Oggi è venerdì e come ogni venerdì, avvicinandosi l’ora della pausa pranzo, negli uffici pubblici e privati ogni impiegato, sentendo gorgheggiare il suo ventrone, comincia a chiedersi: “Dove si andrà a pranzo oggi, pizzeria o ristorante?”. E già perché l’ultimo giorno della settimana lavorativa, almeno quello - in quest’Italia alle prese con la crisi economica - , solitamente prevede questa piccola divagazione alla mortifera routine quotidiana, fatta di tramezzini nauseanti, insalatone monumentali, panini al limite della commestibilità e schiscette dai contenuti misteriosi. Pranzi consumati in tutta fretta davanti al pc o, peggio ancora, negli affollati bar prospicienti le strade trafficate cittadine; e conclusi con dei caffè tiepidi, che sanno vagamente di cimici spiaccicate. Che poi, agli sfortunati impiegati tocca anche sentirsi dire: «Siete i clienti più simpatici della piazza…! Proprio perché siete voi cerchiamo di offrirvi il meglio del meglio». E ad ognuno viene in mente questo leggiadro pensiero: “Caspita, allora se non fossimo neanche simpatici rischieremmo l’avvelenamento…”.
Ma oggi no, oggi ci si concede un pranzo come Dio comanda: e che diamine. In queste occasioni, ovviamente, vanno forte i primi: costano meno e riempiono. Spaghetti alla carbonara, pennette zucchine e gamberi, tagliolini panna e salmone: all’impiegato medio in libera uscita piace averci tanta “roba” nel piatto. E poi, perché no, anche un bel quartino di rosso. Fa niente che poi al ritorno si avverte un leggerissimo senso di pesantezza. Ma si sa, la vita non può essere solo sacrificio e privazioni: ben venga dunque anche un bel momento di convivialità assisi intorno ad una tavola ben imbandita. E poi è risaputo, mangiare in comitiva produce effetti rilassanti sulla mente e sul corpo, facilita la socializzare e contribuisce a scaricare tensione nervosa. E a quanto pare aiuta anche la digestione. Tutto bene dunque? E no: qui casca l’asino…! La rivista scientifica PLos One ha pubblicato recentemente uno studio condotto da tre università tedesche e guidato da Werner Sommer, della Humboldt University, nel quale si sostiene che pranzare al ristorante in compagnia riduce le funzioni cerebrali disturbando l’esecuzione di compiti dettagliati e riducendo la capacità di individuare errori. Per arrivare a questa conclusione i ricercatori hanno selezionato 32 donne e le hanno divise in due squadre: alla prima è stato concesso un’ora di tempo per pranzare al ristorante in compagnia; alla seconda soli 20 minuti, senza allontanarsi dal luogo di lavoro.
Dai risultati è emerso che, se da un lato pranzare fuori e in compagnia aiuta a rilassarsi e a riprendere il lavoro con maggior ottimismo, dall’altro questo “stacco” rende meno attenti e meno concentrati nelle prime ore del pomeriggio. Ecco, figuriamoci se non saltava fuori qualcuno a dirci che anche la pausa pranzo in compagnia non va bene: c’era da immaginarselo di questi tempi. Eppure, come suggeriscono gli stessi ricercatori, non tutto è male: «La riduzione del controllo cognitivo può essere negativo per alcuni scopi, ma non per tutti. Ad esempio, un controllo cognitivo ridotto è uno svantaggio quando sono richiesti uno stretto auto-monitoraggio delle performance e un’attenzione dettagliata agli errori, come nei lavori in laboratorio e in fabbrica o nell’elaborazione numerica. In altre situazioni, l’attenuarsi del controllo cognitivo può essere un vantaggio, come quando si cercano l’armonia sociale o la creatività». Dunque riassumendo, se siete dei creativi potete pranzare fuori e in compagnia; se invece siete degli operai addetti alla catena di montaggio, meglio restare ben sigillati tra le quattro mura della fabbrica.
Ditemi voi se è giustizia questa…!
Qualche mese fa peraltro, il sito britannico London Offices.com, rese noti i risultati di un sondaggio sul momento di massima improduttività giornaliero. Dalle interviste condotte su 400 impiegati inglesi, risultò che la maggior parte delle risposte indicava le 14.55. Ovvero i minuti immediatamente successi al rientro dalla pausa pranzo. In questi stramaledetti momenti, in cui un sonno apocalittico suggerirebbe di sdraiarsi in un qualche dove e ronfare beatamente, agli sfortunati impiegati non resta che pascolare sui social network, chattare con qualcuno/a di intrigante e organizzarsi la serata. Qualsiasi altra attività è pressoché impossibile. Dal sondaggio inoltre è emerso che il momento più produttivo della giornata è alle 10.26; alle 15.00 si prova l’irresistibile voglia di concedersi una pausa caffè; e diciotto minuti prima del termine dell’orario lavorativo si lascia cadere la penna e si comincia a fissare nervosamente la lancetta dei minuti.
E qui stiamo parlando di inglesi…, mica di italiani: figuriamoci…!
Ed infatti da noi, quando qualcuno andandosene saluta con l’espressione “buon lavoro a tutti”, immancabilmente da un angolo remoto dell’ufficio si ode: «Buon lavoro? Ma buon lavoro non si augura nemmeno ai cani…».
Fonte: http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0070314
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