È davvero singolare l’esperienza che capita a colui che ha a che fare con i bambini dai tre anni in su. Tipo i miei nipoti. E dico dai tre anni in su perché è da questa età che si comincia ad avere un rapporto intellettualmente stimolante. Prima è tutto affetto e tenerezza. Ogni giorno che passa ti rendi conto dei progressi enormi che compie la piccola mente umana, e ne resti meravigliato. Da qualche mese, per esempio, mi sono accorto che mio nipote, quello piccolo, ha cominciato a capire l’ironia ed è capace di astrarre i concetti. In precedenza, quando gli facevo qualche celia - tipo nascondergli un cioccolatino - rimaneva sbalordito, senza risposte: un mistero insolubile e insondabile. E forse un potenziale rischio. In fin dei conti per i bimbi noi siamo pur sempre dei giganti enormi. Ora invece il gioco si è evoluto ed è addirittura possibile ricreare e recitare alcune delle loro favole preferite, tipo “i tre porcellini”. È uno spettacolo vedere il piccolo che interpreta il lupo che soffia e sbuffa per tirare giù la casa di paglia del porcellino fannullone. Io e l’altra nipote facciamo la parte dei porcellini spaventati, e talmente entriamo nella parte, che il “lupo” - mosso a pietà - è costretto a interrompere la recita per dire: «… ma è per finta…». Ovvero, non dovete aver paura, è solo una finzione. Il che la dice lunga sulla mente di un bimbo di quell’età: per lui cioè, esiste davvero un lupo cattivo che si aggira per il boschi tenebrosi, a caccia di nonnine e pargoletti da divorare. E a nulla valgono tutti gli sforzi dei grandi per far capire che il lupo è un animale come tutti gli altri, poco più di un cane, capace anche di affetto. Un giorno infatti, per fugare questa paura atavica, feci vedere ai miei nipoti un video di un branco di lupi alle prese con una cucciolata: il massimo della tenerezza che si potesse recuperare in rete. Ebbene, davanti a quelle immagini, l’apprensione e il timore che era dipinto sui loro volti si mutò in stupore colmo di gioia inaspettata. Terminato il video, però, ecco ricomparire l’ombra del lupo cattivo di là dalla porta, nascosto nella penombra. Perché i bimbi hanno paura dunque, anche quando viene loro spiegato che non c’è nulla di cui aver timore? In realtà qui si tratta di un paura ancestrale, legata ad antichi retaggi di un’epoca in cui c’era davvero la consapevolezza che il lupo - simbolo di una natura matrigna - era un pericolo mortale. Ed era la paura, con tutto ciò che essa implicava, a rendere più accorti e dunque meno propensi a finire tra le fauci delle prede. E non c’è escamotage psicologico moderno che possa cancellare questo incubo genetico, affondato nei nostri abissi inconsci. Tra l’altro è sintomatico il fatto che le fiabe più antiche siano quelle che più si prestano a fare breccia nella fantasia dei bimbi: quando queste furono scritte, infatti, i loro autori erano completamente immersi in quella realtà fatta di luci ed ombre, ed è per questo che sono così vive, spaventose. In altre parole gli autori credevano a ciò che scrivevano, perché a quell’epoca inoltrarsi in un bosco era davvero pericoloso: molto più di oggi. E non solo per la presenza di fauna feroce, ma anche perché in quelle lande desolate c’era il rischio di incontrare briganti e tagliagole. Ed infatti molti studiosi ritengono che il famoso “lupo di Gubbio” altro non era che un bandito il cui “territorio di caccia” si estendeva lungo la valle del Chiscio, a sud di Gubbio.
Ora, a dimostrazione che queste favole affondano le loro radici nel nostro passato - anche molto remoto - giunge uno studio pubblicata sulla rivista scientifica Plos One. Un team di ricercatori della Durham University, avvalendosi delle tecniche di analisi utilizzate dai biologi evoluzionisti per ricostruire l’albero evolutivo delle specie - fino a individuare gli antenati comuni - ha scoperto che la radice di ‘Cappuccetto Rosso’ risiederebbe in un antico racconto popolare che giunge da molto lontano, ovvero da una storia europea vecchia di almeno 2.000 anni. Diffusa dapprima in Europa; esportata successivamente in Medio Oriente; e giunta fin nella lontana Cina. In questa versione originale il lupo si traveste da tata-capra e divora i bambini. ‘Cappuccetto Rosso’, così come lo conosciamo noi, è opera dei fratelli Grimm, ovvero di un’epoca (1800) a noi molto più vicina. Ma se non ci fosse stata una cultura orale antichissima, tramandata di generazione in generazione, e nel corso dei secoli, mai gli autori tedeschi avrebbero potuto scrivere questa fiaba immortale.
Nella loro ricerca gli studiosi si sono imbattuti nella bellezza di 72 diverse variabili della versione “originale”. A seconda del luogo in cui si è diffusa e tramandata, la favola ha cambiato tipo di protagonisti, caratteristiche del personaggio negativo, stratagemmi utilizzati per conseguire lo scopo “criminoso”. Nella versione di Charles Perrault del 1697, ad esempio - epoca in cui si bruciavano ancora le streghe e si pensava che il boschi fossero abitati da diavoli e spiriti malvagi - la povera Cappuccetto Rosso e la vecchia nonnina, fanno una brutta fine. E non c’è cacciatore che corra loro in aiuto.
Qualche tempo fa, il mio amico Davide ed io parlavamo dei nostri nonni. Tutti defunti, ahimè. I miei abitavano in Puglia, i suoi sul confine tra la provincia di Milano e Pavia. Ebbene, tra un discorso e l’altro abbiamo scoperto che le nostre nonne erano solite praticare - quando c’era qualcuno ammalato in famiglia - una sorta di rituale magico-religioso per allontanare il malocchio (o comunque l’entità maligna causa del malanno). E fin qui nulla di particolare, visto che nelle comunità contadine di ogni epoca e latitudine era tradizione rivolgersi al mistero e all’occulto per ottenere benefici. Quello che mi ha stupito invece, è che le modalità, i gesti, le formule adoperate dalle due donne erano esattamente le stesse. Ovvero, pur avendo vissuto tutta la loro vita in luoghi lontanissimi - sia geograficamente, sia culturalmente - entrambe le donne avevano appreso per cultura orale le stesse nozioni, le medesime parole sacre, ripetute seguendo identiche procedure. Tutto ciò non poteva che provenire da un’epoca remotissima, dimenticata eppure presente ancora oggi tra di noi. È incredibile il modo in cui ci giungono queste storie, eppure, se ci pensiamo, il nostro modo di vivere e di essere, non è altro che diretta espressione e somma di tutto ciò che c’è stato prima di noi. Siamo, in altre parole, il frutto di coloro che ci hanno preceduto nel corso della storia dell’Umanità.
Ecco perché ‘Cappuccetto Rosso’ ci racconta ancora oggi una parte del nostro passato.
Fonte: http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0078871
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