Oggi ricorre la Giornata Mondiale del Libro (e del diritto d’autore, ci tengono a precisare gli organizzatori). Di questi tempi eventi di questo genere ce ne sono talmente tanti, e a scadenze così frequenti, che quasi non ci si fa più caso. Ed anzi, proprio a causa di tale soverchia abbondanza, il sentimento che più spesso s’abbina a tali ricorrenze è l’assuefatta indifferenza, quand’anche non la noia e il fastidio. Giornata della Terra, Giornata del risparmio energetico, Giornata della Lentezza, e poi ancora tutte le feste comandate e quelle laiche, dalla festa della donna a quella dei nonni e chi più ne ha più ne metta. Tale è l’affollamento dell’agenda che ormai si fa gran fatica a trovare una data libera per calendarizzare nuovi fantasmagorici appuntamenti. La Giornata del Libro, tuttavia, evento patrocinato dall’Unesco per promuovere la lettura, “come progresso sociale e culturale dell’Umanità”, ci pare una nobile iniziativa. A maggior ragione tenendo conto che tale prezioso testimone ci giunge direttamente da persona di sangue blu. Il 6 febbraio 1926 infatti, Alfonso XIII, Re di Spagna, facendo propria la Giornata del libro e delle rose, ideata dallo scrittore ed editore catalano Vincent Clavel Andrés (1888-1967), promulgò un decreto con cui veniva istituita in tutta la Spagna la Giornata del libro spagnolo. La data prescelta fu appunto il 23 aprile, festa di San Giorgio, protettore della Catalogna. In questa giornata, in cui tra l’altro si ricorda la morte di Shakespeare e Cervantes, c’è la tradizione che ogni uomo doni una rosa alla propria donna in segno d’amore. Da ciò ne discende il costume dei librai della Catalogna di regalare alle clienti una rosa per ogni libro venduto il 23 aprile. Quanto sarebbe bello importare anche da noi questa tradizione? Un piccolo gesto poetico, in un mare d’indifferenza. A partire da oggi dunque, e in tutta Italia, si svolgeranno diversi eventi per far riscoprire al pubblico il gusto della lettura: si comincia con Il Maggio dei Libri, promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, per arrivare al Salone del Libro di Torino.
Ed in effetti, guardando le statistiche c’è un gran bisogno di riavvicinare gli italiani ai libri. Stando ai dati dell’ultimo rapporto del Censis sulla comunicazione, nel nostro paese oltre la metà della popolazione non legge neanche un libro nel corso dell’anno. Ed anche quei pochi che leggono, leggono assai poco: il 45,6 per cento dei lettori non ha letto più di tre libri in dodici mesi, mentre i cosiddetti “lettori forti”, cioè coloro che hanno letto almeno una dozzina di libri nello stesso lasso di tempo, sono il 13,8 per cento del totale. Scendendo più nel dettaglio scopriamo che le donne leggono più degli uomini, soprattutto nella fascia d’età che va dai 15 ai 44 anni; che il numero più alto di lettori si ritrova tra i ragazzi (11-17 anni); che avere genitori appassionati di lettura spinge i figli verso la stessa passione (72 per cento); e che all’inverso, genitori lontani dai libri allontanano i figli dalla lettura (39 per cento). Stupisce poi un dato: una famiglia su dieci dichiara di non possedere alcun libro in casa. Magari hanno tre quattro smart-phone a testa, ma neanche un libro. Splendido. E di fatti, ancora il Censis ci fa sapere che otto italiani su dieci possiedono un telefono cellulare.
Non saprei dire il perché di tanta disaffezione per i libri: forse questi oggetti pesanti e polverosi sono visti ormai come vecchiume intollerabile rispetto alla velocità dei computer e di Internet. Un tempo, quando i professori davano per compito una qualche ricerca, ci si recava nelle biblioteche e passavano interi pomeriggi prima di trovare il volume che poteva andar bene. E poi ore e ore per prendere appunti, per ricopiare intere pagine. Oggi basta un click e saltano fuori milioni d’informazioni dettagliatissime.
Ma oltre a ciò, occorre pur confessare che la lettura, per chi non vi è avvezzo, è pur sempre una fatica: bisogna concentrarsi, seguire il filo logico del racconto, dedicarvi tempo preferendovi questa attività ad altre. Quando ero ragazzo ragionavo in questi termini: soprattutto quando frequentavo il ginnasio. Non riuscivo a capire perché diavolo dovessi leggermi quella palla cosmica di Manzoni, piuttosto che andare a giocare a pallone con gli amici. E con gli anni a seguire andò ancora peggio, con quell’altro mattone indigeribile di Dante. Tanto fu l’odio per quelle letture che per molto tempo rimasi lontano dai libri. Col tempo tuttavia, mi sono riavvicinato a questo mondo e ho cercato di recuperare tutto il terreno perduto. Scoprendo peraltro un piacere inimmaginabile in quei lontani anni adolescenziali. In questi giorni per esempio, sto rileggendo I promessi sposi. La cosa è partita come una sfida, per vedere che effetto mi faceva a distanza di venticinque anni. Il volume è lo stesso di allora, e tra le pagine vi sono le annotazioni che scrissi durante quelle pesantissime ore di lezione. Alcune fanno tenerezza, tanto sono ingenue. Altre sono semplici sinonimi esplicativi per parole come “sicurtà”, “antonomasia”, “di mio genio”, “a un di presso”. Chissà come suonavano strane allora? E poi, al termine di ogni capitolo c’è una grossa X ben calcata - come un carcerato che segna il passare del tempo della pena, apponendo un segno sul calendario - , e la scritta “commento”. Quanta fatica e noia saranno costati quei compiti trascinati per mesi e mesi? E oggi invece, che me ne pare di questo romanzo? L’aggettivo che mi sento di spendere, sperando di non essere preso per matto, è: splendido…! Che grave torto si fa a “Don Lisander” obbligando degli adolescenti a leggere questo capolavoro. E non solo a leggere, che come detto è già fatica per chi non v’è avvezzo, ma addirittura studiare. Con compiti a casa, riassunti, commenti, verifiche, temi. Terrificante. Si dice, ma Manzoni è il padre della lingua italiana (così come Dante ne è il nonno, a sto punto) ed è giusto che gli studenti si esercitino sulle sue pagine. D’accordo, ma l’obiezione è sempre la stessa: c’è un tempo per ogni cosa. Lo stesso Manzoni non credo che scrivendo la sua storia pensasse a lettori quattordicenni. E alla stessa maniera, ascoltando Benigni che recita La Divina Commedia, mi scopro oggi a sollevarmi da terra per l’entusiasmo e la meraviglia, mentre al liceo non v’erano che tedio e desiderio d’evasione.
La lettura è uno dei piaceri più alti che può provare l’uomo, perché è il modo più straordinario per compiere un viaggio nell’immaginazione. Perché dunque angariare dei ragazzi con opere fuori dalla loro portata? Perché costringerli a leggere libri che a loro hanno poco da dire in quell’età così acerba? E ancora, perché trascurare tutto il resto del panorama letterario straniero, a partire da quel Don Chisciotte, considerato unanimemente il più bel romanzo di tutti i tempi?
Forse in Italia non si legge abbastanza anche perché in pochi sono capaci veramente di trasmettere questa passione. Dei libri non si può fare a meno: un libro è per sempre.
questa settimana i miei alunni di terza elementare hanno fatto il torneo di lettura, in tre mesi hanno letto, passandoseli,quattro libri. La maggior parte di loro erano davvero interessati ed entusiasti, quindi credo che il piacere della lettura vada stimolato fin dalla più giovane età. In questo il ruolo degli adulti è fondamentale. Io sono cresciuta in una famiglia modesta e proletaria, dove non c'era l'usanza della lettura; ma appena arrivata a scuola mi ci sono imbattuta grazie ad un maestro speciale che ci leggeva libri in classe, da Cipì al Piccolo Principe, e che ora sto leggendo ai miei alunni.I bambini si appassionano alle storie, poi noto però, nel progredire verso i più alti gradi di scuola, un abbanbono della lettura. Forse perchè, come dici tu Luigi, ci si ostina a proporre letture non adatte. Da "grande lettrice", quale credo di essere, penso che la lettura debba essere un piacere; quando mi imbatto in un libro che non mi piace lo lascio.
RispondiEliminagiovanna