L’altro giorno ho trovato casualmente per strada Cristina, una cara amica che non vedevo da tempo. Tra l’altro ora è al settimo mese di gravidanza e quelle sue forme aggraziate e rotondeggianti di futura mamma, mi hanno fatto una grande tenerezza. Seduti ad un tavolino da bar abbiamo scambiato due parole. Cristina è una donna decisamente intelligente, colta, indomita e battagliera e i dialoghi con lei non sono mai banali. Ed anzi, spesso diventano delle vere e proprie schermaglie intellettuali giocate su punta di fioretto. Fino a qualche tempo fa, quando ancora ci frequentavamo, mi piaceva molto stuzzicarla su argomenti sensibili, delicati, potenzialmente forieri di polemiche. Raramente mi è capitato di trovare una persona così ostinatamente attaccata alle sue idee, così colma di vis polemica, così determinata ed efficace nell’esposizione delle proprie convinzioni. Ed è proprio per questo che c’era gusto nell’incrociare le lame. E così, tanto per rinverdire quegli antichi tempi, tra un sorso di tè e un tiro di sigaretta, le ho chiesto con nonchalance: «Che ne pensi della cittadinanza per ius soli?». Argomento di cui si dibatte in questi giorni tra le forze politiche. Soprattutto dopo la nomina del Ministro Cècile Kyenge. Cristina è una donna di sinistra, femminista convinta, tutta la storia della sua famiglia affonda le radici in questa cultura. Sapevo dunque già cosa mi avrebbe risposto. «Bah mi trova decisamente d’accordo…!». Ho atteggiato un’espressione come di sufficienza e ho esclamato: «Lo temevo». E lei di rimando: «Lo immaginavo». E da qui è cominciato un lungo botta e risposta tra lei che sosteneva l’opinione che i figli degli immigrati dovessero accedere immediatamente alla cittadinanza italiana ed io, al contrario, che ritenevo ingiusto questo automatismo.
In Italia gli immigrati possono chiedere la cittadinanza dopo dieci anni di residenza consecutiva sul nostro territorio. Dopo di che possono trasmetterla ai loro figli. Viceversa, se un bambino nasce da una coppia di cittadini stranieri, deve attendere i diciott’anni per conseguire la cittadinanza italiana. I sostenitori dello ius soli vorrebbero semplificare la procedura per chi nasce in Italia.
«Sono per la tutela dei bambini, in qualunque caso e qualunque sia la loro provenienza, origine estrazione». A quel punto, dando fiato a tutto il mio qualunquismo più becero ho esclamato: «Quindi è giusto che alla scuola pubblica si cancellino tutte le feste e le ricorrenze che identificano per religione una comunità…! Stato laico, scuola laica: giusto?».
«No, sono due cose diverse, diversissime. Un conto è dare a tutti i bambini nati su suolo italico gli stessi diritti e pure gli stessi doveri, tra questi doveri c’è anche il fatto che in Italia - ricorriamo ad una frase errata, ma che rende l’idea… - la religione di stato è quella cattolica e che quindi nelle scuole c’è l’ora di religione, il crocifisso, ci sono certe ricorrenze che fanno parte delle cultura e della tradizione e che quindi vanno accettate. Perciò il mio discorso è: “Caro straniero ti accolgo con affetto e calore, ti metto nelle condizioni di dare a tuo figlio tutti i diritti dei quali godono i figli di genitori italiani, ma ogni diritto ha come rovescio della medaglia un dovere. Perciò se vuoi godere di certi diritti ti becchi anche i doveri, e li rispetti”».
«Già, ma la democrazia occidentale non può imporre nulla di eticamente rilevante. Non siamo più uno stato etico. C’è la libertà: lo dice anche la nostra Costituzione. E se m’imponi un simbolo religioso diverso dal mio è un’indebita ingerenza nel mio credo, una tortura».
«Abbiamo tutti una serie di diritti e di doveri. E tra i doveri c’è il rispetto delle norme sociali vigenti».
«Prima dei diritti e dei doveri c’è un quid prius, e cioè la nostra essenza: da dove veniamo, chi siamo, quali valori ci sono dentro di noi. I diritti e i doveri di una società affondano le radici nella cultura di un popolo, nella sua civiltà, nel comune sentire. Questa smania di integrare a tutti i costi, non fa che dimostrare una cosa: non siamo più in grado di accettare il “diverso”».
«Ci sono un insieme di regole. Se ti adegui benissimo, ti accolgo e ti metto nelle condizioni di farlo. Se però io Stato (ben inteso non io singolo) devo modificare il mio assetto e violentare la mia storia e la mia tradizione, beh allora aggiustati e non ti integrare».
«Sai come fanno in America, baluardo della democrazia nel Mondo? Dopo un periodo di giacenza, devi sottoporti ad un esame che verte sulla conoscenza della lingua (orale e scritta), sulla storia americana, sulle leggi, le tradizioni i costumi ecc. E se non lo passi, niente cittadinanza. Almeno da loro hanno tirato giù la maschera: ti accetto solo a patto che ti integri e abbracci completamente lo stile di vita americano».
«Oh be’, allora un sacco di italiani dovrebbero rinunciare alla cittadinanza…».
«D’accordissimo. Ad ogni modo io sono per le piccole comunità. E dunque distante anni luce da qualsiasi concetto di cittadinanza. Al massimo nazionalità».
«Odio le piccole comunità: ma pensa che nomea avresti in una piccola comunità! Come oseresti affacciarti dal panettiere, in farmacia, dal giornalaio? Giù tutte le mamme (baffute) e le nonne (barbute e baffute) a guardarti storto perché hai osato lasciare quella povera ragazza della loro bambina, quel fiorellino delicato, facendola così soffrire. Non potresti più vivere, ti farebbero tutti i dispetti del mondo. Non credo che le piccole comunità possano fare al caso tuo».
«Saresti comunque parte di una comunità e non uno dei tanti anonimi di una società malata. Dove non ti conosce nessuno, dove non sei nessuno. Scriverò un post per il blog. E metterò dentro le tue osservazioni».
«Ma non erano osservazioni buoniste e decisamente troppo fricchittone?».
«Sì, forse si».
«Naturalmente è come ho percepito la tua reazione alle mie idee: per me sono ottime, sacrosante e super condivisibili e mi chiedo come mai il mondo non ci arrivi da solo!».
«Bah…, visioni del mondo…».
«Beh certo, infatti da illuminata quale sono in realtà so perfettamente che è la mia visione del mondo e visto che sono tollerante accetto che altri la pensino in modo diverso (naturalmente sono ironica)».
«Assolutamente d’accordo».
«Certo che sei un tipo strano, chiedi a me come la penso quando sai che sono di estrema sinistra, che sono tendenzialmente per l’accoglienza e per la mediazione…! Dai, fammi fare una padellata di fatti tuoi: e con la rossa? Come è poi andata a finire?».
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