Otto marzo, oggi si celebra la festa della donna. Da quando ho l’età della ragione ho sempre considerato tale ricorrenza stupida e banale: mi chiedevo perché allora non dovesse esserci una festa degli uomini, ed anche una dei gay o dei transgender (si scrive così…?), e perché no delle zie e delle suocere!
Da un po’ di tempo a questa parte, però, mi sono convinto che questa festa è giusta e sacrosanta, e non per le ragioni legate al femminismo storico - quello sì è démodé - , bensì perché è bene, in una società come la nostra - in cui non si ride-sorride quasi più - , concedersi un po’ di buonumore. E poi volete mettere la soddisfazione che pervade ogni uomo che regala il mazzolino di mimose ad una donna?
La scena classica è questa: il maschio giunge qualche minuto prima a lavoro e depone sulle scrivanie delle colleghe un mazzetto di fiori gialli - acquistati per un prezzo da taglieggiamento dal fioraio abusivo all’angolo - e resta in trepidante attesa. Per rendere più ilare il momento depone un mazzetto anche sulla scrivania del solito collega maschio da irridere. Dentro di se gongola di piacere prefigurandosi la scena dell’arrivo, è impaziente di vedere la reazione delle colleghe, freme e scalpita.
Poi all’improvviso giunge la prima collega che fa finta di niente, anche se si è accorta del gentile omaggio. Scompare per alcuni minuti verso le toilette, forse si rifà il trucco, forse telefona al fidanzato. Il maschio va in fibrillazione e comincia a provare un certo risentimento: con tutto quello che ha lasciato al truffatore si aspetta almeno un grazie. A seguire entrano in ufficio altre colleghe, tutte distratte e leggermente irritate per il traffico, per la mancanza di posteggi e per la noiosissima giornata che le attende. Dei fiori non si accorgono minimamente. Appendono i palettò all’attaccapanni e si riuniscono nella saletta-caffè a spettegolare sugli ultimi intriganti avvenimenti: a quanto pare la dirigente del marketing ha una relazione clandestina con l’amministratore delegato. A quel punto il maschio rischia un violento attacco di bile.
E così, solo verso la tarda mattinata, le gentili donzelle, sedendosi alle scrivanie, realizzano. Nell’ufficio cominciano ad udirsi mugolii di piacere, risatine soffuse, ringraziamenti vaghi e generici all’indirizzo dello sconosciuto autore del grazioso pensiero: ovviamente il maschio donatore - da gran signore qual egli è - si è astutamente guardato dall’apporre qualsivoglia bigliettino, fiducioso che l’arcano si risolva per incanto a suo favore.
Tutte si chiedono con feroce curiosità chi mai sarà il cavalier cortese, il gentiluomo dal bel gesto romantico. Si rincorrono sguardi, si fanno ipotesi, si lanciano mezze frasi all’indirizzo dei colleghi uomini: tutti sono indiziati tranne il vero autore del dono. E questi si arrovella ormai stremato.
All’improvviso colui al quale è stato regalato per dispetto il mazzolino di mimose, si alza dalla sua scrivania e, attraversando platealmente l’ufficio con i fiori gialli tra le mani, si introduce nell’ufficio riservato della titolare: «Stefania - grida per farsi sentire da tutti - , questi sono per te, auguri».
Baci e abbracci di ringraziamento. Torna alla sua scrivania e riceve baci anche dalle altre colleghe. Il donatore cade folgorato al suolo.
A fine giornata quasi tutte le mimose vengono gettate via nel bidone della spazzatura all’angolo della strada. Di solito il gesto è accompagnato dall’espressione risentita: «Mamma mia, quanto puzzano: mi è venuto il mal di testa».
Ad ogni modo, nonostante tutto questo agghiacciante psico-dramma, è giusto festeggiare: ormai queste sono le uniche rarissime occasioni in cui si può ridare significato al ruolo maschio-femmina, quasi scomparso definitivamente in questi tempi di nefasto appiattimento dei sessi.
P.S. Anche quest’anno il nostro ufficio distribuirà mazzetti di aulenti fiori gialli alle clienti, spendendo una cifra ignobile: una di queste riceverà l’omaggio direttamente nella propria sede distaccata di Pechino. Speriamo solo che da quelle parti le mimose non abbiano un significato diverso da quello che vi attribuiamo noi. Sapete com’è, colà il bianco è il colore del lutto e i pedoni passano col rosso e si fermano col verde.
(Il Cialtrone, 2012)
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