
Rischio, probabilità, possibilità…! Mio Dio, ma qui siamo alla follia: si asporta, si taglia, si smembra un corpo umano per la possibilità che una parte di esso possa un giorno incorrere in una malattia. Possibilità di ridurre il rischio, si dice: ma già il rischio è qualcosa di aleatorio, cioè può essere che l’evento infausto si concretizzi o meno; la possibilità (non già la certezza) di ridurre il rischio è l’aleatorietà al cubo, ovvero intanto ti opero, poi vediamo se effettivamente la percentuale di rischio diminuisce. Un po’ come la guerra preventiva: visto che potresti un giorno decidere di attaccarmi (ma non è affatto detto, s’intende), nel frattempo ti scarico in testa una valanga di bombe. Siamo al ribaltamento della realtà e della concatenazione delle cose. Come prendere un’aspirina perché potrebbe eventualmente venire un mal di testa: ma aspetta prima che ti venga e poi impasticcati…! Il che non vuol dire, ovviamente, rinunciare alla prevenzione: una cosa è fare ciclicamente delle analisi, altra è cominciare una cura – o peggio farsi operare – in assenza di malattia.
Questa pratica operatoria peraltro rientra in una tendenza in crescita fra le donne americane: dal 2000 è triplicata la scelta fra le donne più giovani di farsi togliere almeno un seno sano. Un senso sano…! E se puta caso un giorno la scienza medica scoprisse che la presenza di un gene particolare potrebbe (e dico potrebbe: si parla sempre di fattori di rischio, non di previsioni assolute) causare un tumore alle gambe, alle braccia o a qualche altra preziosa appendice? Che si fa, tagliamo anche in quel caso?
E così continua la Jolie: “Ora il rischio è sceso al 5 per cento. Posso dire a Maddox, Zahara, Shiloh e i gemelli Knox e Vivienne (i figli: ndr) che non devono aver paura di perdermi”. Fa impressione tutta questa fiducia nella medicina, tutta questa certezza di aver sconfitto definitivamente la morte. E se puta caso vai a prendere il pane, attraversi la strada e un tram ti arrota? Come la mettiamo?
“Molte donne non sanno di vivere sotto l’ombra del cancro – prosegue Angelina – la mia speranza è che si sottopongano al test e che, se scoprono di essere a rischio, possano prendere decisioni forti”. Di fronte a tale dichiarazione, una larga parte del mondo medico ha preso le distanze: Fran Visco, presidente della National Breast Cancer Coalition, sostiene che “i dottori che non riescono a prevedere chi ha maggiori possibilità di morire, portano le donne a scelte aggressive non sempre necessarie”. Che detto in parole semplici vuol dire: asportiamo seni (e non solo) che magari non si ammaleranno mai…! Senza considerare le conseguenze inevitabili (fisiologiche e psicologiche) cui andrà incontro una persona che subisce una mutilazione così importante. Riccardo Masetti, Direttore del Centro di Senologia del Policlinico Gemelli di Roma e Presidente della Komen Italia afferma che “la tendenza è di proporre alle pazienti la mastectomia preventiva con troppa leggerezza, mentre si tratta di una scelta delicatissima da ponderare con grande attenzione”. Ed anche lo stesso Veronesi si è detto contrario: “Sono più vantaggiosi i controlli periodici ogni sei mesi”.
E Brad Pitt che ne pensa di questa decisione della compagna? “Ho trovato la scelta di Angie assolutamente eroica; tutto quel che voglio è che Angelina abbia una vita lunga e sana, con me e con i nostri figli. Questo è un giorno felice per la nostra famiglia”. Eroica? Ma eroismo, al limite, è scegliere di ignorare il rischio, di infischiarsene delle previsioni catastrofiste, di vivere ogni giorno che il buon Dio manda in Terra come fosse l’ultimo della nostra vita. È chiaro poi che tutti ci auguriamo una vita lunga e sana, ci mancherebbe, ma non c’è niente e nessuno che ci possa dare assicurazioni su questo. In America si dice: “Due sole cose sono certe al mondo: le tasse e la morte”. Ecco, da noi è vera solo la seconda, ma cambia poco.
Quanto più la scienza medica (e con essa la diagnostica) progredisce, tanto più ci si addentra nei meccanismi biologici e patologici che regolano la nostra esistenza. Ma con ciò, paradossalmente, abbiamo ottenuto come risultato di trasformare qualsiasi individuo sano in un potenziale soggetto a rischio. E d’altra parte quando il destino ultimo di tutti è la morte, c’è poco da fare. Suggerendo l’idea che una malattia mortale potrebbe incombere improvvisamente sul nostro capo, abbiamo ipso facto rovinato per sempre la vita agli individui sani. E così, una donna che avrebbe potuto trascorrere una vita (lunga o breve che fosse) senza l’immanente e costante terrore della fine, si riduce a sperare che la medicina, a cui ci si aggrappa ormai come naufraghi nella tempesta, non fallisca e mantenga le sue promesse. Promesse a cui peraltro si crede, ma fino ad un certo punto. Perché ognuno, nel profondo di se stesso, accanto alla speranza, ha altresì la consapevolezza che i miracoli non esistono (o al limite avvengono, ma una volta ogni tanto).
Il problema è sempre quello: la nostra società si è allontanata antropologicamente dal concetto della morte, non ne conosce quasi più il volto, il modo di affrontarla e di conviverci. Da ciò ne deriva un terrore e uno sgomento tale che qualunque pratica medica (o anche magica: quanti, ormai privi di speranza si rivolgono all’occulto…) è ben’accetta pur di allontanare il pericolo della fine. Costi quel che costi. Senza considerare poi la paura della sofferenza, dell’agonia. In una scena del film Due irresistibili brontoloni Walter Mattheu e Jack Lemmon, già avanti nell’età e negli acciacchi, apprendono da un conoscente della morte di un loro caro amico. Mattheu chiede com’è morto il poveretto e il tipo risponde: «Se n’è andato nel sonno». Al che i due compari, all’unisono, commentano: «Che culo…».
Ecco, questa è fifa…! Fifa blu. Aveva ragione Epicuro: “Chi ha paura della morte muore mille volte”.
Leggi anche:
http://www.repubblica.it/salute/medicina/2013/05/14/news/angelina_jolie_-58773357/
Nessun commento:
Posta un commento