Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 28 luglio 2014

Sulle strade del Mondo…

Giovedì 24 luglio, giorno della partenza. Lorenzo ed io abbiamo tutto pronto, biciclette a posto, provviste ben imbustate, borse caricate sui portapacchi. Manca solo il primo colpo di pedale. Già, il primo colpo di pedale. Semplice a dirsi, sempre che la Protezione Civile non decida di diramare un’allerta per previsioni del tempo avverse. L’idea iniziale era quella di partire appunto giovedì mattina, sul presto, raggiungere Genova e qui incontrarci con Simona e Daniele, i due giramondo in bicicletta, per proseguire con loro verso Savona. Dato però che il meteo sconsiglia di mettersi in viaggio, decidiamo di prenderci qualche ora di tempo per vedere come evolve la situazione. Peraltro, anche i nostri amici hanno deciso di non muoversi e di approfittare della pioggia per riposarsi dalle fatiche del giorno prima: 95 chilometri, con passaggio sull’impegnativo Passo del Bracco.
E così, dopo un ultimo consulto telefonico, Lorenzo ed io decidiamo di partire nel primo pomeriggio. Caricare le biciclette sul treno, oberate dalle borse e dalla tenda da campeggio, non è cosa semplice. E diviene anche cosa ridicola se ci si dimentica inopinatamente di legare un paio di cinghie al telaio: trovarsi in cima alle scalette del predellino, con le borse tragicamente ribaltate per terra (e la tenda finita sotto i binari), e lo sguardo del capotreno puntato addosso, mentre scrolla il capo con un’espressione tra il pietoso e il disgustato, non ha eguali! Se poi sul convoglio, debitamente segnalato come abilitato al trasporto biciclette, manca completamente la carrozza che ospiti i nostri mezzi, non resta veramente che piangere. Per fortuna troviamo un pertugio dove sistemare le nostre due ruote e così l’avventura può cominciare. A Milano piove ancora, ma più ci avviciniamo alla costa ligure più il tempo si rasserena. Chiamo Simona e le confermo che nel tardo pomeriggio saremo da loro. Ovvero nei pressi di Lavagna. Per giorni ho tormentato questi nostri amici con la domanda delle domande: che strada farete per salire al nord? E la risposta era sempre la stessa: “Non lo sappiamo con certezza”. Ora lo confesso: all’ennesima risposta di questo tenore, un minimo di risentimento l’ho provato. Mi dicevo: “Ma cacchio…, possibile che non abbiano ancora deciso se passare da Piacenza o se tirare diritto per la Liguria…?”. In realtà, solo chi intraprende un viaggio come questo - o anche ne compie un piccolo tragitto, affiancando i protagonisti di questa impresa - può rendersi conto delle mille incognite che gravano sul corso degli eventi. Basta una giornata di pioggia per mandare a monte tutti i piani. E poi c’è da tenere in considerazione la condizione fisica - che non è uguale e al top tutti i giorni - ; gli inconvenienti tecnici e meccanici legati ai mezzi e agli strumenti; le eventuali offerte di ospitalità - che magari non si trovano esattamente sull’itinerario studiato. E poi tutto ciò che non è legato al ponderabile, e che fa di questo viaggio una vera avventura. Ed in effetti, per Simona e Daniele, da che aprono gli occhi al mattino, a che li chiudono alla sera, è davvero tutto un’avventura: chiudere la tenda e sistemare i bagagli (non ci si rende conto di quanta roba si portino dietro, fino a che non la si vede sparpagliata per terra…); scegliere l’itinerario meno faticoso e approntare il piano di viaggio; prepararsi per la partenza; pedalare lungo strade spesso trafficate su di una bicicletta pesantissima; affrontare salite spesso sfiancanti; e poi, nel corso delle ore di pedalata, cominciare a pensare a dove accamparsi e dove trascorrere la notte. Un impegno fisico e psichico che metterebbe alla prova anche il più atarassico dei bonzi tibetani. E tutto questo ogni giorno che Dio manda in terra. E non mi soffermo su tutto ciò che è l’aspetto mediatico del viaggio: aggiornamento del sito, comunicazioni sui social - network, risposte alle mille domande che quotidianamente pongono i cosiddetti “followers”. E ancora foto, scrittura testi, commenti…! Insomma, un lavoro a tutti gli effetti.
Ma torniamo a noi: giunti a Genova il cielo si è rasserenato definitivamente e così, Lorenzo ed io, decidiamo di scendere dal treno e di fare una bella e lunga pedalata fino a Lavagna. Uscire dal centro cittadino è come attraversare un girone dantesco: traffico, smog, automobilisti incazzati come vipere soffianti, camion a pochi centimetri dalle nostre ruote. Una gara per la sopravvivenza in piena regola. Seguiamo l’Aurelia e ci lasciamo a tutta birra questo inferno alle nostre spalle! Quarto, Quindo, Nervi, Bogliasco, Pieve Ligure, più ci allontaniamo da Genova, più la pedalata diventa piacevole. La SS 1 corre sinuosa e parallela al mare, regalando scorci di una bellezza a tratti unica. Il percorso poi è continuamente ondulato, a brevi salite seguono gradevoli e riposanti discese in un incessante saliscendi sempre diversi gli uni dagli altri. Abbiamo tuttavia ancora le forze fresche e tutto ciò non ci spaventa. Proseguendo superiamo Sori, Recco, e ancora Camogli. Da qui comincia la prima vera difficoltà di giornata: la salita a Ruta. Da quota mare dobbiamo raggiungere i 269 metri: sono solo pochi chilometri di salita, ma le pendenze sono importanti, e il sole picchia forte. Sudiamo come orsi marsicani, sputacchiamo e urlacchiamo spezzoni di frasi infarcite di atroci turpiloqui. Il peso sulla bicicletta si fa sentire in maniera allarmante: sembra che un qualche farabutto si sia aggrappato al portapacchi e cerchi a tutti i costi di frenarci. Mezz’ora di sofferenza ed infine eccoci in cima. Breve sosta sul balcone panoramico, bevuta rigenerante alla fontana pubblica e ripartenza. Da Ruta è tutta una discesa fino a Rapallo: sette chilometri e mezzo di godimento puro accarezzati dalla brezza che spira dal mare. Superiamo Zoagli, ancora una serie di saliscendi che seguono il profilo frastagliato della costa, ed infine ecco l’ultima difficoltà di giornata: la salita al Santuario Nostra Signora delle Grazie. Le pendenze sono abbastanza abbordabili, ma arrivano al termine di un tragitto impegnativo. Arranchiamo mulinando rapporti da Mortirolo. Poi ad un tratto la strada spiana, e in un baleno siamo giù a Chiavari. Sono ormai le otto di sera. La cittadina balneare è affollata e disperatamente cerchiamo qualche indicazione per Lavagna: nulla di nulla. Chiediamo ad una signora, e questa, sfoderando un sorriso consolatore, ci dice che superato il ponte ci siamo. Ora non ci resta che trovare il nostro campeggio. Più facile a dirsi che a farsi. Mancano infatti le segnalazione, e quelle pochissime che ci sono riguardano campeggi diversi dal nostro. Allora ci fermiamo a chiedere ai passanti: nulla di nulla. Anche i residenti ignorano l’esistenza di questo campeggio. A quel punto ci fidiamo di un tizio che ci dice che la zona dei campeggi è più giù, lungo la costa. Arriviamo così fin quasi a Cavi di Lavagna. Poi però la cosa ci sembra francamente eccessiva e così contattiamo Simona. Anche da lei però, giungono informazioni vaghe: l’ingresso del campeggio è sul lungomare; ma anche dalla collina…! E comunque non ci sono indicazioni. Giriamo ancora a vuoto, mentre la stanchezza e la rabbia cominciano a montare. Alla fine troviamo un ragazzo che fa le consegne in scooter per una pizzeria: è il nostro salvatore…! E così, dopo un’ultima breve salita verso la collina raggiungiamo l’ingresso del campeggio. Ovviamente nessuna insegna neanche sul cancello d’entrata…! Sul vialetto alberato sento la voce squillante di Simona che ci chiama: ce l’abbiamo fatta. È bello rivedere questa nostra piccola grande amica dopo tanto tempo, e in queste circostanze: l’ultima volta c’eravamo visti a Roma, un marzo di un paio d’anni fa. Ci appare subito in ottima forma, abbronzata, il fisico asciutto, il sorriso smagliante. La bicicletta fa davvero un gran bene. Lasciamo le nostre “giumente” e andiamo a conoscere Daniele, il suo compagno di viaggio e di vita. Questi è seduto ai tavoli di legno del campeggio, ed è circondato da un numero impressionante di apparecchi elettronici: pc, tablet, cellulari, fotocamere, hard-disk. Appena ci vede ci fa un grande sorriso e ci viene incontro. Daniele è una persona solare al pari di Simona, e in pochi attimi s’instaura un clima di grande armonia e serenità. Come se ci conoscessimo da sempre. Come da copione Lorenzo ed io cominciamo a fare domande su domande (sul come quando dove perché di questo viaggio…) e loro, come altrettanto da copione, ci rispondono…! Chissà quante volte hanno dovuto raccontare le stesse cose, e chissà quante altre volte dovranno farlo nel corso dei mesi e degli anni che saranno in giro per il Mondo…! È un pensiero che mi attraversa come una folgore la mente, e da quel momento cercherò di non fare loro più domande su questo argomento. Infondo Daniele e Simona sono persone come noi (anche se un tantino particolari…) e sono tanto altro oltre che due “matti” che intendono fare un giretto in bicicletta. Oltretutto, proprio perché il giro del Mondo in bicicletta (superando peraltro i passi di montagna più alti del Mondo…) è un’avventura che non ha certezza alcuna - se non la loro volontà di tentarci - è quasi imprudente parlarne nei minimi dettagli. O almeno questo è quello che ho percepito nelle loro parole. Come a dire: “Sì ok, questo è quello che vogliamo fare…, ma non diciamolo troppo forte”. E non credo che si tratti di scaramanzia, ma di semplice consapevolezza delle difficoltà enormi che comporta un’impresa di questo genere. E così, nel corso della serata parleremo sì del loro viaggio, ma anche dei ricordi che ci legano a Simona, dei trekking fatti durante questi anni, dei loro viaggi pregressi, della loro e della nostra storia personale. Ed è una bella serata, trascorsa intorno ad un tavolo sotto un pergolato frondoso, tra marmocchi che giocano a rincorrersi e pizza e coca d’ordinanza…!

La mattina seguente ci prepariamo e siamo pronti a partire: lungo il vialetto incrocio il titolare del camping: «Ma senta un po’ - gli chiedo risentito - come mai non c’è neanche un’indicazione per il vostro campeggio?». E lui: «Lo facciamo a posta: sennò viene troppa gente». Al che mi guardo in giro: il campeggio è semivuoto. «Ma scusi, la crisi voi non la sentite?». «E be’ sì…, negli ultimi anni sì. Magari un paio di cartelli ora che ci penso, conviene metterli…» Ometto di scrivere l’improperio che mi è sorto spontaneo…! Da Lavagna raggiungiamo in breve Chiavari. La bicicletta di Simona diffonde rumori sinistri provenienti dalla ruota posteriore. Tiriamo giù i bagagli per vedere se si tratta di qualche cinghia o passante che tocca da qualche parte. Nulla di tutto ciò. A quel punto Daniele sentenzia: si tratta dei raggi. Ed in effetti i raggi della ruota posteriore sono allentati e, con il peso delle borse, tendono a muoversi e quindi a gemere. Non resta che cercare un negozio di ciclista per farli mettere a posto. Ne troviamo uno lungo la strada, ma ci “rimbalza” perché ha troppo da fare. Ci indirizza però da un suo collega, e qui finalmente troviamo il nostro uomo. Questi si accorge subito che i raggi sono montati male e in poco più di un’ora rimette in sesto non solo le ruote della bicicletta di Simona, ma - già che ci siamo - anche quelle della bicicletta di Daniele. E per un prezzo da amico. Amico, a cui è stato raccontato del viaggio intorno al Mondo: ovvero il passepartout che apre tutte le porte. E dunque si riparte: affrontiamo la salita che porta al Santuario, e poi giù verso Zoagli e ancora, dopo Rapallo, la salita a Ruta. Da questa parte l’ascesa è più lunga, ma decisamente più abbordabile, e così senza quasi accorgercene siamo in cima. Sosta pranzo con negli occhi il panorama del mare di Camogli.

Nel pomeriggio, siamo a Genova. Nella caotica e per niente a misura di bicicletta Genova. Ci fermiamo presso i giardini delle “Caravelle” per riprendere fiato. Qui ci raggiunge uno dei tanti “follewer” che segue le gesta dei nostri eroi. Si chiama Alessandro ed è un tipo assai originale: anche lui amante della bicicletta - ci ha raggiunto con un modello pieghevole - ha in programma un viaggio da Genova a Istanbul in autunno. Alessandro ascolta le storie di Daniele e Simona quasi in estasi; il sorriso è sospeso, gli occhi s’illuminano all’udire tante e tali meraviglie. Questi due viaggiatori gettano incantesimi tutto intorno a loro, e fanno sognare le anime nobili…! Nel giro di qualche minuto ci raggiunge un giornalista del quotidiano La Repubblica: intervista, servizio fotografico e pubblicazione dell’articolo quasi in tempo reale sul sito del giornale. Più trascorro il tempo con Simona e Daniele, più assisto a delle manifestazioni umane di stima, affetto e trasporto che mi lasciano sbalordito: sui social network la gente scrive: “Vi abbiamo visto passare da Chiavari. Siete grandi ragazzi…”; per strada le persone ci fermano e ci chiedono: “Siete voi che fate il giro del Mondo in bicicletta?”. Altri offrono ospitalità. Un grande abbraccio di solidarietà sembra stringersi attorno a loro mano a mano che il viaggio prosegue. Lorenzo ed io siamo senza parole, e se non provassimo grande affetto per loro, ci sarebbe da “rosicare” tutta la vita. A questo punto, visto che accamparsi con la tenda a Genova non è fattibile, né consigliabile, non ci resta che trovare un posto dove dormire questa notte. C’è un ostello sulle colline che ha disponibilità; ma a noi piacerebbe restare in centro. Anche perché questa sera ci sono altri amici che vogliono conoscere le celebrità. Un altro ostello, poco distante dai giardini delle “Caravelle”, ha solo due posti disponibili. Io mi arrendo subito. Simona e Daniele invece, dicono che se andiamo a parlare di persona con i gestori…, forse che forse si trova un accomodamento! Ed in effetti, l’accomodamento salta fuori. D’altra parte se parti per un viaggio di quattro anni…, devi pure affinare queste capacità di “dialogo”. Luca e Betta, i titolari dell’ostello, come d’altra parte tutti coloro che vengono a conoscenza di questa storia, rimangono estasiati e vogliono sapere ogni particolare di questa impresa. Daniele e Simona non lesinano le parole: ospitalità gratuita assicurata. In serata cena nel centro storico, in Piazza delle Vigne, e dopocena a spasso per i vicoli.
Il giorno dopo ancora l’incognita meteo. Le previsioni sono catastrofiche e danno pioggia fin dal primo mattino. In realtà scroscia solo nella notte, e già alle sette irrompe il sereno. Salutiamo la dolce Betta e ci avviamo alla volta di Savona. L’uscita da Genova, come sempre, è spaventevole. Fino a Pegli la situazione viabilistica è agghiacciante: lo smog è talmente greve che viene mal di testa e di gola. Sulla strada incontriamo un ciclista che si unisce a noi per qualche chilometro. Costui è il padre di un ragazzo che si era offerto di ospitare Simona e Daniele a casa sua. A Voltri ci fermiamo e il ciclista entra in una panetteria del corso: ne esce dopo qualche attimo con una busta gigante piena di focaccia spolverata con la polenta: specialità del luogo. Facciamo finta di volergliela pagare, ma questi rifiuta decisamente. Al che gli dico: «La prossima volta che sento qualcuno fare ironia sulla tirchieria dei genovesi…»; ma questi m’interrompe subito: «Tu lasciagliela fare…! Io sono di origini calabresi…»
Ad Arenzano facciamo una sosta. Qui la costa comincia ad essere veramente bella. La gente passa e ci guarda. Guarda le biciclette affardellate, si sofferma, scambia una battuta. Una coppia sui cinquant’anni, di Milano, passa, sorride. Poi torna indietro e chiede, s’informa. Daniele e Simona, sempre con il sorriso di chi si schermisce un po’ delle proprie parole, raccontano la loro storia. I due ascoltano quelle parole, sorridono di rimando e poi succede una cosa incredibile: l’uomo si avvicina e li abbraccia. E poi accarezza loro il viso e sorride ancora guardandoli negli occhi. È una scena commovente…! Lorenzo ed io, defilati, ci guardiamo storcendo la bocca di stupore. È difficile credere che tutto ciò sia reale: eppure è ciò che accade sotto i nostri occhi!
A questo punto salutiamo tutti e ripartiamo. Da Arenzano parte una splendida pista ciclabile ricavata dal vecchio tracciato ferroviario dismesso negli anni ’70. Si tratta di una specie di autostrade per le bici che passa a picco sulla scogliera, regalando scorci da favola. Il mare è incredibilmente azzurro, l’acqua cristallina e il cielo è completamente sgombro di nuvole. Lasciamo che Simona e Daniele si godano questo momento e andiamo a controllare gli orari dei treni per il ritorno da Varazze. Ha poco senso per me e Lorenzo proseguire fino a Savona: l’idea iniziale era accompagnare i nostri due amici fino a Cuneo, ma il meteo ha fatto saltare i piani.

E così dopo aver fatto i biglietti, torniamo sui nostri passi fino a ricongiungerci con loro. Simona ha un cerotto sul naso: facendo il bagno ha picchiato contro una roccia. Nulla di grave, per fortuna. Daniele invece si sta godendo gli ultimi momenti di mare. È il primo pomeriggio quando ci muoviamo. Sul lungomare di Varazze ci fermiamo presso un baretto. Un’ultima bibita tutti insieme prima di lasciarci. È un momento triste: mi dispiace distaccarmi da questi due ragazzi. Mi dispiace lasciarli andare da soli verso l’avventura, verso l’ignoto. Tuttavia mi conforta la constatazione che infondo non sono soli: ovunque vadano, ci sarà sempre qualcuno che li segue, che vuole conoscerli, che è ansioso di aprire le porte della propria casa. Un po’ come sta accadendo all’altra straordinaria viaggiatrice che il blog segue, ovvero Darinka Montico (“Dari-Supertrump”) da Baveno: da Palermo a Baveno a piedi (e senza soldi).
Prima di salutarci, e in un momento di estrema serietà e schiettezza dico loro: «Non so se invidiarvi oppure no». Loro sorridono. Perché in effetti, fino a che non si prova cosa vuol dire fare tutto ciò, anche in minima parte, non si può esprimere un giudizio. Da fuori è tutto fantastico, una favola che contempla solo gli aspetti belli del viaggio. Quando invece ci sei dentro, e ti accorgi di tutto ciò che c’è dietro…, be’ a quel punto davvero ti viene da dire: “non so se invidiarvi oppure no”.
Un lungo abbraccio suggella questo saluto.
In bocca al lupo, ragazzi.
E ricordatevi: un cartolina dalla Georgia…!
Ciao.

giovedì 24 luglio 2014

In partenza

Siamo in partenza. Il treno Regionale Veloce 2187, delle 14.25 porterà oggi, Lorenzo e me da Milano a Genova. Da qui, e sperando che il tempo si rimetta al bello, percorreremo 45 chilometri verso levante: Nervi, Bogliasco, Recco, Camogli, Rapallo...! Seguendo la Via Aurelia raggiungeremo Lavagna, dove ci attendono... udite udite... SIMONA e DANIELE, i due intrepidi protagonisti del viaggio intorno al mondo in bicicletta. Con loro pedaleremo un paio di giorni verso il Piemonte, direzione Cuneo, da dove poi, spiccheranno il volo per il primo dei "sette passi" di montagna più alti della Terra: Colle de la Bonette. A presto per gli aggiornamenti!

mercoledì 16 luglio 2014

Eroi dei nostri tempi

Il nostro blog, lo sapete, da qualche mese sta seguendo le gesta “eroiche” di Darinka Montico, la splendida camminatrice solitaria che, partita da Palermo a marzo, sta risalendo la Penisola a piedi (e senza un centesimo in saccoccia). La protagonista di questa impresa epica, dopo aver attraversato la Sicilia da nord-ovest a sud e a est, ed aver spuntato un passaggio gratis a bordo di un traghetto di linea Messina - Reggio Calabria (il “Caronte” di turno, di fronte alla richiesta di uno strappo sull’altra riva senza nulla a pretendere, pare che abbia detto: «E chi sono io per interrompere il tuo viaggio…»), ha seguito tutta la statale ionica fino a Taranto; da qui è scesa poi nel Salento (Gallipoli, Leuca, Otranto ect…) per poi risalire verso Lecce, Brindisi e Ostuni. Ieri è arrivata a Bari. Totale chilometri fino ad ora: 1474.
Cosa l’attende ora? Difficile dirlo: come dice giustamente Darinka, “quando si fa un viaggio a piedi è sempre difficile fare programmi”. Da quello che ho capito, a Dari-Supertrump non dispiacerebbe dare un’occhiata a Matera (Patrimonio dell’Umanità) e poi prendere la via di Napoli. Dopo di allora è davvero impossibile immaginare l’itinerario che la porterà verso casa.
Questi quattro mesi di viaggio sono stati raccontati quasi quotidianamente da lei stessa nel suo blog, e sono un affresco pittoresco di un’umanità solidale e aperta verso il prossimo (anche se non manca qualche piccolo episodio spiacevole, come è normale che sia). Tanti chilometri, tanti luoghi visitati, centinaia di persone incontrate, storie ascoltate, e storie raccontate. Uno scambio continuo di esperienze nomadi, così come era un tempo, quando per le genti la strada era casa.
 
Nelle ultime settimane poi, il blog ha preso a seguire l’impresa “folle” di due giovani di Roma (Simona e Daniele), alle prese con il giro del mondo in bicicletta: “Dai sette colli ai sette passi”, questo il nome del progetto. E sì perché non ci si poteva limitare a fare un semplicissimo giro del mondo (quello lo fanno già in tanti…); qui i nostri eroi si cimenteranno in un’ avventura ai limiti delle possibilità umane: ovvero, il transito sui sette passi di montagna più alti del mondo (il più alto di tutti, nell’Himalaya, supera abbondantemente i 5000 metri). Fantastico, non trovate? 100 mila chilometri da percorrere, 50 paesi da attraversare, quattro anni in giro sulla bicicletta. Strepitoso: è talmente surreale come progetto, che verrebbe voglia di partire subito con loro.
Simona e Daniele sono partiti da Roma sabato 12 luglio: per l’occasione è stata organizzata una grande festa in loro onore in Piazza del Campidoglio, con la presenza del Sindaco Marino. Tantissima gente, appassionata e non della bicicletta, ha voluto così salutare la partenza di questi due pedalatori intrepidi. Il primo tratto di strada, fino a Formello, è stata una specie di passerella: poco più di 30 chilometri. Qui c’è stata un’altra cerimonia di saluto benaugurante. Dal giorno dopo in poi, Simona e Daniele hanno cominciato a fare sul serio. Le loro biciclette, le cui borse - anteriori e posteriori - pesano quasi 40 chilogrammi, sono transitate per Sutri, Viterbo, Bolsena (Lago), Acquapendente; ed ora sono in Val d’Orcia, nei pressi di Pienza. Vale a dire uno dei luoghi paesaggisticamente più belli del mondo. Nei prossimi giorni continueranno a seguire l’antica Via Francigena, superando Siena, Firenze e a seguire gli Appennini. Il loro primo grande appuntamento sarà con il Colle del la Bonette, nelle Alpi francesi. Sarà il primo dei passi montani da affrontare. Quale strada percorreranno per arrivarci? Non si sa. È probabile che decidano di passare dalla Liguria, ma non è ancora certo. Come che sia, è intenzione mia e dell’amico Lorenzo, intercettarli durante la loro risalita, e fare 3-4 giorni di strada insieme a loro. Se tutto va bene il ricongiungimento avverrà tra il 24 e il 25 luglio. Sarà nostra premura raccontarvi tutto: come al solito.

Un grande in bocca al lupo a tutti e tre.

Segui il blog di Darinka: http://www.walkaboutitalia.com/
Segui il blog di Simona e Daniele: http://www.becycling.net/it/

sabato 12 luglio 2014

Dai sette colli ai sette passi: pronti, via...!

Quattro anni in bicicletta, 100mila chilometri da percorrere, sei continenti da lasciarsi alle spalle, 50 paesi da attraversare. Ed il tutto passando dai sette passi di montagna più alti della Terra. IN BOCCA AL LUPO RAGAZZI 
Segui il viaggio su: http://www.becycling.net/it/

Simona e Daniele partono dal Campidoglio
Foto di Ivana Della Portella 


Foto di Ivana Della Portella
 

Foto di Ivana Della Portella


mercoledì 9 luglio 2014

Così si gioca…

Amici, avete visto ieri la semifinale dei Campionati Mondiali di calcio? Germania 7 - Brasile 1. Madre Santissima che paliatone...! («Lei conosce la parola “paliatone”, signor archivista capo?» - Totò e i Re di Roma, 1951). Mai visto niente del genere: lo spettacolo era talmente surreale, che non sembrava nemmeno vero. Al 29’ del primo tempo il risultato era già di 5 a 0. Impressionante…! E stiamo parlando del Brasile, mica della Paganese (con tutto il rispetto per la squadra campana).
E poi lo ammetto, mi sono divertito moltissimo a vedere quegli sbruffoni carioca scaraventati nella polvere…! Che se poi avessero preso la sesta stelletta loro, ci avrebbero staccato definitivamente nella classifica delle formazioni più blasonate. No, no meglio così: lasciamo le cose come stanno nell’attesa che anche il nostro calcio risorga: in fin dei conti solo noi possiamo battere i tedeschi. È così da sempre e così sarà per sempre.
E comunque che spettacolo questi tedeschi…, che precisione nei passaggi…, che superiorità fisico-atletica…, che freddezza sottoporta e per finire, che spietatezza nell’umiliare l’avversario! Sul 7-0 ancora attaccavano…! E sul goal della bandiera brasiliana…, il portiere tedesco Neuer si è pure incaxxato…! Ma lasciaglielo segnare sto gollettino…! E che cacchio…! Tutto ciò è la rappresentazione plastica di ciò che è l’essenza vera dell’universo GERMANIA. Splendido…! Ora voglio vedere se il nostro Renzi avrà il coraggio di andare a dire ancora qualcosa alla Merkel…!
Ad ogni modo chiunque giungerà in finale, che sia l’Argentina o l’Olanda, scenderà in campo con la strizza nelle mutande. La Germania ha già vinto il suo Mondiale. Complimenti: così si gioca…! BRAVI

P.S. Guardate la foto in allegato: secondo me, se Scolari invece di mandare in campo quel brocco cotonato, avesse mandato il nostro comico siciliano… be’ non dico che avrebbe vinto il Brasile…, questo no…, ma magari gli spettatori si sarebbero fatti due risate in più….

lunedì 7 luglio 2014

Questioni di cuore

“Bacio davanti all’Hotel De Ville”, Robert Doisneau - 1950
Nell’agosto di sette anni feci un lungo e faticoso trekking di una decina di giorni in Val Maira, partendo da Dronero ed arrivando a Preit, sul confine francese. Il gruppo era composto da quattordici camminatori, più la guida, provenienti da ogni zona d’Italia. Tra gli altri c’era anche un ragazzo di Milano sui trentacinque anni, capelli neri e mossi alla spalla, barba lunga ed incolta, volto scavato, occhi fiammeggianti ed aspetto da eremita. Durante la prima tappa del cammino, attraversando un bosco intricato, costui - che si chiamava Elia - adocchiò un ramo di una bella pianta di nocciolo e lo sradicò con vigore per farsene un bastone da passeggio. Qualcuno lo accusò di aver compiuto un atto vandalico, ma egli replicò acutamente - tra lo stupore di tutti, compresa la guida naturalistica - che l’albero grazie al suo intervento si sarebbe rinforzato. Il gruppo, che fin dall’inizio era stato colpito dall’aspetto non proprio ordinario del compagno, cominciò ad osservare con interesse quella figura ieratica da santone: quel bastone, leggermente ricurvo all’estremità e simile a un vincastro pastorale, associato a quel portamento da predicatore cenobita, faceva correre la mente ai filosofi stoici di epoca ellenistica, ma anche - e forse di più - ai personaggi biblici dell’Antico Testamento. E fu così, vedendolo discendere solitario da un monte brullo e riarso, nella luce dorata di un tramonto di mezz’estate, che qualcuno, folgorato da quell’immagine trascendentale, coniò per lui il soprannome di Profeta, provando il desiderio fortissimo di inginocchiarsi al suo cospetto. Elia Profeta, in realtà, nonostante il suo aspetto ascetico e il disinteresse quasi assoluto per i beni voluttuari della vita, era un ragazzo allegro, gioviale, gaudente al punto giusto ed amante delle belle donne. Un paio di mesi prima di quel viaggio era stato purtroppo lasciato dalla fidanzata per “divergenze caratteriali” e ora - come si suole dire - era “in caccia”. In quel gruppo di sciagurati camminatori però la donna più appetibile aveva non meno di cinquantacinque - sessant’anni, e dunque come alternativa il Profeta, e non solo lui, decise di dedicarsi assiduamente ai piaceri all’alcool.
Terminato il trekking rimasi in contatto con Elia, e di tanto in tanto ci si vide per viaggi ed escursioni. Nel dicembre dello stesso anno presi parte alla cosiddetta Festa degli Escursionisti, un viaggio di alcuni giorni che si tiene tutti gli anni e che vede la partecipazione di tutti i camminatori iscritti ad un’associazione di Milano. È un momento d’incontro mondano, molto atteso da tutti, che dà la possibilità di incontrare vecchi e nuovi amici e di riannodare storie passate con storie future. In quella circostanza, nell’attesa di imbarcarci sul pullman che ci avrebbe condotto in Valle Aurina, dalle parti di Brunico, venni colto da una folgorazione che mi provocò una feroce extrasistole: tra le tante persone che riuscivo a vedere su quel piazzale, intravidi una ragazza bionda, sconosciuta sui trent’anni che parlava con una vecchia conoscenza. Era di una bellezza radiosa e sorrideva dolcemente, come a miracolo mostrare - direbbe il Sommo Poeta - . La faccenda era oltremodo gradevole e sorprendente, anche perché in quei ritrovi solitamente era assai raro che si presentassero ragazze avvenenti. M’immaginai all’istante che da un momento all’altro sarebbe spuntato da dietro un angolo il fidanzato - sicuramente un professionista ricchissimo, di nobili ascendenze e di chiara fama, bello come un fotomodello di Armani - che baciandola voluttuosamente avrebbe demarcato il territorio. Cominciai a fare indagini alla Maigret per trovare conferme alle mie disperate previsioni, e con grande sorpresa venni a sapere dal sagace Faustino - uno scaltro traffichino sempre sul pezzo - che la ragazza in questione era clamorosamente single. […]. La ragazza, di nome Giulia, rivelò oltre all’aspetto esteriore assai piacevole, un carattere estremamente dolce, una spiccata propensione al sorriso, un eloquio semplice e cordiale che rispecchiava un animo sereno e gioioso […].
Con l’avvicinarsi del Capodanno decisi, insieme ad altri amici, di trascorrere alcuni giorni in un rifugio di montagna, sull’Appennino modenese, e colsi l’occasione per invitare anche Giulia. Venne anche Elia Profeta. E durante il viaggio i due si conobbero. Trascorremmo quattro giorni magnifici, tra sciate, ciaspolate, lunghe camminate tra i boschi, cenoni di Capodanno, balli. Al ritorno a Milano Giulia invitò tutti a trascorrere l’Epifania in Val d’Intelvi, dove aveva una casa. Decisi che non sarei andato […]. Faustino ed Elia erano indecisi. All’ultimo Faustino si tirò in dietro ed Elia rimase spiazzato. Aveva una gran voglia di rivedere Giulia, ma andare su da lei, da solo, non gli sembrava una grande idea. Tanto più che lei in quei giorni aveva Lorenzo con se. Decise infine di partire comunque, ma appoggiandosi ad una pensioncina estremamente economica per non turbare la loro privacy. Giulia si vide comparire a sorpresa il Profeta quella mattina e rimase senza parole. Non avrebbe mai immaginato di vederselo spuntare davanti all’improvviso, per giunta da solo. Da quell’istante iniziò a nascere qualcosa tra di loro. Col tempo i due cominciarono a frequentarsi, si conobbero e si piacquero reciprocamente. Elia trattava con l’affetto di un vero padre Lorenzo, e questi, dopo un iniziale e comprensibile diffidenza, accettò con entusiasmo l’ingresso in famiglia dell’amico della madre. Passarono pochi mesi ed Elia si trasferì a casa di Giulia, portandosi come bagaglio personale, oltre al suo vissuto, anche quel senso dell’ordine e della disciplina che avevano da sempre contraddistinto la sua esistenza. Cominciò col risistemare tutto l’ambiente domestico, partendo dai quadri e dalla biblioteca; per poi passare alla disposizione del mobilio e dei punti luce; ed infine mise mano ai colori dei muri e dei soffitti. Elia portò una ventata di metodico razionalismo in un ambiente in cui la figura dell’uomo mancava da qualche tempo. Giulia ne fu moderatamente felice.
Quel trasferimento comportò enormi sacrifici per Elia, non solo di natura economica, ma anche e soprattutto per quanto riguardava il raggiungimento del luogo di lavoro: mentre un tempo infatti ci metteva non più di dieci minuti di automobile, ora era costretto a prendere prima un autobus affollato, poi un treno - ghiacciato d’inverno e rovente d’estate (com’è giusto che sia…) - ed infine, qualora non riuscisse a spuntare un passaggio, cosa che gli accadeva assai di frequente, un lungo tratto di strada nazionale a piedi. Un periodo arrivò a prendere accordi con un tizio automunito che, in cambio di quel misero passaggio, pretendeva ogni giorno una bella brioche: alla crema, alla marmellata, al cioccolato…, ogni giorno una diversa. E guai se poi non era ben calda…! Fatto sta che quando tornava a casa a sera era stravolto e si addormentava quasi senza cenare. Ma tutto ciò lo sopportava per l’amore che provava per Giulia.
I primi tempi non furono facili: mentre Giulia e Lorenzo potevano svegliarsi comodamente intorno alle sette e trenta del mattino, Elia era obbligato, a causa della lontananza della scuola in cui insegnava, ad alzarsi ben prima dell’alba. Egli si levava dal letto e, accendendo quasi tutte le luci di casa, faceva un baccano tale da svegliare la compagna, suo figlio e pressoché tutto il vicinato. Giulia sopportò la faccenda senza dirgli niente per un paio di giorni nascondendo la testa sotto il cuscino. Una disgraziata mattina però la sveglia del Profeta fece cilecca ed egli si svegliò spaventosamente tardi. Cominciò a vestirsi concitatamente, sbattendo porte ed ante degli armadi, facendo cadere sedie, ed imprecando come un internato del manicomio navale di Cogoleto. Non aveva nemmeno il tempo di bere un caffè. Fece ricorso a tutta la sua sagace esperienza e pensò bene di travasare caffè-latte in una bottiglietta di plastica e portarsi dietro un pacchetto di biscotti: avrebbe fatto colazione per strada. Preparò tutto alla svelta e cominciò nervosamente una furiosa caccia al tesoro nella credenza e nei mobili della cucina. Alla fine esplose con violenza: «Giulia, dove diavolo hai messo l’imbuto?». Lo sentirono su, su fino al settimo piano, nell’appartamento del signor Bontempelli: l’urlo rimbombò nitidamente nella sua camera da letto, là dove c’era il modem wi-fi al quale la sera Giulia ed Elia si attaccavano per navigare gratuitamente in Internet. Giulia accorse spaventata: «Ma Ely, cos’hai? Cos’era quell’urlo disumano?». Elia aveva fatto un macello: in cucina c’erano tutte le ante ed i cassetti degli armadi aperti e per ogni dove c’erano sparpagliati piatti e bicchieri rotti, pentole, mestoli, paioli e passaverdure. «Ma si può sapere dove l’hai nascosto ‘sto maledetto imbuto?». «Imbuto? - fece Giulia - Veramente io un imbuto non ce l’ho mai avuto». «Come sarebbe a dire che non hai un imbuto? Come si fa a campare senza un imbuto? Certe cose non si possono sentire».
Elia era sul punto di scoppiare. Prese il bricco e cercò di versare il latte nella bottiglietta: una metà cadde a terra, l’altra gli finì sul maglioncino a rombi e sui pantaloni. Buttò il tutto nel lavandino e si precipitò verso la porta. Giulia lo seguì e dalla ringhiera delle scale gli gridò con una punta di risentimento: «Ely, io e te stasera dobbiamo fare due chiacchiere».
Quella sera i due ebbero un franco colloquio che fu la base sulla quale impostare una convivenza equilibrata e di reciproco rispetto. Dalla mattina dopo nessuno più sentì nemmeno un fiato dal Profeta. Aveva imparato a prepararsi per tempo gli abiti da indossare, nonché la colazione, la borsa di lavoro ed il resto. Il tutto nel più rigoroso silenzio.
I primi tempi poi, quando parlavo con Giulia, tra le tante cose belle del loro rapporto, mi raccontava anche di quanto russasse Elia e di quanta fatica lei facesse ad addormentasi. Conoscevo bene Elia, e sapevo di cosa parlasse. Purtroppo. Trascorso un annetto, seduti in un locale del centro, tornai sull’argomento con la mia amica: «Allora Giulia, che mi racconti, ronfa ancora Elia?». E lei: «Mizzega se russa. Come un trattore…! Però alla fine devo dirti la verità: mi sono abituata. E anzi, ti dirò di più: quando vado a letto da sola e quindi non lo sento russare…, be’ ti sembrerà strano…, ma non riesco ad addormentarmi».
Non ho mai udito dichiarazione d’amore più poetica di quella.