- Ma te lo ricordi l’ultimo giorno di scuola al liceo, eh Vi? Già da due o tre giorni prima praticamente non si portava più lo zaino (dire cartella è francamente troppo “antico”). Si passava più tempo in giro che non in classe e anche i professori non avevano più voglia di far lezione. C’erano le ultimissime interrogazioni per far recuperare le insufficienze. Ricordo che la professoressa (supplente) di matematica e fisica mi rincorse per un paio di settimane perché doveva “risentirmi” e in una maniera o nell’altra riuscii sempre a evitarla. Ogni tanto, sogno ancora di quell’episodio, come se non avessi chiuso i conti con il passato. Non sono più tanto sicuro però che si tratti di incubi. E poi l’ultimo giorno…, faceva caldo e a scuola si andava in bicicletta. Persino il ponte bianco della superstrada, quello pedonale, appariva meno tetro. Nell’aria c’era profumo di primavera, erba tagliata e libertà. Si entrava in classe solo per riunirsi con gli altri compagni prossimi all’evasione. C’era un’euforia incontrollabile. E poi, dopo una farsa di lezione, si prendeva la via del bar e delle palestre, dove si giocava a basket, palla-volo e calcetto. Qualcuno improvvisava sfide di calcio contro gli altri istituti nel campo dietro la scuola. C’era anche chi portava stereo portatili, pesantissimi. Non se ne vedono più in giro di esemplari così oscenamente ingombranti. Io di solito giocavo a basket con Marco C., Christian, Andrea G., Zitoli, Boselli ed altri. Nella testa di tutti c’era un solo pensiero: è finita. Era il nostro personalissimo “Sabato del villaggio”, l’attesa che porta gioia perché gravida di speranze e aspettative. Ognuno di noi, assaporando quell’anticipo di felicità, sperava di fermare il tempo, sognava di rendere eterno quell’attimo di gioia sospesa. Ed a fine giornata, salutandosi e dandosi l’appuntamento a settembre, c’era sempre un po’ di malinconia. Perché in fondo sapevamo che insieme all’abbandono della costrizione, lasciavamo anche i nostri amici, i nostri amori, i nostri compagni di scuola e di vita.
Uno di questi giorni dobbiamo fare un incantesimo: ci diamo appuntamento alle otto all’incrocio via Bellini - via Boccaccio, proprio come facevamo anni e anni fa, e facendo finta di nulla, come se ci fossimo lasciati il giorno prima, ce ne andiamo in bici al Parco Nord. Io magari ti parlo del compito in classe di latino che mi attende (nessun problema: ieri, in combutta con la bidella, quella piccola con i capelli corti neri… - come si chiama??? me ne scorso sempre - ho fatto la fotocopia della versione che ci attende: un passo del de Bello Gallico…, una cavolata) e tu del decimo canto del Purgatorio, quello dei superbi. Se uno dei due non sta al gioco, l’incantesimo si spezza e saremo precipitati nel 2014 senza neanche accorgercene. Viceversa saremo ancora due adolescenti che si avviano all’età adulta…, con tutta la vita davanti.
- Queste righe mi hanno catapultato indietro nel passato… e mi sono sentita là… in quell’incrocio di via Bellini, mentre ti aspetto e ripasso Dante e mi sento piena di dubbi…, ma poi arrivi tu, con il tuo sorriso rassicurante e dimentico tutto Dante e i suoi gironi e via insieme in bici sulla ciclabile, chiacchierando e ridendo fino ad arrivare al ponte da dove si scorgeva la scuola che ci riportava alle nostre piccole paure… Sei il mio scrittore preferito… lo scrittore dei ricordi…
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