Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

mercoledì 30 ottobre 2013

La guerra dei mondi e la forza dei media

Il 30 ottobre del 1938, ovvero 75 anni fa, negli Stati Uniti d’America si svolge uno degli eventi mediatici più straordinari dell’era moderna. Orson Welles, attore, regista e sceneggiatore cinematografico, trasmette dalla CBS Mercury Theatre on the Air, un programma in cui vengono proposte settimanalmente letture di romanzi celebri. In questa circostanza, la scelta cade su La Guerra dei Mondi di Herbert George Wells, pubblicato nel 1897. L’idea geniale è quella di inserire, nel corso della serata musicale, una serie di comunicati “dal vivo” del tutto simili a quelli trasmessi nei notiziari radiofonici. L’effetto immediato - nonostante sia all’inizio, sia alla fine della trasmissione, venga ripetuto a più riprese che si tratta di una finzione radiofonica - è il panico generalizzato della popolazione. I finti comunicati sono talmente realistici e allarmanti che gli ascoltatori sono davvero indotti a credere che sia in atto una cruenta invasione aliena. Ad intervalli sempre più ravvicinati, la trasmissione viene interrotta dai comunicati che giungono dai finti inviati sul luogo dell’evento, racconti brevi, essenziali, che descrivono l’arrivo sulla Terra di misteriosi meteoriti, dai quali escono strani esseri: «Signore e signori, è la cosa più terribile alla quale abbia mai assistito…! Aspettate un momento! Qualcuno sta cercando di affacciarsi alla sommità… Qualcuno… o qualcosa. Nell’oscurità vedo scintillare due dischi luminosi… sono occhi? Potrebbe essere un volto. Potrebbe essere…». E a seguire, nel confuso sottofondo, un urlo agghiacciante della folla. La trasmissione prosegue e, sempre più incalzanti, i comunicati narrano dell’arrivo di altri oggetti sconosciuti, di altri alieni atterrati nel New Jersey: l’inviato parla di una vera e propria invasione proveniente da Marte. Nel corso della serata, si descrive poi una tremenda battaglia combattuta tra uomini e marziani, “una delle più strabilianti disfatte subite da un esercito nei tempi moderni”. A quel punto il panico regna sovrano in ogni casa in cui c’è una radio accesa: la gente corre per le strade per cercare conferme, per trovare solidarietà e conforto nelle braccia dei vicini; le chiese si riempiono di fedeli dell’ultima ora; i centralini delle stazioni di polizia e le redazioni dei giornali vengono bombardate di telefonate. L’intera America è in preda dall’angoscia più nera. E a nulla vale il lieto epilogo del racconto, ovvero la sconfitta degli alieni: l’evento mediatico è ormai esploso in tutta la sua devastante potenza.
Ci vollero giorni e giorni di smentite radiofoniche ufficiali e comunicati delle autorità competenti per tornare alla normalità. Eppure molti furono coloro che continuarono a credere alla notizia dell’invasione aliena. Tale fu la portata di questo portentoso “a lupo a lupo” che, quando tre anni dopo, il 7 dicembre del 1941, i giapponesi attaccarono la flotta americana a Pearl Harbor, molti non credettero ai notiziari. Dall’altra parte invece, nelle file di coloro che dubitano delle versioni ufficiali, ci sono ancora coloro che credono fermamente alle prove “schiaccianti” sull’esistenza degli alieni racchiuse nella misteriosa Area 51.
Il punto ovviamente non è l’esistenza o meno di altre forme di vita a parte noi: certo se ragionassimo per probabilità statistiche, e stante l’immensità dell’Universo (miliardi e miliardi di galassie…) sarebbe davvero arduo sostenere che non ci sia nulla là fuori. In ogni caso per noi sarebbe un bel vantaggio se fossimo soli: e parlo di pura convenienza. La compianta Margherita Hack sosteneva che qualora davvero non fossimo soli nell’Universo, ci converrebbe non avere mai nulla a che fare con questi ipotetici alieni: le distanze infatti sono talmente siderali nello spazio, che una civiltà che fosse in grado di raggiungerci sarebbe talmente progredita rispetto a noi che potremmo solo correre dei rischi da questo incontro. D’altra parte gli incontri di civiltà, c’insegna la storia, non sono mai semplici scambi di cordialità, ma si risolvono in grandi tragedie. Soprattutto quando una delle due (com’è avvenuto tra europei e pellerossa) è sensibilmente più progredita dell’altra. Certo l’idea che un giorno qualcuno possa venirci a trovare è incredibilmente fascinosa. Una sera d’estate di qualche anno fa, mi sedetti in veranda a respirare l’aria della notte. All’improvviso, come in un sogno, cominciai a vedere delle strane luci nel cielo buio. Rimasi senza parole e un brivido nella schiena risalì violento, recapitando un messaggio alla mente: “Sono arrivati”. Ero al colmo dell’euforia: forse ero il primo essere umano che avvistava gli alieni. Corsi in casa a prendere il binocolo. Quando tornai le luci erano diventate tantissime: si muovevano molto lentamente nell’oscurità, ed avevano una traiettoria ascensionale. Quando puntai le lenti su di loro, la delusione fu violenta: si trattava semplicemente di lampade cinesi. Oggetti volanti che fino ad allora non avevo mai visto. Certo l’arrivo degli alieni oggi da noi, sarebbe davvero una notizia sensazionale: in un baleno verrebbero spazzate via tutte le mortifere e infinite discussioni su decadenze di parlamentari condannati, leggi finanziarie, leggi elettorali e quant’altro. Le prime pagine sarebbero invase di reportage, commenti, analisi: una nuova era per l’umanità. Giorni e giorni di clamore e battage mediatico. Fino a esaurimento spontaneo del cosiddetto ciclo vitale della notizia: ci possiamo giurare. Nel 1954 Ennio Flaiano scrisse un racconto dal titolo Un marziano a Roma. Vi si narra dell’arrivo di una navicella aliena con a bordo un viaggiatore dello spazio. C’è un clamore straordinario intorno a questo evento, e il marziano viene accolto con tutti gli onori dalle autorità e dalle folle capitoline. Sono giorni e giorni di euforia e festeggiamenti. Col passare del tempo, tuttavia, l’attenzione sul marziano si smorza, si spengono i riflettori, ed anche quel prodigio piovuto sulla Terra da mondi lontani, diventa uno dei tanti personaggi insignificanti destinati all’ombra e all’indifferenza. Ed anzi, alla derisione. Ecco come termina il racconto:
La noia della notte, la paura del letto, l’orrore di una stanza nemica che respinge lo tenevano ora inchiodato davanti ad una vetrina di giocattoli, ora davanti ad una vetrina di fiori. Sembra che su Marte non crescano fiori così belli come da noi… Ha deciso infine di attraversare la strada e, a questo punto, nel grigio silenzio, qualcuno ha gridato forte: “A marziano…!”. Il marziano si è subito voltato, ma ancora una volta il silenzio è stato rotto e stavolta da un suono lungo, straziante, plebeo. Il marziano è rimasto fermo e scrutava nel buio. Ma non c’era nessuno o, meglio, non si vedeva nessuno. Si è mosso per riprendere la sua passeggiata; un suono ancora più forte, multiplo, fragoroso, lo ha inchiodato sull’asfalto: la notte sembrava squarciata da un concerto di diavoli. “Mascalzoni!” ha gridato il marziano. Gli ha risposto una salve di suoni, prolungata, scoppiettante come un atroce fuoco d’artificio, che si è poi spenta in una corona di abili fiorettature solo quando il marziano ha potuto confondersi nella piccola folla che stazionava davanti al Caffè Strega. Abbiamo potuto dedurre che i giovinastri erano in folto gruppo, nascosti dietro l’edicola di giornali di via Boncompagni. Più tardi, tornando a casa ho visto Kunt (il marziano: ndr) che si dirigeva, solo, a lunghi passi morbidi, verso Villa Borghese. Sopra le chiome dei pini brillava il rosso puntino di Marte, quasi solitario nel cielo. Kunt si è fermato a guardarlo. Si parla infatti di una sua prossima partenza, sempre se riuscirà a riavere l’aeronave, che gli albergatori hanno fatto, si dice, pignorare.

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