«Hai da fare? Mi accompagni a prendere la bambina?».
«In che senso? Perché dovrei accompagnarti?».
«I genitori sono occupati, ci vuole qualcuno che vada a prendere la bambina. Ma io non ho la patente, come tu ben sai…».
«Ma perché, c’è bisogno dell’automobile per fare trecento metri di strada?».
«Non cominciare con le tue solite storie: per di più oggi piove…».
Questo è il dialogo avvenuto qualche giorno fa tra mia madre e me. La bambina in questione è mia nipote. Fino ad allora la mia conoscenza dell’universo “uscita da scuola” si era limitato alla lettura di qualche feroce intemerata contro le cattive abitudini italiote. Per il resto le uniche esperienze risalivano ad epoche “puniche”, quando ancora ragazzo riconquistavo la libertà, abbandonando le odiate mura scolastiche. E così, quel pomeriggio, ho preso la macchina e con affianco mia madre, mi sono avventurato verso l’asilo (anzi, scuola materna, per la precisione) di via Roma: neanche un minuto di strada ed eravamo arrivati. E la faccenda si è subito messa malissimo. Tutta la via era costipata di automobili, ingorghi a croce uncinata, posteggi volanti e in doppia fila, portiere aperte, mamme che sbraitavano le une contro le altre, vigili che correvano e fischiavano come indiavolati. Una scena da guerra civile. Ho fatto scendere mia madre e le ho detto che l’avrei attesa dall’altra parte della via. E lei subito di rimando: «Si, ma non allontanarti troppo…, mi raccomando». E così, a fatica mi sono divincolato da quell’inferno e ho fatto il giro dell’isolato. Stessa situazione anche qui: vetture in manovra, doppia fila e conseguente restringimento della sede stradale, bimbi in tenera età sguscianti tra musi e culi delle automobili. Un incubo. Alla fine ho trovato un pertugio e mi sono assai prudentemente accostato in attesa. Dopo qualche minuto finalmente madre e nipote mi hanno raggiunto, ed io, spaventato a morte, ho ripreso la via di casa cercando di non arrotare qualche pargolo.
Ecco cosa vuol dire accompagnare o andare a prendere a scuola i bimbi oggi in Italia: un’avventura ai limiti della fantascienza. Ebbene in questi giorni è stato pubblica lo studio dell’Istc (Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione) del Cnr – promosso dal Policy Studies Institute di Londra – , sull’autonomia dei bambini nel tragitto casa-scuola. L’indagine, che ha riguardato quindici Paesi del mondo, ha evidenziato che i bambini italiani sono tra i più penalizzati in fatto di autonomia di spostamento, passando dall’11 per cento nel 2002 al 7 nel 2010. Molto più fortunati sono i loro coetanei inglesi e tedeschi (41 e 40 per cento). In Italia quasi sette bambini su dieci vengono accompagnati tutte le mattine a scuola in macchina dai genitori. Ed ovviamente l’utilizzo dei mezzi pubblici è quasi inesistente (3 per cento).
Quando ero bambino le mamme accompagnavano i figli solo il primo giorno di scuola, quando andava bene, e tutto il resto dell’anno – che piovesse, nevicasse, o ci fosse l’uragano – ogni studente se ne andava per conto proprio. E questo non era vissuto come uno svantaggio dagli interessati, ma anzi significava l’emancipazione dall’età infantile, la conquista della libertà, la possibilità di fare esperienze, di acquisire sicurezza, di intrecciare rapporti con le persone del proprio quartiere. E tutto ciò consentiva all’adolescente di crescere, di maturare un’identità e di inserirsi nel tessuto sociale. All’età di sei anni io, e come me quasi tutti i miei coetanei, non solo andavo a scuola da solo, ma spesso avevo con me anche le chiavi di casa, dato che i genitori erano via per lavoro. E inoltre avevo anche l’incombenza di portare mio fratello all’asilo. Se oggi accadesse un fatto del genere i genitori verrebbero immediatamente denunciati all’autorità per abbandono di minori. Si dice: “Ma un tempo era diverso, non c’erano tutte queste automobili e poi la delinquenza è aumentata”. Già, ma per quanto riguarda la prima obiezione, non sono forse gli stessi genitori la causa dell’aumento del traffico scolare? Non è forse questo assurdo assalto alla scuola a mettere a repentaglio l’incolumità fisica dei bambini? E quanto alla delinquenza, tutte le statistiche concordano nel sostenere che il fenomeno è in costante diminuzione rispetto al passato. Ciò che è cambiato rispetto a venti o trent’anni fa è il nostro livello di benessere. Anzi, di comodità. Come dice un vecchio proverbio: “Il mondo più si raffina, più va in rovina”.
Da decenni ormai le nostre città hanno perso la loro fisionomia originale e si sono trasformate in una realtà a misura di automobile: parcheggi, sopraelevate, semafori sostituiti da rotonde per semplificare la circolazione, cancellazione di spazi verdi. In molte vie urbane sono scomparsi finanche i marciapiedi e spesso compaiono cartelli che vietano il transito ai pedoni. Basta dare un’occhiata a qualche foto del secolo scorso per capire quanto abbiamo perso grazie al tanto decantato progresso. E a farne le spese, sono soprattutto i più piccoli. Oggi i bambini non devono prendere freddo perché sennò si ammalano; non possono portare lo zainetto perché sennò s’ingobbiscono; non possono passeggiare da soli per strada sennò fanno brutti incontri. In altre parole sono costretti a vivere sotto una campana di vetro. E tutto ciò, lungi dal preservarli dai pericoli, ha la conseguenza di creare adolescenti disadattati, asfissiati dai miasmi, stressati dalle angosce dei genitori, e per di più tendenti al sovrappeso o addirittura all’obesità. Splendido. Eppure molti, pur accorgendosi di questi tragici paradossi, rispondono con un’alzata di spalle, o al massimo con un sospiro che sa tanto di “purtroppo è così che deve andare”. Peccato che, appena varcato il confine, si trovino realtà del tutto diverse dalla nostra: in paesi come Germania, Francia o Inghilterra infatti, non è affatto raro incrociare lunghe file di bambini che vanno a scuola a piedi da soli. Tutt’altro: lì è la regola. Ed oltre a ciò ci si accorge che esistono percorsi pedonali illuminati e protetti, che il servizio di trasporto pubblico è straordinariamente efficiente – e spesso gratuito – , che le aree scolastiche sono completamente pedonalizzate e che dunque non esiste traffico privato. Ma a questo punto entriamo nel delicato tema del diverso grado di civiltà raggiunto dai popoli, ed il confronto a tutto campo rischia di trascinarci definitivamente nella depressione più nera.
Secondo le Nazioni Unite entro il 2050, il 70 per cento della popolazione mondiale sarà concentrata nelle grandi aree urbane. La vera sfida è quella di creare città a misura d’uomo, e non giungla selvaggia. In Italia, stando agli ultimi dati dell’Aci, circolano quasi cinquanta milioni di automobili; per ogni cittadino lombardo ci sono ben 1,6 automobili. Non ce lo possiamo più permettere. Sia dal punto di vista ambientale sia da quello economico. Ed infatti l’ultimo rapporto del Censis, presentato ai primi di dicembre, ci dice che lo scorso anno per la prima volta le vendite di biciclette hanno superato quelle delle auto: 1.748.143 vetture immatricolate contro 1.750.000 bici vendute. Inoltre pare che quasi due italiani su tre abbiano cominciato a ridurre gli spostamenti in automobile per risparmiare benzina.
La crisi morde, su questo non c’è dubbio: eppure, come ogni male che si rispetti, alla fine porterà con se qualcosa di buono.
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