Ciao Marco,
Solo poche righe per ringraziarti nuovamente per il tuo prezioso aiuto durante la nostra ascesa al passo di “Ol Simal”, lungo il Sentiero delle Orobie Orientali. Siamo un gruppo di escursionisti che da diversi anni ormai si cimenta con la montagna, ma che mai prima di quel 30 giugno 2011 si era trovato ad affrontare un nevaio così irto e pendente.
In altre parole era la prima volta che ci mettevamo alla prova con una difficoltà seria, concreta, effettiva, dai risvolti potenzialmente pericolosi per la nostra incolumità se affrontata con leggerezza.
Lorenzo nei giorni che hanno preceduto il nostro arrivo al Brunone, ha telefonato ai vari rifugi per conoscere le condizioni del terreno e per verificare la fattibilità del tracciato. Per fortuna che ha trovato te nel lungo giro di chiamate: le tue indicazioni, fin dall’inizio sono apparse utilissime: soprattutto il suggerimento di portare la picozza, vero e proprio “salvavita” in determinate condizioni. Le tue parole durante il dopo-cena al Brunone, ponderate e serene, ma al contempo foriere di riflessioni e attenzione verso ciò che andavamo ad affrontare, ci hanno messo in guardia da quella irresponsabile sicumera cui eravamo avvezzi.
Le tue frasi sulla difficoltà dell’ascesa al passo con la neve, sul fatto che fosse un’impresa fattibile, ma “tosta” e che una volta lassù avremmo scoperto “se la montagna ci sarebbe piaciuta veramente”, hanno creato la giusta tensione nel gruppo, la consapevolezza che sarebbe stata necessaria tutta la nostra attenzione, tutto l’impegno e la concentrazione per raggiungere il nostro obiettivo. Da altri interlocutori al contrario ci erano pervenute informazioni piuttosto vaghe ed estremamente rassicuranti sulla fattibilità del sentiero. Nella nostra mente, tra le altre, resterà scolpita una frase sopra ogni altra, pronunciata da un rifugista forse un po’ troppo ottimista:
<< Sentiero Alto? Per la miseria se si può fare…lo fanno anche i bambini >>. Ecco, al termine del percorso c’è venuta spontanea una riflessione: << Ok, lo faranno anche i bambini, per carità…ma i genitori andrebbero messi al gabbio…! >>.
E così quella mattina, dopo un breve consulto con te sulla stabilità del tempo, abbiamo cominciato l’avvicinamento al nevaio. Alla prima neve abbiamo indossato i ramponi, ci siamo legati in cordata e siamo partiti all’assalto del passo. Lanciare lo sguardo verso quella lontana e altissima lingua di bianco che si stagliava minacciosa nel cielo azzurro incuteva emozioni violente e senso di rispetto. Meglio pensare a dove mettere i piedi.
La nostra progressione è stata lenta, ma costante. Mano a mano che salivamo però la pendenza diventava sempre più importante e il nostro passo naturalmente rallentava, gravati com’eravamo, oltretutto, da quegli enormi zaini. Il vuoto sotto di noi cresceva, il rifugio si allontanava, spariva nell’indefinito della valle. Ad un tratto, nel momento in cui eravamo già a due terzi del canalino sommitale e dove la pendenza aveva raggiunto un grado troppo elevato per la tenuta dei nostri mezzi ramponi, ho perso la presa di uno scarpone e sono scivolato. Prontamente mi sono appigliato alla picozza con tutto il peso e la mia caduta è stata di non più di mezzo metro. Sufficiente tuttavia a dare uno strattone alla corda: Enrico, il capo-cordata, a quel punto è stato trascinato verso il basso, e non essendo munito di picozza ha cominciato una caduta di una ventina di metri.
Fortunatamente il mio appiglio, sostenuto dalla seconda picozza, quella di Lorenzo, ha evitato che l’intera cordata finisse nel vuoto. Il tutto si è verificato in un lasso di tempo brevissimo: in un attimo era tutto finito. Tutti fermi, increduli di ciò che era appena accaduto. Paura, angoscia? No, questo no. Nessuno di noi, una volta rimesse le cose a posto, ha manifestato questa sensazione. Piuttosto c’è stata forte sorpresa: la sorpresa che tutto quello che avevamo rimosso fino a quel momento e forse esorcizzato, vale a dire l’idea che stessimo affrontando qualcosa di realmente pericoloso, si era materializzato all’improvviso. In fondo qualsiasi impresa si fonda sull’ottimismo, sul fatto che tutto andrà per il meglio. Chi partirebbe pensando che da un momento all’altro potrebbe accadere qualcosa di irreparabile? Ebbene questo era il nostro stato d’animo al termine di quell’esperienza: spaesamento, momentaneo stato di trance, stupore, incredulità!
E così, dopo esserci ripresi (Enrico tra l’altro nella caduta aveva riportato un taglio abbastanza profondo sul dorso della mano sinistra), ci siamo rimessi in linea e ci siamo preparati per ripartire. Ed è stato in quel preciso momento che dal fondo valle c’è giunta la tua voce: << Stop…scendete…a destra >>. Dapprima non riuscivamo a capire, la voce ci giungeva quasi indecifrabile, rarefatta come l’aria sottile di queste meravigliose cime: nel punto in cui eravamo la via di salita ci sembrava unica, diritta su per il canalino. Ad ogni modo la fiducia, che avevamo riposto in te fino a quel momento, ci ha fatto decidere di girare subito i tacchi senza ripensamenti. E così abbiamo cominciato una lenta discesa lungo il tratto più ripido del nevaio. Ancora una volta, nella difficile operazione, Laura è scivolata e nuovamente le picozze ci hanno tenuto su. In pochi minuti poi ci hai raggiunto: << State tutti bene, vi siete spaventati? >>. È stato un sollievo vederti, un’iniezione di fiducia. Constatato che era tutto a posto la marcia verso il passo è ripresa e questa volta seguendo le tue tracce. In effetti la via di salita, che lassù non era visibile, ora ci appariva chiara: piegando decisamente verso destra, vale a dire verso la “Vedretta dei Segreti”, essa passava al di sopra di alcune rocce e saliva più dolcemente al passo. In pochi minuti avevamo svalicato. C’è stata una grande gioia in quel momento: ce l’avevamo fatta.
<< Siete stati bravi >> hai detto, e in quel momento di euforia quasi ci abbiamo creduto. La salita che stavamo facendo in precedenza? << Quella è roba per professionisti…! >>.
Da qui in poi non sarebbe stato comunque uno scherzo (altri nevai, anche se in piano, vie ferrate, alcune catene saltate nella parte finale del percorso etc…), ma il grosso era fatto.
Ringraziamenti, una foto con il nostro amico, una stretta di mano. E poi, dopo le ultime “dritte” sei andato via, rapido con quel tuo passo sicuro e leggero. E a noi, vedendoti scomparire dietro le rocce, è restata la consapevolezza che senza di te non ce l’avremmo mai fatta.
Grazie ancora.
Luigi, Laura, Enrico, Lorenzo.
Le foto sono di Laura. Siamo in attesa di vedere anche quelle di Enrico e Lorenzo. Le mie non le vedrete mai semplicemente perché non ci sono dal momento che ho dimenticato di comprare le batterie per la fotocamera. Il peso più inutile della storia del trekking moderno.
RispondiEliminaBella avventura, bel trek, alla fine tutto è andato bene, un grazie ancora a Marco, nei momenti del bisogno si vedono le persone in gamba! Prox volta mi porto la picozza, promesso!
RispondiEliminaPer le mie foto pazientate ancora un pochino, arriveranno, ma quelle di La sono cmq meglio ! Grazie a tutti, alla prossima, ciao Piazza BG
Finchè va tutto bene, non si riesce neanche ad immaginare il pericolo che si corre.
RispondiEliminaMarco è stato come un angelo custode, ci guardava da lontano ed è venuto subito a vedere come stavamo, indicandoci la via giusta. Già il giorno prima ci aveva colpito per la sua calma e le sue parole, sagge e tranquille. Aveva soltanto parlato del tempo, ma ne aveva parlato in modo inusuale.
Siamo stati fortunati ad averlo incontrato.