Ci fu un tempo in cui la ferrovia arrivava dappertutto (o quasi) e collegava luoghi lontanissimi tra loro, o anche vicini, ma impervi e raggiungibili solo affrontando giornate e giornate di cammino o transiti su mezzi più o meno di fortuna. Da che la locomotiva a vapore cominciò a percorrere i suoi primi metri sui binari, fu tutto un crescendo di sfide, di conquiste, un divorare continuo di strade e distanze. Da metà ‘800 e a seguire, società private e capitali pubblici fecero a gara ad aggiudicarsi lavori per collegare luoghi tra loro, e per rendere globale il mondo fino ad allora diviso da barriere spazio-tempo insuperabili. Fu una grande epopea quella della locomotiva e noi che amiamo viaggiare, ai ritmi lenti del passato e dei ricordi sbuffanti e sferraglianti, non possiamo non lasciarci travolgere da questa storia. Ora, in concomitanza con l’arrivo della bella stagione, e come ormai avviene da alcuni anni, ricominceranno le iniziative volte alla valorizzazione delle ferrovie storiche dismesse disseminate lungo tutta la Penisola. Come si sa sono tratte comunemente dette “antieconomiche”, e già a partire dagli anni ’60 hanno smesso di trasportate merci e persone. Un patrimonio storico e culturale immenso lasciato alla cura amorevole di alcuni volenterosi appassionati. Da sabato 17 maggio, per esempio, e poi a seguire nei fine settimana successivi - e per tutta l’estate - , si svolgerà l’iniziativa “Binari senza tempo”, promossa dalla Fondazione FS Italiane: lo scopo è quello appunto di accendere un riflettore su questa realtà da “museo a cielo aperto” e di consentire, a quanti vogliano fare un’esperienza fuori dall’ordinario, di salire a bordo di vecchi (o meglio antichi) treni a vapore e di lasciarsi trasportare a velocità moderata (secondo i nostri standard), annusando e ascoltando odori e rumori consegnati agli archivi della storia. Quattro sono le linee ferroviarie interessate a questo progetto onirico: la Palazzolo sull’Oglio - Paratico Sarnico (sull’alto Sebino); la Asciano - Monte Antico (Val d’Orcia); la Sulmona - Castel di Sangro (Abruzzo; detta anche la “Transiberiana d’Italia”); e la Agrigento - Porto Empedocle (Sicilia; detta altresì “La Ferrovia dei Templi”). Si tratta di percorsi immersi nell’incomparabile bellezza della natura, binari che attraversano paesaggi poco o per nulla antropizzati, a volte quasi incontaminati, e che salgono anche a quote considerevoli (Rivisondoli-Pescocostanzo, 1268 metri). Per quasi un secolo questo fu l’unico mezzo di trasporto per intere comunità. Con l’avvento poi della motorizzazione a scoppio e la diffusione massiccia dei mezzi di trasporto privati, la ragione prima di queste meravigliose ferrovie venne meno: sia per i passeggeri che per le merci. Ed inevitabilmente ciò provocò la soppressione graduale dell’esercizio.
Ecco, a proposito di linee in via di dismissione, o dismesse del tutto, un paio di settimane fa - e con mio colpevole ritardo - mi sono accorto che nelle valli a ridosso di Bergamo, vale a dire a trenta chilometri da dove abito, esistevano due incredibili ferrovie: la prima partiva appunto da Bergamo e s’inoltrava nella Valle Seriana, fino a raggiungere Clusone (34 chilometri); la seconda, sempre partendo da Bergamo, arrivava a Piazza Brembana, seguendo le sponde del fiume Brembo (30 chilometri). I lavori, cominciati, negli anni ottanta dell’800, furono terminati sulle intere tratte rispettivamente nel 1911 e nel 1906.
Nelle locandine che raccontano le inaugurazioni delle linee si osservano paesaggi montani pittoreschi e viaggiatori abbigliati alla maniera della Bella Epoque: la Grande Guerra era di là da venire, e l’Europa era ancora il motore trainante dell’Umanità.
La tratta della Val Brembana, transitava da San Pellegrino Terme, e fu concepita soprattutto come ferrovia turistica (anche se poi e per lunghi decenni fu utilizzata anche per il trasporto merci: acque minerali, legname, marmi, prodotti tessili etc…); l’altra nacque come linea merci, e poi, con il successivo raggiungimento della rinomata Clusone, divenne mezzo di trasporto anche per i viaggiatori amanti della montagna. La ferrovia della Val Brembana venne ufficialmente chiusa il 17 marzo 1966; quella della Valle Seriana le sopravvisse di un anno: 31 agosto 1967. Il servizio di trasporto pubblico su ferro venne dapprima affiancato e successivamente sostituito dalle corse di linea degli autobus. Il materiale rotabile venne dismesso e del vecchio tracciato non ne rimase che una massicciata abbandonata. Questo fino ai primi anni del 2000. A partire da allora, infatti, cominciarono a susseguirsi studi e progetti della Provincia di Bergamo, volti a valorizzare quest’immensa risorsa inutilizzata: ne vennero fuori due splendide piste ciclo-pedonali, lunghe rispettivamente 38 chilometri (Ciclovia della Val Brembana) e 31 chilometri (Ciclovia della Valle Seriana). Grazie a queste due opere l’amante della bicicletta può inoltrarsi nelle splendide valli a nord di Bergamo, raggiungere comodamente e in piena sicurezza località rinomate, e godere di paesaggi d’alta quota.
Ed è qui che scatta la proposta: la mia idea, ovviamente, è quella di percorrere entrambe le ciclovia, partendo da Bergamo. Si va prima su per la Val Brembana, fino a San Pellegrino Terme; e poi, salendo e superando Selvino (o Zambla), si ridiscende verso la Val Seriana. E da qui si fa ritorno a Bergamo seguendo l’altra ciclovia. Volendo si può pernottare in una delle due valli se non ce la si fa in giornata (il giro lungo che passa da Zambla Alta (1290 metri) è lungo circa una novantina di chilometri.
Periodo consigliato: estate, inizio autunno.
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