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“Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)
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venerdì 19 aprile 2013
Muore giovane chi è caro agli dei (Menandro)
Quante volte abbiamo sognato di diventare famosi, magari anche solo per quegli esigui quindici minuti di cui parlava Andy Warhol? A chi non farebbe piacere essere stimato, osannato, considerato un faro dell’Umanità? Fama e successo sono le chimere a cui ambiscono più o meno tutti, unico vero modo per eternarsi e sopravvivere a noi stessi e alla marea di anonimato nella quale siamo immersi da sempre.
Eppure, stando a quello che sostengono due ricercatori statunitensi, Richard Epstein e Catherine Epstein, incenso e notorietà non farebbero rima con longevità. Lo studio ha preso in esame un migliaio di necrologi pubblicati tra il 2009 e il 2011 sul New York Times, e dai dati emergerebbe che quanto più una persona ha avuto successo, tanto più la sua vita è risultata breve rispetto alla media. In altre parole, quanto più si vive un’esistenza sotto i riflettori della popolarità e del riconoscimento dei propri meriti, tanto più si corre il rischio di “fare le valigie” anzitempo. La ricerca ha catalogato i necrologi in base a sesso, età, attività svolta e causa della morte. E tra le varie categorie di persone “famose”, sono stati presi in esame artisti (attori, cantanti, musicisti, ballerini, scrittori, compositori, pittori) e professionisti (politici, intellettuali, accademici, religiosi ed altri). Nel triennio preso in esame, i decessi degli uomini “famosi” sono stati 813, quelli delle donne “famose” solo 186. Come volevasi dimostrare…! Riguardo alle categorie invece, pare che quanto più un’attività abbia a che fare con la creatività, tanto più si vada incontro ad una morte precoce. Più longevi infatti risultano i docenti universitari, i militari di carriera e i politici. E te pareva: quelli se la sfangano sempre. Le cause di morte più ricorrenti sono riconducibili a incidenti, infezioni come l’HIV e tumori.
Questa ricerca non fa che confermare un vecchio e affascinante binomio: “giovinezza e genio”. La creatività è come un fuoco che brucia subito, che divampa con violenza, che esprime precocemente tutte le sue potenzialità e, come un’automobile di grossa cilindrata lanciata a folle velocità, svuota in fretta il serbatoio. Thomas Mann scrive I Buddenbrook a venticinque anni, Mozart muore a 35 anni, Raffaello a 37; Rossini, poco più che ventenne, ha già scritto e rappresentato una decina di opere e a trentasette anni si ritira sostanzialmente dalle scene; Bernini, Mantegna, Leonardo da Vinci e Michelangelo sono dei bambini prodigio, e Torquato Tasso a sette anni dialoga correttamente in latino e greco. E non si tratta solo di un fenomeno legato all’arte: Enrico Fermi a ventun’anni insegna all’Istituto di Fisica della Scuola Normale di Pisa e ha già elaborato importanti teorie sulla meccanica quantistica e sulla fisica atomica; Guglielmo Marconi a ventun’anni ha sostanzialmente inventato la radio, oltre ad aver fatto una miriade di altre scoperte.
Qualche anno fa il Professor Flavio Caroli diede alle stampe un libro dal titolo Trentasette - Il mistero del genio adolescente. In questo saggio venivano tratteggiate le vite di dieci grandi artisti morti tutti all’età di trentasette anni (Raffaello, Parmigianino, Valentin de Boulogne, Cantarini, Watteau, Van Gogh, Toulouse-Lautrec, Tancredi, Gnoli, Manai). Caroli si chiede “che cosa sarebbero riusciti a fare questi artisti se avessero continuato a vivere”. Stessa domanda che sorge a tutti noi quando pensiamo ad altri artisti contemporanei, scomparsi prematuramente. Quante meraviglie avrebbe potuto ancora regalarci Fabrizio De Andrè se la morte non ce l’avesse portato via così in fretta? E Massimo Troisi, addormentatosi per sempre in un pomeriggio d’estate, all’età di quarant’uno anni? E ancora Jim Morrison, Janis Joplin, Amy Winehouse; o Modigliani, Boccioni? Tutti congedatisi intorno alla trentina. Quanta bellezza avrebbero regalato ancora all’Umanità? La domanda è più che legittima. Eppure, osservando le biografie di questi personaggi ci rendiamo conto che le loro brevi vite sono state volutamente delle galoppate a briglie sciolte, esistenze sempre al limite, fatte di eccessi, di esagerazioni, sfrenatezze. Genio e sregolatezza, si dice. In ognuno di costoro sembra esserci un fuoco sacro che divora, una costante certezza dell’esiguità della vita, dell’immanenza della fine, della fugacità dei giorni. Ed è per questo che ogni singolo momento è stato vissuto al massimo dell’intensità esistenziale possibile. E così come la vita, anche l’arte per costoro è una straordinaria cavalcata a perdifiato. Contro il tempo. Avrebbero potuto regalarci altri tesori? Forse sì. O forse, proprio perché avevano bruciato le tappe della loro esistenza, non restava loro molto altro da dire. In fin dei conti qualsiasi artista va incontro all’esaurimento della propria vena creativa e d’altra parte il decadimento cognitivo è un destino che attende tutti gli uomini, famosi o non famosi.
Ed in ogni caso che vale pensare ad ipotetici capolavori mai realizzati quando possiamo ammirare opere come la Madonna del Cardellino, o ascoltare Crêuza de mä?
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