Quello che mi accingo a scrivere sicuramente a molti non piacerà, ma è esattamente ciò che ho provato e provo di fronte a certe notizie.
L’altro giorno sull’autostrada A9, con un’azione degna dei migliori assaltatori paramilitari serbo-croati, un commando di una decina di uomini ha assaltato un furgone portavalori, portando a termine una rapina che il giornali hanno definito da “far west”. Poco dopo le sette di mattina, nel tratto di strada tra Saronno e Turate, si è scatenato letteralmente l’inferno: un camion in fiamme si traversa sulla carreggiata e blocca la circolazione, i banditi disseminano l’asfalto di chiodi a tre punte per forare le gomme dei soccorritori, un altro mezzo pesante chiude la via ai due furgoni blindati. A quel punto arrivano le prime raffiche di kalashnikov, esplose più che altro a scopo intimidatorio. In questi attimi giungono al 118 una serie di chiamate d’emergenza degli automobilisti che vedono il fumo del camion e odono il rumore dei colpi. Le Forze dell’Ordine a questo punto capiscono che si tratta di una rapina. Dalle testimonianze vocali dei presenti si capisce la dinamica e lo stile adottato dai banditi. E non si tratta di una novità: altre rapine si sono svolte in passato con le stesse modalità. A quel punto sulla scena del crimine interviene anche uno stratagemma geniale: i malviventi posizionano sotto uno dei due furgoni un fumogeno, con lo scopo di far credere all’equipaggio che il mezzo sta andando a fuoco. A quel punto i vigilantes aprono il portellone e si consegnano agli aggressori senza che venga loro torto un capello.
Da segnalare che il secondo blindato non viene neanche preso in considerazione dagli assaltatori: si scoprirà in seguito, a conferma dell’accuratezza con cui è stato programmato il colpo, che il mezzo è solo una copertura e non contiene alcun valore. Immobilizzati gli uomini di scorta, il commando trasferisce il denaro (10 o addirittura 15 milioni in contanti) e i lingotti d’oro su tre vetture, taglia un pezzo di guard-rail e fugge attraverso una stradina secondaria. Presso un casolare poco distante verranno ritrovate le auto usate per il colpo. Dei banditi, ovviamente, nessuna traccia.
Una rapina perfetta, da manuale, pianificata nei minimi dettagli ed eseguita senza spargimento di sangue. Da ieri è caccia aperta in tutto il Nord Italia.
È dai tempi di Bonnie e Clyde che la stampa porge volentieri i propri servigi per la mitizzazione del bandito. C’è come un compiacimento nel raccontare il crimine, nel trattare la vicenda al pari di un episodio epico. D’altra parte il male ha pur sempre il suo bel fascino: non si spiegherebbe altrimenti il successo di pubblico riscontrato da pellicole come Il Padrino o Gomorra.
Ciò che nello specifico conferisce a questa rapina un qualcosa di eroico è l’audacia dimostrata dai banditi, la destrezza, la freddezza, la professionalità. È stato tutto così straordinariamente perfetto che viene quasi voglia di dire “bravi”. Anche perché ad essere rapinato è stato un portavalori che trasportava del denaro presso una banca svizzera. E tutti sappiamo quanta poca stima godano le banche in questo periodo.
Viene quasi spontanea l’identificazione con i banditi, si odono a tratti antiche reminescenze adolescenziali, quando si faceva il tifo per Robin Hood. Che pure era un ladro fuorilegge.
C’è da dire peraltro che tutta la vicenda viene vista sotto l’occhio tenero e misericordioso dello spettatore solo perché non c’è scappato il morto. Per fortuna. Ben altro sentimento albergherebbe in ognuno di noi se sull’asfalto fosse rimasto un padre di famiglia.
Ad ogni modo, in quest’azione criminale non può sfuggire un dettaglio: pur nella ferocia della rapina pulita e asettica, i banditi hanno affrontato a viso aperto un potenziale scontro a fuoco, mettendo in conto la possibilità di restare uccisi loro stessi. Al di là dunque del rischio di una condanna a decenni di galera, questi uomini hanno messo a repentaglio la loro stessa vita. Ed è questo, che in un certo senso, li rende un po’ meno spregevoli di qualunque altro criminale: mettere in gioco la stessa vita conferisce un che di etico a tutta la vicenda. E non può che sorgere immediato il raffronto con tutta la cosiddetta “criminalità dei colletti bianchi”, fatta da loschi tangentisti che brigano sottobanco, da classi dirigenti che delinquono sul filo della legalità, che compiono azioni scellerate fingendosi servitori della democrazia, che devastano la convivenza civile facendosi credere perseguitati politici e martiri della libertà. In costoro non c’è onore, né dignità alcuna. Il loro è un gioco che non contempla né rischio né sconfitta, anche perché le regole sono scritte (e riscritte) a beneficio di loro stessi. Oggi in Italia un corruttore rischia al massimo due anni di reclusione: ovvero, grazie ai benefici di legge, neanche un giorno di galera. Basterebbe questo per rendersi conto della convenienza attuale di delinquere in guanti gialli.
Il rapinatore no invece: egli paga tutto, e in contanti.
Molti anni fa mia madre lavorava presso un’amministrazione comunale e tra le altre colleghe ce n’era una sposata con un rapinatore di banche. A quell’epoca costui era in regime di libertà vigilata. Un giorno vennero a casa nostra per un caffè. Mia madre era terrorizzata all’idea di avere un bandito in casa, ma non voleva negare quell’atto di amicizia all’amica. Quello che ci trovammo di fronte era un uomo come tanti altri, forse meglio di altri. Il suo volto aveva un che di franco, sincero, lo sguardo era deciso e vi erano riflessi di fierezza nei suoi atteggiamenti. In lui non c’erano sentimenti di vergogna né di inadeguatezza verso il prossimo. Era una persona educata, cordiale, un uomo che aveva commesso degli errori, ma che stava pagando il suo conto. E lo pagava con grande dignità. E la moglie lo amava follemente, nonostante tutto. Quando andarono via ci rimase addosso un profondo senso di incredulità verso tutta quella vicenda. Ci sembrava impossibile che quella persona così “perbene”, si fosse macchiata di tanti crimini. Eppure era così, e non lo negava. Ecco perché, ai nostri occhi costui conservava comunque una certa rispettabilità. Tutt’altra cosa rispetto a coloro che, pur gradendo la delinquenza, si professano gigli di campo.
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