A chi non è mai capitato di aver bisogno disperato di un bagno, chi non si è mai trovato per strada con la necessità impellente di rifugiarsi in una ritirata? Chi non è mai stato colto da un’urgenza improvvisa, soprattutto quando la stagione fredda indebolisce difese immunitarie e vescica? E poi quanti caffè ordinati in tutta fretta e lasciati a raffreddare sul bancone, pur di aver accesso alla toilette del bar; e quante volte, di fronte alla disfatta imminente, ci è stato risposto con noncuranza: “Spiacente, è fuori servizio…”.
Sono drammi che purtroppo si consumano quotidianamente, nell’indifferenza totale, soprattutto ai danni di incontinenti e prostatici cronici. Per non parlare poi dei turisti, soprattutto quelli giapponesi. Nelle affollate città d’arte, ma non solo, li vedi aggirarsi angosciati, saltellanti nervosamente, con le ginocchia strette ad arrestare l’inarrestabile, con delle pressioni ventrali che raggiungono rilevanza tellurica. Giungendo da un paese in cui vi sono servizi igienici ad ogni angolo di strada, si trovano immediatamente in difficoltà e iniziano a temere per la loro stessa esistenza: una pisciata incontrollata infatti, gravida di macchia scura, umidiccio e disonore, porterebbe all’istante ad un gesto sconsiderato.
Senza voler tornare all’antica Roma e al famoso “pecunia non olet”, un tempo nelle città vi erano i vespasiani, strutture a forma di edicola, collocate in luoghi appartati, ben areate e spesso circondate da cespugli di bosso. Fu Luigi Filippo d’Orleans, re di Francia, a far costruire i primi orinatoi dell’era moderna. L’idea era quella di rendere meno maleodorante Parigi, dato che l’usanza era quella di pisciare per strada. In breve tempo ne vennero costruiti a centinaia, e in onore del sagace imperatore romano, vennero chiamati vespasiennes. Col tempo poi l’idea venne esportata in tutta Europa e giunse anche in Italia. Per oltre un secolo questi utili e discreti oggetti d’arredo urbano hanno “arricchito” le nostre piazze e i nostri viali, dispensando tra l’altro anche informazioni sulle infezioni dell’apparato urinario, oltreché l’indirizzo di specialisti nel trattamento di sifilide e gonococco (germe causa di una diffusa malattia venerea). E questo fino a che l’Asl, già a partire dagli anni ’70, ne ha ordinato la chiusura, dato che non rispettavano le norme igieniche e sanitarie. L’ultimo vespasiano di Milano, un elegante modello stile liberty, collocato in piazza Clotilde, venne smantellato trent’anni fa. Da allora si sono susseguiti progetti rutilanti, prototipi di latrine elettroniche funzionanti a moneta, auto-disinfettanti e moderne. Sicuramente più igieniche dei loro preclari predecessori, ma comunque scomode da usare, claustrofobiche e ansiogene. E sì, perché mentre nel classico vespasiano ci si poteva restare quanto si voleva - ed infatti in alcuni casi questi divennero “luoghi d’incontro” tra uomini - , in queste moderne navicelle spaziali dell’escremento, ci sono i minuti contati, trascorsi i quali si spalanca il sipario sulla pubblica piazza. Senza parlare poi del fatto che un tempo l’orinante poteva anche guardarsi attorno nell’atto del mingere, apprezzare un panorama, discutere col vicino. Oggi invece questi parallelepipedi asettici, d’acciaio e plastica dura si chiudono su noi stessi, c’ingabbiano, ci opprimono, e ci lasciano soli con le nostre problematiche. Cosa assai triste, considerato peraltro che la quasi totalità delle ventole a soffitto sono costantemente rotte. Ed inoltre, dato che la pisciata libera è stata bandita dalla nostra società, c’è da non trascurare in fatto che questi aggeggi funzionano a moneta: senza l’obolo niente evacuazione. Inoltre ce ne sono talmente pochi in giro che è più facile scovare il classico ago nel pagliaio. E se pure si ha la ventura di incrociarne uno, ovviamente non riusciremo a trovare la moneta adatta al loro funzionamento. E così corri a cercare qualcuno che ti cambi le banconote, ma più passano i minuti e più puoi dire addio ai sogni di gloria.
A voler essere sinceri, i vecchi vespasiani non erano proprio il massimo, occorre pure dirlo. Erano quasi sempre sporchi, maleodoranti, frequentati da persone poco raccomandabili. In un film degli anni ’60 Totò e Nino Taranto, due truffatori professionisti, si spacciano per tecnici del Comune e se ne vanno in giro per la città con un vespasiano ambulante sul furgoncino. Quando adocchiano un ristorante di lusso, di quelli con i tavolini all’aperto, si fermano e scaricano il grazioso sanitario. E al proprietario, che preoccupato chiede spiegazioni e soprattutto insiste perché l’oggetto ingombrante venga posizionato un po’ più in là, fanno intendere che una congrua offerta per gli orfanelli del Santuario del Divino Amore, potrebbe muovere a compassione il dirigente dell’ufficio. E così ben vengano nuove proposte, e nuove soluzioni più decorose e meno invasive. Negli ultimi tempi le amministrazioni pubbliche locali pare che abbiano manifestato interesse verso la soluzione di questa grave piaga sociale. A Milano, sul finire degli anni ’80 vennero realizzate una settantina di toilette autopulenti a gettone, ma ad oggi ne rimangono circa la metà funzionanti. E tra l’altro, incredibile a dirsi, la cooperativa che ne aveva in carico la gestione è fallita. Se c’è un business sicuro è proprio quello escrementizio: di gente che scarica in fogna ce n’è e ce ne sarà sempre. Vi sono poi circa quattrocento bagni chimici, le famigerate cabine mobili di plastica dura. Dislocate nei parchi cittadini, presso i mercati e i capolinea dell’Atm, anche queste non godono di particolare apprezzamento. A Roma invece è stato lanciato da poco il bando europeo per la realizzazione di dodici bagni pubblici integrati, che verranno collocati in centro: «Arriva così a compimento un progetto su cui l’Amministrazione si è impegnata per garantire un servizio essenziale - dice il delegato del sindaco al Turismo Antonio Gazzellone - ; i servizi igienici, infatti, rappresentano una fondamentale opera pubblica, un grande segno di civiltà e di attenzione nei confronti dei turisti, ed è ciò che loro si aspettano». Finalmente delle parole di verità, verrebbe da dire. Anche se un bando europeo per fare delle latrine ci sembra eccessivo. Che poi non sarebbero delle latrine, ma una sorta di centri diurni di altissimo livello, con tanto di latrinaio fisso e vigilanza – meglio armata – per scongiurare gli ormai frequentissimi atti vandalici. Vedremo come andrà a finire.
Ma gira e rigira, siamo sempre al punto di partenza: non per nulla gli inglesi hanno inciso su alcune loro monete il motto “sitting on the shoulders of giants”. A quanto pare il Comune di Milano starebbe pensando ad un clamoroso ritorno al passato, vale a dire a reintrodurre il vespasiano l’estate prossima: prima sperimentazione alle Colonne di San Lorenzo, luogo affollato dalla movida notturna. Di fronte al flop degli attuali bagni chimici, questa è la promessa lanciata ad ottobre dall’Assessore alla Sicurezza Granelli. Se così fosse si tratterebbe effettivamente di un revival, una riedizione dell’antico, dell’usato sicuro e garantito. Come a dire che le cose del passato, gira e rigira sono sempre le migliori. Come i ponti romani, per esempio: da millenni imperturbabili alle piene più violente dei fiumi, mentre basta spesso una pioggia più insistente per buttare giù quelli moderni e avveniristici.
Oltre tutto sembra che in alcune città europee, tra le quali le civilissime Londra e Amsterdam, i vespasiani godono tutt’ora di ottima salute.
E dunque a questo punto non ci resta che brindare al ritorno del nostro caro vecchio amico, e “chi non piscia in compagnia, peste lo colga”.
"Qualcuno a Bologna c'è ancora, ma sono in via d'estinzione" (Gilberto).
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