Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

giovedì 8 novembre 2012

Partecipazioni....

Ecco, ho appena saputo di essere invitato al matrimonio di un amico. Un caro, vecchio amico d'infanzia. Ho cercato di dissuaderlo fino all'ultimo da questo suo insano proposito, ce l'ho messa tutta, ma è stato tutto vano. Data fissata per la cerimonia? Sabato 15 dicembre. Ma io dico, bisogna proprio essere sadici per fare certi inviti...! Farà sicuramente freddo, occorrerà comprare un cappotto - per il vestito uso quello dell'altra volta - , il ricevimento sarà in un posto assurdo, sicuramente in montagna..., la neve, le catene e tutto il resto. C'è da non dormire la notte già da ora. Oltre tutto questo mio amico mi ha scritto nella mail che vuole parlarmi perché deve chiedermi una cosa importante. Lo so già di cosa si tratta, vorrà - come accade ogni volta - reclutarmi per leggere le scritture. E ci sarà da ridere come al solito! L'ultima volta infatti non è stato un grande successo: ecco la cronaca...

Qualche tempo fa ricevetti la partecipazione al matrimonio di Gabriele, un mio caro amico. Ne fui contento, anche perché, nonostante fossero passati alcuni anni dall’ultima volta che ci eravamo visti, l’affetto reciproco si dimostrava granitico all’assalto del tempo. Nel breve volgere di qualche giorno, mi giunse una e-mail da Michela, sua futura moglie, nella quale mi si chiedeva se me la sentivo di leggere un brano in chiesa, e aggiungeva il testo. Si trattava di un passo della Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi, vero e proprio inno all’amore e testo tra i più belli e conosciuti di tutte le Sacre Scritture. Le risposi che non solo me la sentivo, ma che ero onorato per quella scelta. A quel punto dovetti rinunciare all’abbigliamento casual deciso in un primo momento - l’ipotesi iniziale prevedeva un paio di bermuda e una t-shirt a fasce orizzontali alla marinaretta - e ripiegare su un più sobrio abito scuro, con tanto di gilet in raso trapuntato. Avrei sudato come un volgare vogatore delle galee, questo era indubbio dato il clima tropicale di quei giorni, ma per lo meno non avrei fatto brutta figura. Il giorno del matrimonio avevo appuntamento con Andrea ed Elena nei pressi di Varzi, per poi proseguire insieme. «A che ora vi avviate da casa?» - avevo chiesto il giorno prima. «Ma guarda - mi aveva risposto sicuro Andrea - noi saremo lì in tarda mattinata, abbiamo deciso di partire sul prestino». “In tarda mattinata??? - mi dissi - E che ci vanno a fare già da quell’ora, visto che il matrimonio è alle diciassette? E poi figurati se Andrea si alza presto al sabato mattina: mai successo a memoria d’uomo”. Decisi dunque di partire da casa senza fretta. Nel primo pomeriggio ero a Varzi. Chiamai i miei amici al cellulare: «Oh Andrea, io sono arrivato: dove siete che vi raggiungo?». «Ah sei arrivato? - rispose Andrea imbarazzato - Noi siamo partiti or ora da casa: siamo in leggerissimo ritardo rispetto al programma». Intanto si sentiva Elena che diceva: «Capoccia non si voleva svegliareeee». «Che intendi fare: ci aspetti per pranzo?» - continuò Andrea. Ci avrebbero messo non meno di due ore. «Beh, io mi avvio - risposi appena risentito - caso mai vi aspetto per il caffè». Raggiungemmo Menconico con un ritardo orrendo. Presso la Pernice Rossa, l’albergo-ristorante in cui si sarebbe tenuto il ricevimento, c’era già un clima di tensione e di fretta spasmodica. Gabriele ci accolse con calore, anche se si leggeva nitidamente sul suo volto: «Ma ‘ndo cazzo eravate finiti…?». «E’ tutta colpa di Andrea che non si è svegliato» - precisai molto prudentemente. Gabriele non commentò. Il matrimonio si celebrava a Ceci, un piccolo borgo nei paraggi: nell’attesa che cominciasse la funzione una piccola folla di paesani assisteva curiosa a quell’evento. Nessuno si era più sposato in quel luogo semidisabitato dai tempi di Giovanni XXIII, il “Papa Buono”. Giunse Gabriele e con lui il seguito dei parenti. Dopo qualche minuti arrivò Michela, bellissima e solare, in un elegante abito bianco: il velo trasparente le copriva i lunghi capelli biondi e scendeva fino alle spalle. L’accompagnava il padre. Il sacerdote diede inizio alla funzione. Mi sistemai nella posizione migliore per essere pronto alla lettura. Quando giunse il mio turno il prete diede una rapida occhiata verso destra: gli feci segno che c’ero. Mi avvicinai al leggio, sistemai il microfono e dopo aver dato due bei colpetti allo stesso per verificarne il corretto funzionamento cominciai a leggere. Il testo era poetico e straordinariamente coinvolgente: dovetti fare uno sforzo per non farmi travolgere. Modulai la voce cercando di essere il più chiaro possibile, aumentando il tono sui passaggi più intensi e facendo cadere le pause nei momenti giusti. Sermonti non avrebbe fatto di meglio. Di tanto in tanto davo un’occhiata ai presenti, assorti nell’ascolto di quelle parole magnifiche. Fa uno strano effetto leggere o parlare in pubblico: se inizialmente si è quasi impietriti dall’idea di commettere errori, di leggere male, a seguire sopraggiunge come un piacere intenso che sgombra il campo dalla paura: tutti in contemplazione ad ascoltare la tua voce. E’ quasi inebriante. Terminata la lettura ci fu un momento di silenzio totale. Rimasi per qualche attimo indeciso sul da farsi: sapevo infatti che la liturgia prevedeva che colui che avesse letto la Prima Lettura dovesse procedere anche con il Salmo Responsoriale. Michela, in ogni caso, mi aveva fornito solo il testo di San Paolo. Che fare? Guardai gli sposi e i presenti: tutti con le teste basse, in silenzio; mi rivolsi al sacerdote: una maschera inespressiva; il coro taceva. Tornai alla Bibbia e ricominciai: «Salmo Responsoriale…». Quasi subito attaccò la musica, sempre più forte: procedetti senza farmi distrarre, alzando la voce quasi ad urlare per non farmi coprire. Improvvisamente giunse alle mie orecchie come un rumore di sfiato, un «pssss, psssss…» , sempre più intenso, quasi disperato. Alzai gli occhi e vidi Gabriele, rosso in volto, che mi faceva dei segni inequivocabili: dovevo piantarla lì. Seguì un rapido e curioso scambio di gesti manuali: Gabriele passò ripetutamente l’indice della destra sotto la gola; io interloquii chiedendo, sempre a gesti, se me ne dovessi andare - dita della sinistra riunite a pera e oscillate avanti e indietro; e a seguire mano destra a pendolo - . Gabriele con entrambe le mani, come a spazzare l’aria, mi confermò la mia sottilissima impressione. Molti presenti avevano assistito a quell’esilarante scambio di gesti con sguardo severo, qualcun altro non aveva trattenuto il sorriso: dal fondo della chiesa invece si erano udite nitide le risate argentine di Elena. Nel frattempo il coro aveva cominciato a cantare il suddetto Salmo Responsoriale. Terminata la cerimonia tornammo al ristorante. Poco prima di entrare nell’ampio salone Capoccia disse serio: «Ah Giggi, leggici pure il menù, già che ci sei…». (Tratto da "Il Cialtrone", pag. 127).

Nessun commento:

Posta un commento