Esiste piacere più grande di quello di concedersi una bella dormita quando si ha sonno? Esiste uno stato di grazia più rilassante, più elevato, più sublime del dolce dormire, soprattutto quando la notte ti recapita sogni che lasciano addosso sensazioni di pace e serenità, quand’anche privi di trame e contorni certi?
“Qual è colui che sognando vede - che dopo ’l sogno la passione impressa - rimane, e l’altro a la mente non riede” dice Dante nell’ultimo del Paradiso.
Non per nulla secondo uno studio della University of British Columbia (Canada), concedersi ogni giorno un pisolino dopo pranzo moltiplica le chance di arrivare ai capelli bianchi.
Certo deve pur trattarsi di un riposo piacevole, s’intende, altrimenti, bene che vada, avremo a che fare con un incubo.
“Ho scalato alte montagne e ho camminato in luoghi lontani, diversissimi tra loro. L’unica sicurezza in ogni dove? La presenza del russatore folle in camerata. Il russatore arreda”.
Così scrivevo qualche tempo fa, tornato da un lungo trekking sulle Alpi. Per diversi giorni avevo condiviso notti in rifugio con una specie di leone incazzato, un virtuoso assoluto del “russamento”, capace di tenere svegli non solo tutti i compagni di camerata, ma anche tutti gli animali selvatici della zona, compresi ghiri, tassi e orsi bruni del Trentino in avanzato letargo. Si trattava di un viaggio itinerante da rifugio a rifugio, con tappe impegnative, fatte di saliscendi giornalieri che superavano abbondantemente i 1.500 metri in salita e in discesa. Un tour bellissimo e massacrante. Nulla di trascendentale tuttavia, a patto di poter contare su almeno otto ore di sonno ristoratore. Quella volta però non c’era scampo. È chiaro che in camerate da otto, dieci o trentadue letti si trova sempre qualcuno che ha il respiro pesante, qualcuno che ronfa e che emette altri tipi di rumori corporei poco piacevoli, questo è scontato. Ma in generale basta qualche verso, qualche richiamo per animali (meglio se quello tipico della bertuccia di Gibilterra o del macaco di Giava) per ottenere un po’ di silenzio. Pochi attimi di quiete, istanti incantati di silenzio religioso che, in situazioni normali, sono sufficiente ha farti prendere sonno.
In quella circostanza però, quel triste figuro non solo russava in maniera devastante, ma era altresì insensibile a qualsiasi richiamo della foresta. Forse perché oltretutto era un tantino sordo. A turno qualcuno si alzava e andava a prendere a calci la sua branda, a scuoterlo, a girarlo su un fianco. Niente di niente: trascorsi un minuto e dieci secondi netti, la segheria riprendeva la sua attività. Ancor più violenta. Una tortura indicibile.
Ricordo che in quelle lunghe ore di buio e angoscia, ho covato per la prima volta nella mia vita insani propositi d’omicidio.
Che poi non sono mai riuscito a capire perché i russatori si addormentino sempre prima dei non russatori. C’è qualcosa di scientifico in tale rottura di palle. Bisognerebbe che qualcuno, invece di correre dietro all’inafferrabile bosone di Higgs, cominciasse a indagare su questo mistero.
Certo non riuscire a dormire quando si è preda del sonno è una delle torture più crudeli che ci siano in natura. Non per nulla nelle prigioni di Guantanamo e Abu Ghraib, i detenuti sospettati di terrorismo islamico sono stati sistematicamente sottoposti alla privazione del sonno come metodo per indurre alla confessione. Gli esperti di cose militari chiamano “tortura dolce” tale trattamento. Che gentili.
Tra gli effetti immediati di tale privazione vi sarebbe il deterioramento immediato delle condizioni fisiche e il disorientamento cognitivo. Ecco perché, per esempio, quella mattina appena alzato in rifugio continuavo a chiedermi: «Chi sono, da dove vengo…?». E il mio caro amico Lorenzo: «Da Foggia…».
Ad ogni modo non tutti reagiscono alla stessa maniera di fronte a un russatore. Mentre per qualcuno è una delle sciagure più raccapriccianti, per altri è una bazzecola di poco conto. Per me, ad esempio, abituato al silenzio più totale, la presenza di qualsiasi rumore in camera è garanzia assoluta d’insonnia. Quando faccio le notti in Croce Rossa, è rarissimo che riesca a dormire. All’inizio davo la colpa all’apprensione della campana, alla possibilità che all’improvviso, dal tepore del letto, ci si trovasse immersi in uno scenario da incubo, tipo un incidente stradale o altro. Col tempo invece, mi sono reso conto che si tratta semplicemente del solito, maledetto “sonno leggero”, come si dice volgarmente.
Altri colleghi invece, appena mettono la testa sul cuscino, s’assopiscono di schianto: neanche il tempo di spegnere la luce o dire “buona notte” che già ronfano. Ed ogni volta sento montare dentro di me un’invidia potenzialmente clamorosa.
Ora da un sondaggio condotto recentemente in Australia risulterebbe che i disturbi del sonno causerebbero attrito nelle coppie che dormono insieme, mettendone a rischio le relazioni. Ancor più delle flatulenze sotto le lenzuola, pare. Oltre l’80% di chi russa o soffre di apnee nel sonno ammette che il problema ha conseguenze, anche importanti, sul rapporto di coppia. Il 20% degli intervistati dal Melbourne Sleep Disorders Centre inoltre dichiara di dormire in camere separate.
Conosco situazioni analoghe anche tra amici e conoscenti. Una volta un tizio mi raccontò di quando, esasperato, si alzò dal letto matrimoniale, e andò a sistemarsi sul divano del soggiorno. E non trovando pace neanche lì, sfogò la sua rabbia lanciando una scarpa nel muro. L’altro giorno ero a cena da loro: ancora c’è l’impronta.
Ci sono poi vecchie coppie – già seriamente provate dalla fastidiosa insonnia senile – che molto razionalmente, decidono di dormire in camere separate, perché “così almeno non ci diamo fastidio reciprocamente”. Quando si arriva a tale conclusione viene da chiedersi cosa mai rimanga del rapporto di coppia. Ben poco, forse.
Alcuni anni fa feci incontrare due cari amici, Silvia e Daniele. Col tempo si conobbero e si piacquero reciprocamente, tanto da mettere su famiglia. I primi tempi quando parlavo con Silvia, tra le tante cose belle del loro rapporto, mi raccontava anche di quanto russasse Daniele e di quanta fatica lei facesse ad addormentasi. Conoscevo bene Daniele, e sapevo di cosa parlasse. Purtroppo.
Qualche mese dopo, seduti in un locale del centro, tornai sull’argomento con la mia amica. «Allora Silvietta, che mi racconti, ronfa ancora il Dani?».
E lei: «Mizzega se russa. Come un trattore…! Però alla fine devo dirti la verità: mi sono abituata. E anzi, ti dirò di più: quando vado a letto da sola e quindi non lo sento russare…, beh ti sembrerà strano…, ma non riesco ad addormentarmi».
Non ho mai udito dichiarazione d’amore più poetica di questa.
D’altra parte si sa, è dalla notte dei tempi che l’amore è cieco. Da oggi però, e a buona ragione, possiamo aggiungere che è anche sordo.
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