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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

giovedì 6 giugno 2013

Come non dovrebbe essere un buon capo

Come si riconosce un buon capo e quali sono le caratteristiche che lo contraddistinguono? Bella domanda. Qualche tempo fa partecipai ad un corso sulla “leadership”, una di quelle esperienze formative che vanno tanto di moda di questi tempi. In quattro sedute fulltime ci vennero propinate una valanga di informazioni teoriche, associate a nozioni pratiche con tanto di esercitazioni. Vi furono anche delle proiezioni tratte da alcune scene di film: il tutto per osservare e dibattere sul modo di comportarsi di alcuni soggetti alle prese con situazioni particolari. Si parlò di comunicazione, autorevolezza, capacità di fare gruppo, capacità di riconoscere i propri errori, competenza, coerenza (“dico quello che penso e faccio quello che dico”), capacità di motivare. Il succo del corso era che chiunque, quando avesse fatto e detto determinate cose, sarebbe stato un buon capo. Al termine dell’ultima lezione fui moderatamente soddisfatto. In effetti tutto ciò che avevo ascoltato era già più o meno nel mio bagaglio culturale, ma mancava di razionalità. E così valutai l’esperienza in maniera positiva. L’unica cosa sulla quale mi trovai (e ancora mi trovo) a dissentire è il fatto che chiunque possa essere un buon leader a patto di comportarsi in una certa maniera. A mio modesto avviso le caratteristiche caratteriali contano troppo in questo genere di rapporto e se uno nasce privo di determinate qualità (carisma, per esempio), può fare anche tremila corsi, ma sarà sempre visto come persona poco autorevole. E d’altra parte basta osservare i bambini per rendersene conto: già all’età di quattro anni è evidente a tutti chi è leader e chi no. Quando porto mia nipote al parchetto c’è la sua amichetta Giorgia che dimostra di avere un ascendente straordinario su tutti gli altri bambini: comanda, organizza, dispone, premia e mette in punizione. E nessuno si metterebbe in testa di contraddirla. E non perché ne abbia paura, ma perché la riconosce come leader. Ha frequentato corsi? No. È stata in accademia? Neanche. Queste doti sono semplicemente innate dentro di lei. Ad ogni modo, non è che tutti i capi debbano essere per forza straordinari: come in ogni campo dell’agire umano ci sono quelli più bravi e quelli meno bravi. Ed in ogni caso sarebbe già sufficiente che un leader riuscisse bene nel suo lavoro e soprattutto in quello dei sottoposti. Che sia anche amato, poi, è un di più. L’altro giorno il sito jobs.aol.com ha pubblicato una lista di caratteristiche che contraddistinguono un cattivo capo. Andiamo ad analizzarle. Per prima cosa un capo non dovrebbe mai e poi mai comunicare un problema ai suoi sottoposti rimproverandoli o peggio ancora sbraitando loro addosso. I problemi andrebbero affrontati insieme, con spirito costruttivo: in un’organizzazione non c’è il problema di Tizio o di Caio. Il problema è di tutti e tutti dovrebbero concorrere a risolverlo. Mostrare il volto truce, senza avere la stima dei propri collaboratori equivale a fallimento. Nel film Master & Commander si dice: “Senza il rispetto, la disciplina va a ingrassare i pesci”.
In secondo luogo un cattivo capo dimostra spesso scarse capacità di pianificazione. In America si dice: “Your poor planning does not constitute an emergency on my part”. Qualche tempo fa lavoravo in un’azienda dove c’era un soggetto di questo genere. Era sempre immerso nell’Empireo, all’inseguimento dei suoi sogni, dei suoi desideri, ed era completamente dissociato dal concetto spazio-tempo. “Facciamo questo, facciamo quello…”, per lui era tutto fattibile: nessun problema. Ed io ero uno dei pochi che gli parlava onestamente e che di tanto in tanto lo tirava giù dalle nuvole. E per questo egli mi odiava, anche se non poteva che darmi ragione ogni volta. Morale, chi aveva a che fare con lui, doveva sempre rincorrere lavori e progetti che spesso non arrivavano a conclusione. Stressante, oltreché inutile.
In terzo luogo, un leader non dovrebbe mai mancare di chiarezza e soprattutto non dovrebbe pretendere che i suoi sottoposti leggano nelle elucubrazioni della sua zucca. Capita spesso invece che si diano troppe cose per scontate e così ognuno viaggia per conto suo, fino a che non viene fuori l’equivoco. E a quel punto, 99 su 100 è colpa del sottoposto che non ha capito. Naturalmente.
Altra grave mancanza di un capo è l’assenza di capacità decisionale. Il ruolo che egli ricopre lo pone su un palcoscenico, costantemente valutato per i propri atteggiamenti. Da un capo ci si aspetta sicurezza, decisione, forza di volontà. In mancanza di tali caratteristiche dilaga l’anarchia.
Altro atteggiamento odioso è quello di prendersi i meriti ottenuti in squadra e biasimare chi sbaglia. Una volta mi capitò di lavorare su un progetto di comunicazione. Il mio capo non faceva che lamentarsi di ciò che stava venendo fuori. Per farla breve il lavoro venne pubblicato su una rivista prestigiosa e con un risalto notevole. E la firma che comparve sulle pagine fu la sua, non certo la mia. Ciò contribuì non poco alla mia decisione di dare le dimissioni.
Le critiche costruttive sono utili, anche se non sempre ben accette. Viceversa criticare per criticare e soprattutto non dare consigli su come superare l’empasse, non è di certo un buon atteggiamento. Compito di un capo dev’essere trovare soluzioni. In mancanza di ciò, meglio cambiare aria.
Altra caratteristica di un cattivo leader è l’arroganza. Coloro che sanno tutto e che trattano i sottoposti come dei cerebrolesi (“non sei pagato per pensare…”) non faranno mai troppo strada. Né la farà l’azienda per la quale lavorano. Un buon capo dovrebbe motivare i propri giudizi, rendere partecipi tutti delle proprie decisioni. E soprattutto dovrebbe ascoltare. Soltanto avendo un quadro complessivo della situazione si può prendere una decisione corretta e il più possibile condivisa.
Un vero capo poi dovrebbe aver cura dei propri sottoposti, dovrebbe avere a cuore le proprie vite. O almeno dovrebbe far sì che essi ci credano. Napoleone Bonaparte, ad esempio, la sera prima della battaglia, passava tra le truppe e scambiava qualche parola con i soldati. Chiamandoli spesso per nome e chiedendo notizie delle loro famiglie. E questi così gratificati, il giorno dopo, erano disposti anche a morire per il loro Imperatore. Al contrario, un capo che dimostra indifferenza verso i proprio collaboratori, di rimando non sarà pagato che con la stessa medaglia.
E per finire, nella classifica di ciò che non dovrebbe mai fare un capo, ecco la chicca: “Uses fear tactics” (ovvero utilizza la politica del terrore). Non saprei se questo atteggiamento è dettato dalla cattiveria d’animo innata, o se al contrario, si tratta solo di inadeguatezza al comando. O peggio di false convinzioni e dunque di becera ignoranza. Fatto sta che il clima di terrore che regna in alcuni luoghi di lavoro non fa bene a nessuno. Una volta capitai in un ambientino del genere: oltre al terrore del capo, si era creata altresì una sorta di guerra fratricida tra colleghi, una lotta per la sopravvivenza che non ammetteva regole. Un vero inferno. Anche perché era quel farabutto del capo a instillare nei collaboratori questo germe fratricida. “Divide et impera” era il suo motto. Peccato che questo valga per i nemici, non già per coloro che lavorano per te e che dovrebbero, appunto, fare squadra.
Ecco, nel caso il vostro capo fosse affetto da tali disgrazie, fate al più presto la valigia. È difficile, lo so, soprattutto in tempo di crisi, ma provate a ragionare in questi termini: “Sto legando il mio futuro a questa persona…!”. Verrà tutto più facile.

Fonte:   http://jobs.aol.com/articles/2013/06/03/characteristics-bad-bosses/

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