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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

martedì 12 marzo 2013

Il migliore dei mondi possibili

Un paio di giorni fa Mario Calabresi, direttore de La Stampa, si è occupato del libro “Il declino della violenza”, scritto da Steven Pinker, illustre linguista del Mit di Boston. Il sottotitolo del volume anticipa in maniera molto esplicativa la tesi di fondo del trattato: “Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l’epoca più pacifica della storia”. Fantastico, rallegriamoci. Direttamente dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico ecco giungere anche da noi l’ultimo epigono di Leibniz: “Viviamo nel migliore dei mondi possibili”. All’interno del mastodontico libro (780 pagine) vi si legge che l’umanità, dopo millenni di barbarie e violenza, si avvia definitivamente verso un novello ecumenismo umanitario e una completa pacificazione. E per sostenere ciò, Pinker mette per esempio a confronto le agghiaccianti esecuzioni capitali che si consumavano pubblicamente nei secoli passati – con tanto di testimonianze documentali dirette e particolari macabri – , rispetto allo scalpore che provocano oggi nell’opinione pubblica i nostri radi processi di cronaca nera. E s’insiste sulla crudeltà della pena di morte combinata dall’autorità statale, sulla tortura, sul vilipendio di cadavere. Tutto per dimostrare in maniera cristallina quanto quei nostri sanguinari antenati fossero diversi da noi, e quindi quanto l’umanità si sia evoluta da quello stato beluino di violenza primordiale.
Sarà, ma a quanto mi consta, la pena di morte è tutt’oggi vigente in moltissime nazioni, e non solo in quelle più arretrate, ma anche negli evoluti Stati Uniti d’America. Abbiamo tutti negli occhi le immagini del famigerato “Miglio Verde”, il braccio della morte in cui i condannati attendono che la sentenza diventi esecutiva. Certo non ci sono più patiboli (almeno in Occidente), non ci sono più urla di giubilo degli spettatori, non si squartano più cadaveri. Oggi è tutto molto asettico e indolore: camera dell’iniezione letale che appare come una sala operatoria, vetro di cortesia che permette ai parenti delle vittime di guardare negli occhi il colpevole nel momento del trapasso, riprese a circuito chiuso. Lo spettacolo della morte edulcorato e reso potabile per la sensibile e delicata platea occidentale. E sì, d’accordo, sostiene l’autore, ma si tratta di minutaglia residuale, destinata a scomparire nel breve periodo. D’altra parte è notorio quanto oggi sia cambiato il valore che diamo noi contemporanei alla vita, rispetto al passato: la vita è sacra, e non va sprecata. Crociate, roghi, tribunali dell’Inquisizione, pulizia etnica, massacri: tutti episodi da consegnare allegramente ai polverosi libri di storia. Naturalmente. E che cosa ha determinato questo presunto declino della violenza, secondo Pinker? Il trionfo dei “migliori angeli” della nostra natura, vale a dire empatia, autocontrollo, moralità e ragione. Ma io mi domando e dico, questo professor Pinker su quale pianeta del sistema solare è vissuto fino ad oggi? Ma davvero è così convinto che il nostro mondo sia avviato alla pace e alla rivoluzione umana? Davvero è convinto che l’umanità stia vivendo una nuova età dell’oro? Certo se prendiamo come metro di paragone il nostro Occidente, una certa qual ragione possiamo anche concederla all’illustre cattedratico (fatte salve le bombe atomiche sul Giappone, la Germania rasa al suolo sebbene sconfitta, le recenti guerre nei Balcani, i bombardamenti Nato su Belgrado, le carneficine, gli stupri etnici e tutto il resto), ma appena varchiamo i confini dell’Impero c’è la giungla. Quante guerre ci sono ad oggi in giro per il Mondo? Esistono statistiche ufficiali sulle vittime globali dei conflitti? O di questi morti non c’interessa, dal momento che non fanno parte del nostro pacifico e civilissimo mondo? Eppure basterebbe un pizzico di buona volontà per accorgersi che al di là del nostro cortile ci sono attualmente circa una trentina di conflitti armati, e che le vittime superano abbondantemente il milione di persone ogni anno (fonte: Peace Reporter). E quante di queste vittime sono diretta conseguenza di interventi militari dei paesi più civilizzati, impegnati nel difficile – e non richiesto – compito di esportare la democrazia a suon di bombe? Ma evidentemente tutto ciò non conta, non ha rilevanza di fronte a questo incrollabile ottimismo: «Ci crediate o no – dice Pinker – , e so che la maggior parte di voi non ci crede, nel lungo periodo la violenza è diminuita e oggi viviamo probabilmente nell’era più pacifica della storia della nostra specie».
Ebbene può anche darsi che ciò corrisponda al vero, ma questo non significa automaticamente che l’umanità abbia fatto passi avanti nell’evoluzione, né tantomeno che abbia conquistato l’ambita felicità. Anzi, sono proprio le statistiche a dirci che la nostra è un’epoca segnata da angoscia, frustrazione, rabbia, rancore, odio. Nel civilissimo occidente post-industriale, i suicidi sono aumentati in maniera spaventosa rispetto ai vituperati secoli passati, le alienazioni mentali impazzano, droghe e psicofarmaci vanno via come il pane. È progresso questo? Ieri alla Camera dei Deputati è stato presentato il Rapporto dell’Istat e del Cnel sul cosiddetto Benessere Equo e sostenibile (Bes), ovvero lo strumento attraverso il quale si misura non la mera ricchezza, ma la qualità della vita delle persone, tenendo conto di fattori quali salute, istruzione, ambiente, servizi sociali, lavoro, benessere economico, rapporti sociali, cultura e altro. E cosa è venuto fuori da tale rapporto? Tanto per cominciare che di benessere ce n’è sempre meno. Dal punto di vista economico, quasi sette milioni d’italiani si dichiarano in serie difficoltà economiche; dilaga la precarietà: se nel 2008 il 25,7 per cento dei contratti a termine evolveva in rapporti stabili (e il dato era già bassissimo), nel 2011 si è arrivati al 20,9 per cento; cresce il numero di lavoratori sovra-istruiti rispetto alle attività svolte (21,1 per cento nel 2010). E per quanto riguarda la salute? Dal rapporto si evince che si vive di più di un tempo, ma non si vive meglio. In altre parole la scienza medica non ha fatto altro che allungare di qualche anno la nostra aspettativa di vita, ma senza migliorarne sostanzialmente le condizioni. Più vecchi e malati: ottimo affare direi. Per il resto siamo perlopiù sedentari, tendiamo all’obesità, fumiamo e beviamo abbondantemente. Anche in età giovanile. E per quanto riguarda l’istruzione, meglio stendere un velo pietoso: “Il ritardo rispetto alla media europea e il fortissimo divario territoriale si riscontrano in tutti gli indicatori che rispecchiano l’istruzione”. Fantastico. Ma in fondo che c’importa di questi dettagli? Come dice giustamente Pinker, viviamo nell’era più pacifica della storia della nostra specie. Il che ovviamente è un bene in se, a prescindere. E d’altra parte anche i dati statistici del Bes ci confermano che la microcriminalità è diminuita (sia pur con differenze territoriali e per tipo di reato). Quello che emerge tuttavia è che la percezione di insicurezza che gli italiani provano è in crescita. E non perché, come sostiene Pinker, i giornali ne parlano e la psicosi si diffonde, ma perché “il senso d’insicurezza […] deriva anche dal degrado del contesto in cui si vive”. Ovvero “il migliore dei mondi possibili” è percepito come sempre più insicuro, angosciante e privo di speranze.
Siamo proprio fortunati ad essere nati in questo secolo, non c’è che dire.

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