L’estate è ancora lontana, a maggior ragione se ci si sofferma ad osservare il ghiaccio sui parabrezza delle auto e l’insegna luminosa della farmacia che segna -5. Eppure già si discute di quando, come e soprattutto dove andare in vacanza. Un amico di Roma, mezzo matto, crede che sia una buona idea prendere la sua ormai datata utilitaria (al momento ferma in un parcheggio condominiale per ragioni economiche) e andare a zonzo per l’est Europa (Polonia, Ucraina… “e se ci va arriviamo fino a San Pietroburgo…”); altri pensano ad un giro in bicicletta in Campania (Costiera Amalfitana in primis…), Basilicata e Puglia garganica; io invece sto studiando un itinerario attraverso l’Umbria, l’alto Lazio e la bassa Toscana. Vedremo cosa ci riserverà il futuro. Gironzolando qua e là su internet in cerca di ispirazione mi sono imbattuto in un reportage che narra le vicende di Giuseppe e Davide, due ardimentosi ragazzi in bicicletta, che nel mese di agosto scorso, hanno portato a termine uno dei miei grandi sogni, vale a dire il periplo della Sicilia. Il tutto compiuto in perfetta autonomia e con un budget incredibilmente risicato: 200 euro. Il titolo del racconto è “Sicily coast to coast” e questo è l’inizio:
L’anno scorso io e il mio più caro amico, Davide Laganà, abbiamo compiuto in bici il giro della Sicilia (l’intero periplo). Siamo partiti da Capo d’Orlando (ME) con un budget di 200 euro, che comprendeva anche l’attrezzatura del viaggio, il tutto spinto dalla semplice voglia di compiere quest’avventura, e questo è il nostro racconto.
Giuseppe: Ho i polpacci in tensione. Mi fanno male. Il sole è caldo. Caldissimo. Qui il mezzogiorno di maggio è come il primo pomeriggio di ferragosto: infuocato. L’asfalto assorbe i raggi solari e li sputa contro le mie ruote. Li sento risalire, entrano nella mia maglietta. Tengo la testa bassa sul manubrio. Pedalo automaticamente, ma a fatica. Anche l’abitudine si stanca in salita, e questa salita sembra non finire più. Ma quante salite ci sono in Sicilia? Per un istante mi sento come pentito. È un’immagine istantanea: vedo il divano di casa mia, una limonata ghiacciata, lo stereo acceso; il lusso dell’ozio. È un secondo di ripensamenti. Ma è uno soltanto e lo dimentico subito, lo elimino subito. Mi basta poco per farlo. Mi basta superare una curva e perdermi nella meraviglia: alzo la testa e le mie pupille si restringono, inondate dalla luce.
Adesso davanti al mio naso c’è una macchia blu infinita che respira piatta, lenta, con un ritmo fuori dal tempo: il mare calmo, che brilla sotto la luce, che è di mille colori ed è sempre blu, ed è sempre bello, ed è sempre lo stesso mare che sta viaggiando con me da quando ho lasciato Capo d’Orlando; è lo stesso mare che sta tracciando con me il perimetro della mia isola. Lui cammina sulle onde, fra la sabbia, fra gli scogli delle coste. Io cammino sulla mia bicicletta, fra il caldo, il vento, la pioggia, e l’odore del mare, lo stesso mare. Ora fisso Davide, a qualche metro più avanti, e improvvisamente mi sembra uguale a me, anche lui con la sua bici, anche lui perso nello stesso attimo di bellezza.
Davide: Mentre ingoio salsedine a pieni polmoni, mi concedo il piacere di osservare. La bicicletta è il mezzo giusto per guardare, per guardare il tuo viaggio che si costruisce sotto le tue ruote, che si crea nello stesso momento in cui lo stai vivendo. E mentre pedalo e bevo nuovo ossigeno dal mare, mi volto indietro ad osservare Giuseppe. Se la felicità potesse avere un volto, e soprattutto una barba e un sorriso da trentadue denti, penso che la felicità si chiamerebbe Giuseppe: lo vedo libero, libero di stupirsi, libero di sorridere e di smarrirsi in quello che ha davanti; lo vedo così e penso sia quella la faccia della felicità. Perché quando decidi di partire con la tua bici, e con quel poco che ti può servire legato dietro al sellino, capisci che basta davvero poco per essere felici, che un tramonto può essere davvero come una poesia, che i gabbiani sono bellissimi e le stelle pure, che l’alba è davvero l’eterno inizio di qualcosa di nuovo, che rifiutarsi di affrontare il vento significa indietreggiare e non avanzare, che non pedalare sotto la pioggia significa prendere freddo in attesa di una schiarita, che “accontentarsi” dello stretto indispensabile è bello, quando questo stretto indispensabile è formato da 24 ore di illimitata meraviglia […]
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