Ieri si è svolta la sesta edizione della maratonina di Crema - Trofeo Memorial Daniele Verga - , corsa competitiva sulla distanza di 21 km. e 97 metri, omologata Fidal. Quest’anno i partecipanti sono stati più di due mila, record assoluto da che è nata l’iniziativa. La giornata era fredda e umida, ma perlomeno non c’è stata pioggia quest’anno. E d’altra parte non si può pretendere un clima particolarmente mite a metà novembre. I corridori si sono presentati al nastro di partenza in perfetto orario e, alle nove in punto da Piazza Garibaldi, un colpo di pistola ha dato il via alla corsa. E mentre gli atleti sgomitando cercavano di accaparrarsi le prime file, sullo sfondo uno spettatore, malauguratamente in asse con la canna da fuoco dello starter, si è accasciato al suolo senza un lamento e nell’indifferenza generale. Pare solo che qualcuno abbia commentato assai opportunamente: «Non gli date retta, è un mitomane da competizione».
Un paio d’anni fa prestavo assistenza sanitaria alla gara con la CRI: pioveva insistentemente fin dalla sera prima e dal cielo veniva giù un’acqua puntuta e gelida. I maratoneti, nell’attesa della partenza, sgambettavano nervosamente cercando di tenere i muscoli caldi. Erano tutti avvolti da tele cerate, impermeabili di fortuna e buste di plastica maxi, di quelle in uso per la spazzatura. Facevano una pena orrenda e i pochi che assistevano alla partenza di quel plotone di disperati, avevano l’espressione tipica di coloro che assistono impotenti al massacro di un branco di foche monache. Al solito sparo - quella volta a cadere folgorato fu uno spettatore affacciato al balcone del terzo piano, sopra la farmacia - ci fu la classica ressa furibonda, seguita da un silenzio irreale. Per terra restavano centinaia di k-way, ombrellini, buste di plastica lacerate, ed ogni altro indumento che aveva potuto preservare gli atleti dalla pioggia. Pareva fossimo stati catapultati a Napoli, in epoca di abbandono selvaggio dei rifiuti. Il maratoneta infatti, a differenza di altri atleti tipo i ciclisti, corre sempre in totale deshabillé: a lui basta una canottiera e un paio di pantaloncini. Vi sono poi alcune donne che rasentano l’esibizionismo correndo addirittura in bikini. E questo sia che piova o nevichi, sia che ci sia un sole che squaglia l’asfalto. E così, non avendo per il momento altre incombenze, i volontari della CRI furono ben lieti di adoperarsi al ripristino del decoro urbano, ripulendo tutto il piazzale.
Ieri il primo classificato nella categoria maschile è stato Yassine Rachik con il tempo di un’ora e sei minuti. Tra le donne invece si è imposta Maria Righetti, con un’ora e diciassette. Ma al di là di questi preclari professionisti, quello che veramente fa appassionare la cittadinanza a queste manifestazioni è la gran quantità di “gente comune” che si cimenta in quest’impresa. Ci sono anonimi dipendenti di banca, professionisti di chiara fama, bibliotecarie polverose, casalinghe, sindaci; e poi giovani, meno giovani, persone anziane, vecchi decrepiti…! Una congerie variegata che non esclude alcuna categoria sociale. Tra le due ali di spettatori che facevano da corona all’arrivo, ci sono state scene davvero commoventi: persone esauste giunte quasi sulle ginocchia, mariti e mogli che tagliavano il traguardo mano nella mano, uomini anziani che incitavano i presenti chiedendo applausi, sconosciuti che si abbracciavano felici della loro impresa. E poi, in un silenzio di profondo stupore e ammirazione anche un uomo in carrozzella, spinto da un gigante rubizzo e sbruffante. Io non so cosa spinga tutte queste persone a correre, non ne capisco né il motivo, né il piacere insito in uno sforzo di questo genere. Quando da ragazzo facevo atletica leggera, la sessione d’allenamento si apriva sempre con cinque giri di corsa di riscaldamento. Cinque giri di pista d’atletica che corrispondono a due chilometri. Per me, abituato alla corsa veloce, era una tortura al limite dello sfinimento. Giungevo sempre stravolto, in preda a feroci miraggi e con le energie a zero. Tant’è che poi traccheggiavo malamente negli scatti e nelle ripetute. Dovetti, mio malgrado, cominciare a barare biecamente: ad ogni transito sul traguardo aggiungevo sempre ad alta voce un paio di giri rispetto al percorso fatto. L’allenatore si accorgeva di tutto, ma faceva finta di niente. Negli anni poi, abbandonata l’atletica, ho cercato a più riprese di corrichiare, di fare un po’ di fondo, come si suol dire. Anche perché ho diversi amici che amano questa disciplina e magnificano i benefici fisici di tale sport. E così di tanto in tanto, ci ricasco, ed ogni volta è lo stesso identico dramma: dolori muscolari e crampi micidiali, anche nei giorni successivi allo sforzo. «Devi insistere - commentano loro - , vedrai che piano piano, chilometro dopo chilometro, il fisico si abituerà e non ti fermerà più nessuno». E in me monta la rabbia e la delusione. Anche perché vedo che effettivamente i benefici sull’organismo di questi atleti sono notevoli. C’è infatti l’abitudine da parte dei fondisti di farsi rilevare la pressione dopo la corsa, e noi volontari della CRI siamo ben felici di esaudire questa richiesta. Ebbene, non ho mai visto dei valori così perfetti in anni di attività. Si trattasse anche di persone a cui non daresti due centesimi. Certo poi ci sono i casi di cronaca che ci ragguagliano su qualche decesso - in questo fine settimana un uomo è stato stroncato da un infarto durante la maratona di Palermo - , c’è chi parla di eccessivo affaticamento dell’impalcatura ossea, di malanni muscolari da stress ed altro. Ma nella sostanza pare proprio che la corsa faccia bene. Una mia cara amica di nome Antonietta, ad esempio, ha cominciato a correre qualche annetto fa, ed ora è stabilmente in cima alle classifiche della sua categoria. E’ un vero fenomeno, e se fosse giunta a questo sport in età più tenera, probabilmente la federazione italiana avrebbe avuto una freccia in più da spendere nelle competizioni internazionali. Antonietta va molto fiera di queste sue performance e non perde mai occasione di vantarsi con amici e conoscenti. E’ talmente affascinata dalla corsa che cerca sempre di migliorarsi, di limare qualche secondo al suo record personale. Anche al costo di incorrere in qualche incidente di percorso. Una volta si era messa in testa di fare il suo personale, ma a causa di una improvvisa indisposizione, il cimento si era rivelato più arduo del previsto. Ma lei è una tosta, una di quelle persone che quando si mettono in testa una cosa non se la tolgono più. E così chilometro dopo chilometro aumentava il ritmo, l’impegno, la grinta. Intorno alla metà della gara però la situazione sembrò precipitare. E dunque cominciò a correre guardandosi intorno angosciata. Poi all’improvviso ecco la salvezza: un bar aperto. E così - sempre con un occhio al cronometro - uscì senza un attimo d’esitazione dal percorso e infilò la porta dell’esercizio: «Dov’è il bagno…? Presto, è una faccenda molto seria questa…». Il barista e tutti i clienti del locale rimasero folgorati da quell’apparizione e soprattutto dall’espressione stravolta della mia amica. Ad un tipo molto apprensivo cadde finanche la tazzina del caffè di mano e il padrone del bar commentò giusto un filo adombrato: «E che cazzo…!». «Eh allora… - dovette ripetere Antonietta quasi urlando - sta latrina…?». «In fondo a destra - rispose lo sguattero - , come sempre del resto…». La faccenda venne esplicata in un tempo di assoluto valore mondiale: non ci fu purtroppo l’omologazione a causa della mancanza di prontezza del latrinaio. Antonietta saltò fuori dal bar e si dileguò verso il traguardo, senza neanche salutare chi le chiedeva un autografo. All’arrivo frantumò non solo il suo tempo personale, ma anche quello della categoria donne. E a chi le chiese un commento rispose solo: «Una passeggiata di salute...».
... la storia di Antonietta mi sembra abbastanza familiare!!!!! Meno male che non hai parlaro dell'amico di Antonietta che è abbastanza scarso :)
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