai fini della scelta di un leader o di un partner.
Qualcuno potrebbe a questo punto dire: “Ancora più brutto di quello che penso????? Praticamente un cesso”. Si, in effetti questa potrebbe essere la tentazione. Certo sapere di essere un po’ più brutti di quanto non crediamo (o anche di essere un po’ più gretti, più taccagni, più imbranati al volante), non fa piacere. Questo è ovvio. Consola il fatto di sapere che se ciò vale per noi, vale per tutti: mal comune, mezzo gaudio. Dice: “Ma l’illusione…, almeno quella non potevano lasciarcela?”. No, credetemi: non è il caso. E comunque l’importante, come detto, è sentirsi belli: dentro e fuori. Come quella tipa che fa tanta “plin - plin”. Qualcuno, a parte voi, ci crederà…!
Fonte: http://www.youtube.com/watch?client=mv-google&hl=it&gl=IT&v=pOq71eKI5Mg&nomobile=1
http://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=you-are-less-beautiful-than-you-think&page=2
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