Per capire fino in fondo ciò che andrete a leggere dovreste fare prima un bel viaggio in treno, uno di quei viaggi da pendolari che, dalla periferia dell’Impero, porta verso le grandi metropoli.
Quando una ventina d’anni fa mi trasferii nella bassa padana, cominciò per me questa meravigliosa esperienza chiamata pendolarismo. Che è tutt’altra cosa rispetto al pendolismo, anche se il primo è spesso causa scatenante del secondo. D’altra parte si sa, lo stress e i sacrifici che comportano questa vita nomade, non aiutano affatto la sfera “affettiva”. A meno che, ipotesi assai remota purtroppo, non avvenga qualche incontro intrigante a bordo. E a quel punto sonno apocalittico o meno, caldo sahariano o freddo siberiano – nelle carrozze eternamente inadeguate al momento meteorologico – , poco conta: il risveglio dei sensi è assicurato. In fondo non c’è niente di più erotico di un incontro casuale d’amorosi sensi su di un treno lanciato nel nulla di un’alba appena accennata. Non per niente treni e stazioni da sempre esercitano un attrazione irresistibile per i picchiatelli. Ed infondo, chi più chi meno, tutti siamo un po’ picchiatelli. Il più delle volte invece, avviene che si salga sulla carrozza che da fuori sembra meno affollata e, tempo trenta secondi netti, ci si accorge di essere accerchiati da una valanga di pettegole ridanciane e vocianti. Anzi, gracchianti. Costoro si conoscono da anni, forse decenni, e ogni mattina – per cinque giorni a settimana – si ritrovano sullo stesso convoglio, sul medesimo vagone, identico scompartimento. E se puta caso un povero sprovveduto inavvertitamente si siede tra costoro, immediatamente gli viene fatto notare che quello è il posto della Piera, e che dunque gentilmente è pregato di andare a posare le sue stanche terga altrove. E così lo sventurato si scusa, si alza e si sistema due file più dietro. Poi tira su il cappuccio della felpa, e cerca di riposare per quell’oretta di interludio, prima che cominci l’inferno quotidiano. Ma il nostro non ha fatto i conti con il gineceo viaggiante. Gli ci vuole davvero un attimo per capire in quale drammatica situazione si è cacciato. Nel vagone cigolante si diffondono subito voci vibranti, risate argentine, urlettini, sbruffi, lamentele, versi gutturali, tutto un portentoso sonoro di sottofondo (anzi, di soprafondo) che non lascia scampo. Il disgraziato cerca di tapparsi le orecchie, finge di non sentire, si gira su un fianco sperando di ricevere attutite quelle voci, ma non c’è niente da fare: storie d’amore, tradimenti, gelosie sul posto di lavoro, invidie, rancore verso la suocera e non solo, entusiasmo ripugnante per le prodezze dei nipotini, pettegolezzi. In questi tragici momenti mattutini le donne sono davvero capaci di raggiungere delle vette strabilianti di insulsaggine. E così il nostro eroe incrocia lo sguardo con un altro disperato come lui, ed entrambi – già sconvolti e sgomenti per l’alzataccia – non riescono a fare altro che sbruffarsi in faccia reciprocamente, in un ultimo angosciante afflato di fraternità. A quel punto la situazione è già spaventosamente intollerabile. E così il nostro si sporge per vedere in faccia le disturbatrici e davanti ai suoi occhi si palesa una scena surreale: le concionanti viaggiatrici hanno tra le mani chi una trousse, chi un ombretto, chi un rossetto, e conversando amabilmente - soprattutto di quei rompicoglioni dei mariti - sono tutte intente a truccarsi, a curarsi, ad abbellirsi, a spazzolarsi i capelli. E chiacchierano, chiacchierano ad alta voce, come se fossero dalla parrucchiera o dall’estetista. Discorsi spesso dissociati gli uni dagli altri, in genere mai più di venti parole, puntualmente interrotti da voci che si sovrappongono, si parlano sopra con tono e volume crescente, s’intromettono con frasi che spezzano la continuità del ragionamento e, che in ultima analisi, suonano come parole vane e solipsistiche, pronunciate solo per se stesse. Di fronte a tale spettacolo, al nostro disperato pendolare, non resta che rassegnarsi: la sua lunga, tragica esperienza di viaggiatore forzato gli dice che se anche dovesse cercare un altro posto, la situazione non migliorerà. E dunque si risiede sconsolato e, con lo sguardo sperso nella campagna lattiginosa che lentamente emerge dall’ombra della notte, non gli resta che pensare ai giorni che lo separano dalla vacanze estive, allorché finalmente potrà allungarsi sul suo bel lettino da mare, cullato dal vento di libeccio e dal profumo di salsedine. Fatta salva naturalmente la presenza della pettegola da spiaggia. Una delle sciagure più spaventose che esistano in natura.
Ma in generale, è la vita di tutti i giorni che ci mette al cospetto di questa tragedia: avete mai provato a fare la fila dal panettiere, o dal macellaio? E perché, dal salumiere? L’altro giorno mi sono messo in coda per comprare un misero etto di bresaola, ma purtroppo davanti a me c’erano un paio di signore sulla cinquantina. Ha attaccato la prima: “Quel crudo sarà mica troppo salato, vero? Mi elenchi tutti i prezzi dei cosciotti sul primo scaffale, che non ho gli occhiali con me”. E poi ha continuato: “Mi tolga il grasso per cortesia”. E ancora: “Me lo tagli un po’ spesso, che devo cucinarlo”. Il salumiere mi guardava cercando un po’ di umana solidarietà. Poi ha attaccato l’altra, questa volta con il cotto: “Mi levi il grasso (ma sto grasso non piace proprio a nessuno… eppure è la parte più buona: ndr), le fette le faccia sottilissime, però ne tagli una un po’ spessa perché ci devo fare l’arrosto di patate”. E non finisce qui, perché poi hanno attaccato con i formaggi e i latticini. A quel punto ero sfiancato e mi sono involato verso gli insaccati confezionati.
E dal tabaccaio? Se c’è il titolare te la sbrighi in due secondi. Se c’è la moglie, sei fregato. Di solito è lì che parla con una cliente, e sebbene tu ti sporgi verso il bancone, ti fai vedere, gesticoli con la banconota in mano, questa niente, fa finta di non vederti: l’uomo invisibile. E quando finalmente la chiacchiera ha termine, vieni squadrato con astio e disprezzo, essendo considerato tu la causa di quella chiusura affrettata. E se per puro caso vi trovate in un negozio di elettrodomestici e vi salta il ghiribizzo di chiedere dove si trovano le cartucce per la stampante? Ecco, evitate assolutamente di mettervi in coda dietro una donna: prima che esaurisca le sue dodicimila domande sulla nuovissima lavapanni Bosch vi sarà venuta la prostata come un pallone da basket. E se siete a spasso con la vostra fidanzata, e per puro caso lei s’incontra con un’amica? È la fine: cominceranno a parlare di loro, degli amici, dei parenti; e poi della dieta, della palestra, del lavoro, dell’ultimo film di George Clooney, dell’ultimo volume delle Sfumature di grigio. E voi lì, ad aspettare che quelle stramaledette chiacchiere finiscano una buona volta.
L’altra sera mi raccontava un collega di quella volta che si trovava in trasferta per lavoro. Era l’otto di marzo di alcuni anni fa. Il poveretto, terminate le sue incombenze, cominciò a cercare un posto in una pizzeria, ma tutte quelle del centro gli risposero che erano al completo. Si spostò verso la periferia e alla fine, una buon’anima gli rispose: “Guardi, è tutto prenotato per via della festa della donna. Però, se si accontenta, posso sistemarla in quell’angolino laggiù…”. Si trattava di un pertugio dove c’era un piccolo tavolino con su alcune pile di piatti. Il mio collega accettò: non aveva alternativa. Dopo qualche minuto arrivò l’orda selvaggia: risate sguainate, commenti ad alta voce, conversazioni al telefonino che tutti potevano udire. Un disastro. Il povero tapino, tra l’altro, cominciò ad essere osservato come un animale raro. Lasciò lì la pizza e scappò via senza salutare.
Si dice, va be’ ma questo fa parte del carattere delle donne, della loro indole. Già, così si è sempre creduto, che fosse cioè un fenomeno legato alla sfera sociale, alla psiche, al comportamento di genere. La scienza tuttavia, non è rimasta con le mani in mano, e oggi siamo a conoscenza del meccanismo che sta alla base della terrificante loquacità femminile. Secondo i ricercatori dell’Università del Maryland, dietro alle chiacchiere delle donne ci sarebbe una proteina, la Foxp2, familiarmente conosciuta come “proteina della lingua”. Questa proteina, più elevata nelle donne, farebbe sì che queste tendano a dire in media 20mila parole in un giorno. Tredicimila parole in più rispetto agli uomini. Tre volte tanto.
I ricercatori ritengono che sia proprio la proteina Foxp2 a essere la responsabile della loquacità, dato che in tutti i casi in cui è stata trovata essere più elevata, si riscontrava un comportamento più ciarliero.
Lo vedete, gira e rigira è sempre una questione di chimica. A questo punto però, sarebbe auspicabile anche l’antidoto contro la Foxp2: basterebbe una bustina sciolta di nascosto nel caffè e tutto sarebbe più silenzioso. Che meraviglia. Signori scienziati, vediamo di darci una mossa per cortesia.
Nessun commento:
Posta un commento