Ieri tutti i mass media hanno dato ampio risalto alla notizia che Angelina Jolie, l’attrice più sexy del pianeta, si è sottoposta ad una duplice “mastectomia” preventiva, ovvero all’asportazione di entrambe i seni per scongiurare la possibilità di incorrere in un futuro, ipotetico tumore. La sua scelta mi ha lasciato senza parole, devo ammetterlo. Immaginare che un corpo così armonioso, florido, nel pieno della maturazione e del fulgore, perfettamente integro e sano, sia passato sotto i bisturi di un chirurgo, mi ha messo addosso uno sconforto enorme. “E perché mai, di grazia, tanto strazio?” mi sono chiesto. A rispondere è la stessa Angelina Jolie con un’intervista al New York Times: “I medici mi hanno detto che ho il gene BRCA1 che mi dà l’87 per cento di probabilità di avere il cancro al seno e il 50 per cento alle ovaie. Una volta appresa la realtà ho deciso di agire. Sono partita dal seno perché il mio rischio di tumore è più alto e gli interventi più complessi”. Quindi, se tanto mi da tanto, è in previsione anche l’asportazione delle ovaie in un prossimo futuro.
Rischio, probabilità, possibilità…! Mio Dio, ma qui siamo alla follia: si asporta, si taglia, si smembra un corpo umano per la possibilità che una parte di esso possa un giorno incorrere in una malattia. Possibilità di ridurre il rischio, si dice: ma già il rischio è qualcosa di aleatorio, cioè può essere che l’evento infausto si concretizzi o meno; la possibilità (non già la certezza) di ridurre il rischio è l’aleatorietà al cubo, ovvero intanto ti opero, poi vediamo se effettivamente la percentuale di rischio diminuisce. Un po’ come la guerra preventiva: visto che potresti un giorno decidere di attaccarmi (ma non è affatto detto, s’intende), nel frattempo ti scarico in testa una valanga di bombe. Siamo al ribaltamento della realtà e della concatenazione delle cose. Come prendere un’aspirina perché potrebbe eventualmente venire un mal di testa: ma aspetta prima che ti venga e poi impasticcati…! Il che non vuol dire, ovviamente, rinunciare alla prevenzione: una cosa è fare ciclicamente delle analisi, altra è cominciare una cura – o peggio farsi operare – in assenza di malattia.
Questa pratica operatoria peraltro rientra in una tendenza in crescita fra le donne americane: dal 2000 è triplicata la scelta fra le donne più giovani di farsi togliere almeno un seno sano. Un senso sano…! E se puta caso un giorno la scienza medica scoprisse che la presenza di un gene particolare potrebbe (e dico potrebbe: si parla sempre di fattori di rischio, non di previsioni assolute) causare un tumore alle gambe, alle braccia o a qualche altra preziosa appendice? Che si fa, tagliamo anche in quel caso?
E così continua la Jolie: “Ora il rischio è sceso al 5 per cento. Posso dire a Maddox, Zahara, Shiloh e i gemelli Knox e Vivienne (i figli: ndr) che non devono aver paura di perdermi”. Fa impressione tutta questa fiducia nella medicina, tutta questa certezza di aver sconfitto definitivamente la morte. E se puta caso vai a prendere il pane, attraversi la strada e un tram ti arrota? Come la mettiamo?
“Molte donne non sanno di vivere sotto l’ombra del cancro – prosegue Angelina – la mia speranza è che si sottopongano al test e che, se scoprono di essere a rischio, possano prendere decisioni forti”.
Di fronte a tale dichiarazione, una larga parte del mondo medico ha preso le distanze: Fran Visco, presidente della National Breast Cancer Coalition, sostiene che “i dottori che non riescono a prevedere chi ha maggiori possibilità di morire, portano le donne a scelte aggressive non sempre necessarie”. Che detto in parole semplici vuol dire: asportiamo seni (e non solo) che magari non si ammaleranno mai…! Senza considerare le conseguenze inevitabili (fisiologiche e psicologiche) cui andrà incontro una persona che subisce una mutilazione così importante. Riccardo Masetti, Direttore del Centro di Senologia del Policlinico Gemelli di Roma e Presidente della Komen Italia afferma che “la tendenza è di proporre alle pazienti la mastectomia preventiva con troppa leggerezza, mentre si tratta di una scelta delicatissima da ponderare con grande attenzione”. Ed anche lo stesso Veronesi si è detto contrario: “Sono più vantaggiosi i controlli periodici ogni sei mesi”.
E Brad Pitt che ne pensa di questa decisione della compagna? “Ho trovato la scelta di Angie assolutamente eroica; tutto quel che voglio è che Angelina abbia una vita lunga e sana, con me e con i nostri figli. Questo è un giorno felice per la nostra famiglia”. Eroica? Ma eroismo, al limite, è scegliere di ignorare il rischio, di infischiarsene delle previsioni catastrofiste, di vivere ogni giorno che il buon Dio manda in Terra come fosse l’ultimo della nostra vita. È chiaro poi che tutti ci auguriamo una vita lunga e sana, ci mancherebbe, ma non c’è niente e nessuno che ci possa dare assicurazioni su questo. In America si dice: “Due sole cose sono certe al mondo: le tasse e la morte”. Ecco, da noi è vera solo la seconda, ma cambia poco.
Quanto più la scienza medica (e con essa la diagnostica) progredisce, tanto più ci si addentra nei meccanismi biologici e patologici che regolano la nostra esistenza. Ma con ciò, paradossalmente, abbiamo ottenuto come risultato di trasformare qualsiasi individuo sano in un potenziale soggetto a rischio. E d’altra parte quando il destino ultimo di tutti è la morte, c’è poco da fare. Suggerendo l’idea che una malattia mortale potrebbe incombere improvvisamente sul nostro capo, abbiamo ipso facto rovinato per sempre la vita agli individui sani. E così, una donna che avrebbe potuto trascorrere una vita (lunga o breve che fosse) senza l’immanente e costante terrore della fine, si riduce a sperare che la medicina, a cui ci si aggrappa ormai come naufraghi nella tempesta, non fallisca e mantenga le sue promesse. Promesse a cui peraltro si crede, ma fino ad un certo punto. Perché ognuno, nel profondo di se stesso, accanto alla speranza, ha altresì la consapevolezza che i miracoli non esistono (o al limite avvengono, ma una volta ogni tanto).
Il problema è sempre quello: la nostra società si è allontanata antropologicamente dal concetto della morte, non ne conosce quasi più il volto, il modo di affrontarla e di conviverci. Da ciò ne deriva un terrore e uno sgomento tale che qualunque pratica medica (o anche magica: quanti, ormai privi di speranza si rivolgono all’occulto…) è ben’accetta pur di allontanare il pericolo della fine. Costi quel che costi. Senza considerare poi la paura della sofferenza, dell’agonia. In una scena del film Due irresistibili brontoloni Walter Mattheu e Jack Lemmon, già avanti nell’età e negli acciacchi, apprendono da un conoscente della morte di un loro caro amico. Mattheu chiede com’è morto il poveretto e il tipo risponde: «Se n’è andato nel sonno». Al che i due compari, all’unisono, commentano: «Che culo…».
Ecco, questa è fifa…! Fifa blu.
Aveva ragione Epicuro: “Chi ha paura della morte muore mille volte”.
Leggi anche:
http://www.repubblica.it/salute/medicina/2013/05/14/news/angelina_jolie_-58773357/
Nessun commento:
Posta un commento