Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 26 ottobre 2012

La solitudine accorcia la vita

Un tempo una reclame sosteneva che una telefonata allunga la vita. E probabilmente, al di là della speculazione pubblicitaria di specie, il concetto di base non era del tutto sbagliato. Stando infatti ad uno studio congiunto delle Università dello Utah e della Carolina del Nord, pare proprio che le relazioni umane siano alla base della longevità e del buon vivere. “Gli amici e le persone di supporto possono rendere la vita più facile ogni giorno - sostiene Burt Uchino, coordinatore dello studio - , possono incoraggiare anche le pratiche per avere una migliore salute, come consultare un medico o fare più esercizio. Possono anche aiutare indirettamente, facendoci credere che si ha qualcosa per cui vivere. Avere relazioni sicure e sentirsi amati fa vivere meglio le persone”. I ricercatori, basandosi su 148 studi effettuati in un arco temporale di trent’anni, e che hanno preso in esame più di 300 mila persone, ritengono che una corretta vita relazionale implichi un’aspettativa di vita di 3,7 anni in più rispetto a chi vive una vita solitaria.
Le persone sole, stando a questo studio, avrebbero un tasso di mortalità paragonabile a quello degli alcolisti; mentre allacciare nuove relazioni apporterebbe gli stessi benefici di smettere di fumare. In effetti, basta pensare a quegli uomini anziani che rimangono vedovi dopo una vita passata con la moglie: nella quasi totalità dei casi la loro condizione di vita precipita repentinamente, fino a che non sopraggiunge la morte. Cosa che però non è speculare a parti invertite. In generale, alla morte del marito, la vedova quasi all’istante rifiorisce. Affrancata finalmente da cotanto “rompicoglioni”, ella ricomincia a vivere, a frequentare amiche e amici, pranza e cena all’ora che più l’aggrada, dorme serenamente senza doversi più sorbire ronfate e flatulenze selvagge del defunto. In generale la dipartita del congiunto per la donna è quasi sempre una grande liberazione. Per l’uomo invece, come detto, la faccenda è alquanto più complicata. Tempo fa un mio lontano parente rimase vedovo. La vita coniugale, durata oltre trent’anni, non era stata per niente facile, tutt’altro, ma dopo tutto quel tempo in cui l’esistenza era stata duale, ritrovarsi solo l’aveva messo estremamente a disagio. Tanto e tale era lo sgomento di dover fare conto soltanto su se stesso, che per lungo tempo il pover’uomo rimase come paralizzato. Se entrava in un supermercato girava senza meta e usciva a mani vuote; si vestiva di tutto punto, ma appena in strada non sapeva dove andare; telefonare a qualcuno? Si, ma a chi. I figli? No, i figli hanno la loro vita a cui pensare. E così, giorno dopo giorno, la solitudine lo consumava. Un giorno un’amica della moglie - anch’ella vedova - , impietosita fino alle lacrime per la sorte di quell’uomo disperato, gli fece visita, portandogli un graditissimo regalo: una seppia imbottita, cucinata al forno con tutti gli odori mediterranei. Manicaretto per il quale egli andava letteralmente pazzo. Terminata la visita, mani nelle mani, la donna gli parlò accoratamente: “Gennaro, amico mio…, tu non puoi stare solo…, tu fai la moruta…!”. Volendo intendere che sarebbe morto molto presto se fosse rimasto solo. Gennaro rifletté a lungo su quella frase ed alla fine trasse la sua conclusione: “Le proporrò di sposarmi”. Ovviamente non aveva capito nulla. L’interesse di quella donna era puramente umanitario. E così costei rifiutò cortesemente. Gennaro però non si dette per vinto e cercò nuovi orizzonti. In fin dei conti si trattava pur sempre di sopravvivenza. Quell’estate una famiglia numerosissima di tedeschi di origine italiana prese in affitto una casa accanto alla sua. Egli viveva da tempo in una località balneare. E così prese a scrutare attentamente quella composita famigliola. C’erano giovani donne, uomini, bambini, qualche anziano (ma non troppo). E dunque subito cominciò a fare le associazioni: “Allora, quel bifolco sta con quella ragazza…; quell’altra dev’essere la moglie di quel personaggio insulso…; quello con la testa grossa è il padre della bimba bionda; la rossa… E la rossa, con chi diavolo se l’intende?”. Ecco il trampolino. E così Gennaro, iniziò a dimostrarsi estremamente cortese e disponibile con i forestieri. Il suo intento era entrare nelle grazie del gruppo per poi puntare dritto all’obiettivo. Se non altro per capire se c’era materia sulla quale lavorare. Se al burbero serviva un cacciavite glielo prestava senza che questi glielo chiedesse; se alla giovane mancava del latte per il pargolo, pronti un bel litrozzo alla bisogna. Fatto sta che nel giro di pochi giorni il buon Gennaro venne accolto come uno di famiglia. Col tempo, e per farla breve, il nostro eroe entrò nelle grazie della “rossa”, separata da tempo dal marito e matrona della famiglia. A quel punto lasciò tutto e tutti, senza alcun rimpianto, e si trasferì a Dusseldorf. Qui trovò un ambiente straordinariamente pieno d’affetto e amore, e rifiorì completamente. Nonostante il clima decisamente meno accogliente rispetto alla sua riviera. Oggi Gennaro è un uomo se non felice, almeno contento. Perché in fondo ora c’è qualcuno che fa testimonianza della sua esistenza. E la vita, nonostante tutto, ancora gli sembra degna di essere vissuta. «Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico» (Ermanno Olmi).

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