Scrive un amico di Roma, insegnante di scuola media: «I miei alunni nomadi, quelli che comunemente chiamiamo “zingari”, hanno dei nomi meravigliosi, non ho mai sentito niente di più bello: Suada, Neftalem, Artezian, Dhivael, Khellian. Altisonanti, musicali, suggestivi, poetici, avventurosi, romantici, luminosi come gemme d’Oriente. Nomi il cui suono fa pensare agli affascinanti avventurieri sulla Via della Seta, o alle fanciulle delle Mille e una notte».
“Come fu che una divinità nomade che aveva per santuario una tenda e viaggiava beduina per i deserti, finì rinchiusa dentro chiese, moschee, sinagoghe, dentro i recinti delle religioni? Dove smette il cammino, la sua santa deriva, cominciano le mura. Non è servita la dura lezione di due Templi distrutti a Gerusalemme. I monoteismi si sono dati all’edilizia e alla fortificazione. Il monoteismo di Abramo il vagabondo si praticava all’aria aperta, si spostava su sandali e si accovacciava di sera intorno a un fuoco.
Nell’ostilità verso gli zingari c’è anche il sospetto che essi conoscano le vie del cielo meglio dei cittadini. Nessuno zingaro è diventato astronomo, ma ognuno dei loro bambini chiama per nome le stelle”.
(Erri De Luca).
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