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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 1 marzo 2013

Mangiare senza ingrassare? Tutti al ristorante “calorie zero”

7 chili in 7 giorni, Italia 1986
Nella mia ormai più che ventennale esperienza di frequentatore di ristoranti, trattorie e fast food, ne ho viste veramente di tutti i colori. Da bambino ero molto viziato e schizzinoso, mangiavo solo ciò che volevo e disdegnavo la quasi totalità dei cibi che cucinava mia madre. All’asilo era una vera tragedia: ricordo che un pomeriggio rimasi solo per molte ore in refettorio, davanti ad un’orribile uovo sodo. La maestra, esasperata per il mio atteggiamento, aveva deciso che mi sarei alzato da tavola solo dopo che avessi trangugiato quel fetido uomo sodo. Ma io non desistetti e anzi per mettere fine a quella tortura, non visto, lanciai l’uovo giù dalla finestra, centrando in pieno un netturbino omosessuale di passaggio. Col tempo, e per contrapposizione a tutti quegli anni in cui mi ero perso quelle somme delizie, ho cominciato ad assaggiare di tutto. Sono stato nei ristoranti più esotici della terra, ho ordinato i cibi più strani, quelli con i nomi più enigmatici e impronunciabili: gored-gored, zighinì, tumtumò, tochitura, pastrama, rane bollite in panna acida. Tutto. Anche a rischio di rimettere tutto nel cesso del ristorante. Certo il proprietario di fronte a questa eventualità si offendeva, ci restava male, anche perché gli altri clienti vedevano e iniziavano a meditare sulla fuga. Per non arrecare eccessivi danni all’immagine del locale, tornato dalla toilette, mi rivolgevo sempre agli altri avventori con voce sostenuta: “È per via del virus influenzale, quello che dà nausea e meteorismo, e fa buttare fuori tutto. Il cuoco non c’entra niente…, ve lo garantisco”. Ma la gente se ne accorgeva che stavo mentendo.
Ad ogni modo per anni sono andato avanti in questa maniera, spinto dalla curiosità e dalla ricerca del gusto più originale. Poi, ad un tratto, mi sono detto: “Bon, ora può bastare”. E sono tornato senza grossi rimpianti sulla cucina classica italiana. L’unica cosa tuttavia che non mi ha mai lontanamente sfiorato durante questa mia personale recherche, è il problema della linea. Eppure, a dar retta ai giornali, sembrerebbe che questa sia una delle principali preoccupazioni dei clienti dei ristoranti inglesi. A Londra per esempio, a partire da metà marzo, aprirà un ristorante che promette agli avventori di pranzare e uscire senza avere in corpo una sola caloria in più rispetto al momento dell’entrata nel locale. E non si tratta della famosa “psico-cena”, immortalata dal film Sette chili in sette giorni, in cui ai disperati clienti obesi della clinica dimagrante venivano serviti piatti e scodelle vuoti, associati ad una agghiacciante seduta di ipnosi di gruppo. Qui si cena per davvero, e con un succulento menu magistralmente preparato da Frederick Forster, lo chef più famoso del Regno Unito. Il suo segreto per rispettare il patto con i clienti? Attento calcolo dell’apporto calorico di ogni portata, preparazione bilanciata, scelta sapiente dei condimenti, e cottura rigorosamente a vapore. Ma non finisce qui. E già perché il cliente non potrà semplicemente accomodarsi a tavola e “scofanarsi”, ma sarà obbligato ad un piccolo, indispensabile sacrificio preliminare: una volta entrati nel locale infatti, alcuni addetti gli sfileranno la giacca di dosso e lo porteranno in una stanzetta dove, senza perdere tempo, inizieranno per lo sventurato una serie di esercizi di riscaldamento, per “stuzzicare il metabolismo”. Fatto ciò, si passerà poi a una intensa sessione di lavoro fisico. Non è dato sapere i particolari, ma purtroppo immaginiamo di cosa si possa trattare: cyclette, tapis roulant, step, panca con i pesi ed altro ancora. Che meraviglia: si esce per andare a cena e ci si ritrova su un maledetto vogatore a fissare una parete bianca. Meglio mettersi una 44 magnum in bocca e premere il grilletto: datemi retta. E parlo per esperienza personale. Che poi a questo punto viene da chiedersi: “Ma dopo l’intensa sessione di lavoro fisico, ti permetteranno almeno di fare la doccia, o ci si siede a tavola fetidi come capre marce?”. Anche in questo caso, riserbo assoluto. Ma a sto punto, dico io, non sarebbe meglio dire: “Allora, cari clienti, se non volete ingrassare, prima di venire al ristorante andate a fare un’oretta di ginnastica; poi tornate a casa, vi lavate opportunamente, vi deodorate, indossate la camicia bianca e con calma venite a cena”. E no, troppo facile, troppo semplice. Meglio far ginnastica al ristorante, con camicia, cravatta, pantaloni con la riga, mocassino elegante. E poi, sudati come cestisti di colore, sedersi a tavola e ordinare. Ma Dio mio, dove siamo finiti. Che poi, in tempo di crisi, c’è da chiedersi: “Ma mi converrà veramente uscire dal ristorante con il conto calorico a zero? O non è meglio fare il pieno che poi non si sa quando potrò mangiare un’altra volta…?”. Domande che non avranno una risposta, purtroppo. In realtà, com’era facilmente immaginabile, tutta questa messa in scena non è altro che un’iniziativa di marketing per promuovere una linea di cucine per la cottura a vapore. Eppure, nonostante ciò, vi sono fior di nutrizionisti che hanno ritenuto di dover dire la loro su questa trovata. Adrea Ghiselli, ricercatore dell’Inran (Istituto Nazionale Ricerca Alimenti e Nutrizione), afferma: «Sostanzialmente se si affronta un percorso di attività fisica che valga almeno 200-300 kcal, e poi si cucina a vapore senza olio, senza eccedere nell’aggiunta di carboidrati e proteine, può accadere di tornare a casa a zero calorie». Ne prendiamo tristemente atto.
Tanta è la foga salutista di questi tempi, che qualche anno fa il Ministero della Salute aveva lanciato una crociata contro l’obesità, proponendo una legge che imponesse nella ristorazione porzioni standard, locandine con i valori calorici dei singoli alimenti ed etichette terrorizzanti su quante ore di corsa occorressero per smaltire uno sfilatino con crudo e squaquerone. Horribile dictu. Ma per la miseria, dico io, possibile che lo Stato debba ingerire perfino nel mio piatto? Possibile che il legislatore mi debba dire quanto mangiare, come mangiare e a che ora? E se avessi voglia di suicidarmi come i protagonisti del film La grande bouffe? Straordinaria la scena in cui Ugo Tognazzi imbocca Philippe Noiret sul letto di morte: “Dai, un ultimo boccone…, fallo per me”.
Ad essere sinceri tutta questa smania per la linea, la forma, i cibi salutisti, il biologico, l’ipocalorico, oltre ad irritarmi, mi mette addosso uno sconforto senza fine. È mai possibile che la nostra vita debba essere ridotta a un infinito conteggio da ragionieri? Tabelle alla mano, numeri, calorie, proteine, zuccheri, carboidrati: ma basta, non se ne può più…! Ogni attimo della nostra vita è scandito da numeri, cifre, orari, appuntamenti, fretta, conteggi: almeno quando ci sediamo a tavola, la vogliamo finire con queste assurde preoccupazioni? Mio nonno usava dire: “Mangia, bevi e fregatene”. Che voleva significare, lascia perdere, non dare retta a tutte queste preoccupazioni: assapora il piacere della tavola e ringrazia Iddio che te l’abbia concesso. Perché in fondo nulla è certo a questo mondo. Padre Enzo Bianchi, il priore della Comunità di Bose, così scrive in Ogni cosa alla sua stagione: “La tavola è un luogo attorno al quale si consuma un rito proprio, fra tutti gli animali, solo all’essere umano: quello di mangiare insieme e non in competizione con i propri simili. E, mangiando, parlare insieme: la tavola è il luogo privilegiato per la parola scambiata, per il dialogo. Si comunica attraverso il cibo che si mangia e attraverso le parole che si scambiano […]. La tavola è il luogo della fiducia nell’altro, di sperare insieme qualcosa di comune per il futuro, dell’amore nello scegliere, preparare, offrire e servire il cibo agli altri […]. Stare a tavola insieme è un linguaggio universale tra i più determinanti e decisivi per l’umanizzazione di ciascuno di noi. Stare a tavola è molto più che saper nutrirsi: è saper vivere”. Belle parole, vero? Ma ormai è tutto vecchiume: da domani prima di mettervi a tavola, sparatevi una corsettina di riscaldamento (cinque chilometri dovrebbero bastare), cinquanta flessioni, altrettanti addominali e, se vi resta tempo, un po’ di stretching. Vi alzerete senza un grammo in più rispetto a quando vi siete seduti. Guai però a dire “puttana vacca, ho più fame di prima”: sennò la magia finisce.

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