Si chiama propranolo, ed è la molecola in grado, secondo gli studiosi, di cancellare i ricordi dolorosi di una persona. È di qualche giorno fa la notizia che presso il Laboratorio di stress traumatico di Tolosa, in Francia, si lavora sulla molecola che attenua i cattivi ricordi della memoria. Sembra che già una quarantina di persone, tra Tolosa, Montreal, e Boston, abbiano beneficiato di tali ricerche e che presto lo studio si estenderà a nuovi pazienti di Lille, Tours e in Martinicala.
“Il propranololo - afferma il professor Philippe Birmes, direttore del laboratorio di Tolosa, intervistato sul settimanale La Parisienne - è un medicinale generico conosciuto da una decina d’anni che era destinato al trattamento del mal di testa o dell’ipertensione. Somministrando questa molecola ai nostri pazienti - ha spiegato - abbiamo visto che la carica emotiva legata a questi ricordi traumatici diminuiva”.
Dunque a breve basterà buttarsi giù una pillolina colorata e tempo dieci minuti, il dolore per un ricordo straziante scomparirà. Come il mal di testa di Molly, la ragazza inglese della reclame.
Messa in questi termini, la trovata è senza dubbio sensazionale, ci mancherebbe. Chi non vorrebbe cancellare un brutto ricordo, chi non porta nel proprio zaino un episodio che gli ha fatto male e che ancora si agita nel profondo della coscienza? Riflettendo su questa sensazionale scoperta della scienza, mi sono trovato a pensare al dolore: che cos’è in fondo il dolore? Uno stato emotivo causato da un’esperienza negativa, la perdita di una persona cara, la distruzione di un sogno, la fine di un amore. Tutto questo è dolore, indubbiamente. Ma infondo tutto ciò è anche vita, esistenza vissuta, assaporata, aria transitata nei polmoni, avventura umana. La vita stessa è causa dell’effetto dolore. Così come dell’effetto gioia: solo chi non vive non potrà mai sperimentare tali stati d’animo. Cancellare con una pillola il dolore in altre parole, significa spianare una parte della nostra esistenza, raderla al suolo, come se non fosse mai stata vissuta. Siamo sicuri che a conti fatti ci convenga? Ma molte voci, tuttavia, sostengono che al dolore spesso non si riesce a resistere e che dunque un aiuto medico può essere la soluzione. D’altra parte in epoca di depressione e disturbi mentali galoppanti, il ricorso alla pillolina miracolosa è la cosa più scontata. Già, eppure per millenni l’uomo non ha avuto bisogno di tali supporti, da sempre la società ha elaborato il concetto del dolore ed è stata capace di porre un argine allo stesso: perché esso non travolgesse l’individuo nella sua complessità. Come si spiega dunque quest’improvviso bisogno di un rimedio pronto uso? Perché l’uomo moderno, con la sua incrollabile fiducia nella scienza e nella tecnica, si è convinto di riuscire a risolvere qualsiasi problema di ordine esistenziale attraverso la via più facile, più immediata, con un semplice schiocco di dita. Il dolore, che dall’alba dei tempi è uno degli aspetti tragici dell’esistenza umana e che dunque mette l’individuo di fronte al grande mistero della vita, da oggi può essere cancellato, ablato, dichiarato fuori legge. Eppure il dolore ha molto da insegnarci. Se non ci fosse il dolore non riusciremmo ad apprezzare neanche il piacere, la gioia, la felicità improvvisa. È proprio la consapevolezza del dolore immanente che ci spinge verso la ricerca di quell’attimo fuggente di felicità. I soldati al fronte o anche i malati terminali, consapevoli della possibilità concreta di morire da un momento all’altro, sono spinti a vivere ogni attimo della loro precaria esistenza nella maniera più intensa possibile, perché il tempo che rimane è così esiguo e incerto che non si può più buttar via. E così ogni parola, ogni pensiero, ogni riflessione condivisa, ha il sapore profondo della concretezza, della rivelazione del proprio intimo, dell’anima messa a nudo. È la consapevolezza del dolore immanente che stimola la ricerca della verità, delle rivelazioni ultime. Non per niente ai figli che assistono i genitori morenti spesso capita di udire e pronunciare parole che mai avevano varcato la soglia delle labbra. E sono le parole che restano più impresse nella memoria e che stillano nell’animo come un lenitivo di dolce commiato. Nel film Viaggio In Inghilterra di Richard Attenborough del 1993, Antony Hopkins interpreta il ruolo del professor C.S. Lewis, straziato dal dolore per la morte della moglie. Nell’ultima scena afferma: “Perché amare se perdere fa così male? Non ho più risposte: solo la vita che ho vissuto. Due volte nella mia vita ho potuto scegliere: da bambino e da adulto. Il bambino scelse la sicurezza, l’adulto sceglie la sofferenza. Il dolore di oggi fa parte della felicità di ieri. Questo è il punto”.
Ecco, se non avessimo il dolore di oggi, non avremmo neanche la felicità di ieri: si chiama vita, ed è la magnifica avventura a cui siamo chiamati a partecipare. Senza pillole dell’oblio, possibilmente.
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