Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

giovedì 13 dicembre 2012

Sei troppo pignolo..., pensa alla salute.

Giovanni: «Scusa, puoi togliere i piedi dal cruscotto, che lo sporchi?».
Aldo: «Mihi…, come sei pignolo!».
Giovanni: «Io sono pignolo?».
Giacomo: «Beh, un po’ pignolo lo sei!».
Giovanni: «Cioè, questo qua mi cammina sul cruscotto e io sarei pignolo?».
Giacomo: «Ho capito, ma devi anche saperle accettare le critiche, sennò…».
Giovanni: «Va be’, allora, visto che sono pignolo, puoi spostare la gambetta, sennò non entrano le marce?».
Aldo: «Lo vedi che sei veramente pignolo?».
Giovanni: «Allora facciamo tutto il viaggio in prima sennò io sarei pignolo! Comunque mettiti le cinture, che se facciamo un incidente e sbatti l’assicurazione non paga».
Aldo: «Ma a che serve? Stiamo andando a 30 all’ora!».
(Giovanni frena di scatto e Aldo sbatte la testa sul cruscotto).
Giovanni: «Visto?».
Giacomo: «Ma allora sei bastardo!».
Giovanni: «E pignolo!».
Si tratta di un dialogo contenuto nel film “Tre uomini e una gamba” di Aldo, Giovanni e Giacomo, girato nel 1997. Tre amici, dipendenti di una ferramenta, intraprendono un lungo viaggio per recarsi da Milano a Gallipoli, dove si celebrerà il matrimonio di Giacomo con la figlia del cavalier Cecconi, proprietario del negozio dove i tre lavorano. Aldo è un meridionale trapiantato al nord (“che botta che gu pres…”), apatico, strafottente, superficiale e in perenne ritardo; Giacomo invece è l’intellettuale del gruppo, colto, profondo, ma anche logorroico allo stremo; Giovanni invece è il pignolo, maniaco della precisione. I tre, proprio a causa delle loro differenze caratteriali inscenano delle gag esilaranti, rinfacciandosi l’un l’altro i rispettivi difetti. Ma mentre Aldo e Giacomo pur nelle difficoltà, se la spassano, sghignazzano (Giacomo oltretutto, trova anche il vero amore della sua vita), Giovanni appare sempre turbato, agitato e costantemente di cattivo umore. Tanto che i primi due, non sopportando la sua pignoleria, in più di un’occasione fanno causa comune contro di lui: “E ma allora sei proprio bastardo…”.
Ora una ricerca dell’Università di Toronto ha dimostrato che tutti coloro che nella vita hanno come “stella polare” il perfezionismo, alla lunga vanno in contro a danni non solo dal punto di vista relazionale, ma anche riguardo alla propria salute. Tra i vari problemi cui i pignoli andrebbero incontro vi sarebbero affaticamento fisico, disturbi alimentari, rabbia, stress elevato, ansia, depressione, dolori vari e generalizzati. I ricercatori sostengono che alla base del perfezionismo patologico vi sarebbe un grosso equivoco di fondo: il pignolo in sostanza tenderebbe a confondere e sovrapporre il “professionalizzare” con il “personalizzare”, soprattutto in ambito lavorativo. In altre parole un lavoro è ben fatto se viene eseguito secondo i suoi parametri, come dice lui: qualunque altra soluzione è errata. Ma tutto ciò, va da sé, oltre ad essere sbagliato dal punto di vista relazionale, può anche condurre verso risultati tutt’altro che perfetti. Un dato lavoro potrebbe essere eseguito in diverse maniere, e non è detto che quella decisa dal pignolo sia per forza la migliore, né la più precisa: “C’è differenza tra un lavoro professionalmente eccellente e un lavoro personalmente ritenuto eccellente” – commentano i ricercatori. Senza considerare che la perfezione è forse la merce più rara da trovare sulla faccia della Terra. Ed oltretutto sebbene auspicabile, non sempre è conveniente. Tra le conclusioni a cui giungono i ricercatori, c’è un concetto d’indubbia rilevanza: “Dovremmo imparare a porci degli obiettivi più realistici, e infine, sani. Sani perché spesso pur di raggiungere un determinato scopo si chiede troppo anche a noi stessi, e così la competizione diviene malsana”. Quante volte un lavoro complicato, un progetto lungo e delicato ci hanno fatto perdere il sonno e la tranquillità? Quante volte ci siamo arrabbiati con noi stessi per non essere stati in grado di fare di più e meglio? Mio nonno diceva sempre: “Se sei obbligato a fare qualcosa, è meglio che tu la faccia bene piuttosto che male”. Lampante, lapalissiano. Ma da qui a caricarsi di stress, vivere male, e soffrirne addirittura fisicamente ce ne passa. Occorre in altre parole raggiungere un adeguato compromesso tra sforzo e obiettivo, definire ciò per cui vale davvero la pena di impegnarsi allo stremo. Partendo dunque dall’assunto che la perfezione non esiste, bisogna dare una scala di valore ad ogni nostro comportamento. Ogni azione, lavoro o prestazione deve dunque essere eseguita puntando non alla perfezione, ma alla migliore realizzazione possibile.
Qualche tempo fa un mio amico, per arrotondare il suo magro stipendio, si aggregò alla squadra di imbianchini di un suo conoscente. Si recarono presso un appartamento del centro di Modena e cominciarono a tinteggiare le pareti. Nonostante gli imbianchini fossero tutti ottimi professionisti, solerti e coscienziosi, la signora che aveva commissionato l’incarico continuava a dimostrare verso di loro grande sfiducia ed irrequietezza. Mai che distogliesse un attimo lo sguardo dal rullo, mai che si assentasse un istante dal luogo di lavoro: “Vediamo di dare una pennellata in più nell’angolo, per favore…; cerchiamo di non sbavare quel bordo lassù per cortesia…; e tutte queste macchioline per terra? Non è che poi me le lasciate qua e ve ne andate, vero? No perché io pago, e i miei soldi sono tutti buoni”. Fatto sta che fino all’ultimo istante di permanenza in quell’appartamento i lavoratori vennero martirizzati senza un briciolo d’umanità e, nonostante il buon lavoro svolto, la signora rimase alquanto delusa e insoddisfatta. Ora può darsi che la signora fosse prevenuta, perché magari aveva avuto esperienze poco piacevoli in precedenza, forse aveva incontrato sulla propria strada degli artigiani incompetenti o peggio dei farabutti. Questo può sicuramente essere. Ma se anche così fosse saremmo comunque di fronte alla classica persona pignola e un po’ rompicoglioni. E sì perché - al di là del fatto che un lavoro va eventualmente criticato al termine - non è detto che siccome pago, debba pretendere un lavoro assolutamente perfetto e al di là di ogni possibile tipo di critica. Lo stesso codice civile, in materia di prestazione d’opera, parla di esecuzione dei lavori “secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte” (2224 c.c.). Da nessuna parte si trova scritto che “il lavoro deve essere perfetto ed immune da ogni critica”. Sarebbe impossibile e dunque fuori da ogni logica.
Questo non toglie che la sciatteria sia parimenti da riprovare. Quando andai ad abitare con amici in una vecchia casa di Sesto San Giovanni ci ingegnammo al meglio per renderla confortevole ed accogliente. E per prima cosa rinfrescammo le pareti con una bella mano di tempera: stanza per stanza. Eravamo molto orgogliosi del nostro lavoro, ma una sera, nell’attesa di cenare, ci accorgemmo che le pareti della cucina si gonfiavano misteriosamente. All’inizio tememmo che si trattasse di un cedimento strutturale, o di un terremoto improvviso. Ma i lampadari non ondeggiavano, nessun allarme per strada. Non si trattava di quello. E così, incuriositi da quell’enigmatico fenomeno, ci accorgemmo che al di sotto della tinteggiatura, e dello stucco, c’erano delle mattonelle. Il precedente inquilino, stufo forse del colore di quelle maioliche, aveva pensato bene non di cambiarle, ma di applicarvi della carta da parete. Poi, evidentemente non soddisfatto del risultato, aveva deciso di stuccare il tutto. E così, con l’umidità della cucina, le pareti avevano cominciato a gonfiarsi, a respirare come un animale addormentato.
Ce ne volle d’impegno per ridare a quell’ambiente un minimo di vivibilità. E nonostante tutta la nostra abnegazione, dovemmo accontentarci del risultato.
Avevamo capito che nonostante tutto non saremmo mai riusciti ad ottenere la perfezione assoluta. Avevamo imparato ad accettare i nostri limiti e quelli degli altri. Fu una buona lezione, e ne guadagnammo in salute.

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