Prova
“Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)
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giovedì 26 aprile 2012
Voglio vivere così - Sulle orme di Francesco
Sulle orme di Francesco è un diario di viaggio, un insieme di ritratti umani e di pensieri, pennellate di luoghi, una melodia di nomi geografici, noti e meno noti, assaporati con il gusto lento del camminare. Viaggiare a piedi è un modo di muoversi camminando in simbiosi con il territorio, con le diverse ore del giorno e con il cielo che muta con le condizioni atmosferiche. Comincia così il lungo articolo-intervista di Geraldine Maeye, di "Voglio vivere così".(leggi la recensione completa)
martedì 10 aprile 2012
Triangolo Lariano: da Brunate a Bellagio
Partiti di buon mattino (come si suol dire) abbiamo raggiunto Como da direzioni diverse: Lorenzo dalla ridente Usmate, Salvo da Morbegno, Alessandra dalla frontaliera Menaggio ed io dall'operosa Treviglio. Piovigginava appena ho aperto la finestra e fortissima è stata la tentazione di scrivere all'Ale: "Oh Ale, sto male..., ho la febbre. Mi dispiace". Poi però ha prevalso lo spirito di corpo. Ad ogni modo, ben equipaggiati ci siamo preparati all'impresa. Nell'attesa che Lorenzo ci raggiungesse sosta caffè presso un bar sul lungolago. Il nostro amico arriva fradicio, ma felice. Cerca disperatamente una copia della Gazzetta dello Sport nel locale, ma purtroppo vi trova solo orrendi giornalacci locali. Poco prima di levarci dai tavolivi dal cielo decidono di graziarci e chiudono i rubinetti. Funicolare fin su a Brunate (700 mt.) e via. Paesaggio immerso nella bruma caliginosa del mattino, sguardo chiuso da biancore e fitto d'alberi. Un tale incontrato sul sentiero ci parla di inflorescenze (narcisi in particolari) e non ci lascia andar via. Bisogna abbatterlo a roncolate per ripartire. Pranzo veloce sferzati dal vento e in breve siamo al Rifugio Riella, abbarbicato su una splendida terrazza che guarda verso il lago. Un secondo dopo si scatena la tempesta, con tanto di grandine. Il rifugio non è molto affollato..., anzi a dirla tutta siamo gli unici clienti. E fa un freddo becco. Ci inciuchiamo per bene di vino forte accompagnato da salame nostrano. Per ingannare l'attesa partitone a scopone scientifico di altissimo livello. Prevaliamo Salvo ed io grazie ad una strategia attenta e pronta a colpire l'ingenuità degli avversari: "Prendi su il sette bello Lore..., guardalo là com'è bel pronto da essere tirato su". Lore abbocca e noi ci facciamo una "napola" quasi completa. A cena brasato e cinghiale, con l'immancabile polenta concia. L'Ale si sorbisce anche la zuppa di farro, ma dall'espressione che fa non sembra molto soddisfatta. Al mattino, dopo un'abbondante colazione (l'Ale si fa portare anche una gustosissima fetta di torta alle mele cotogne) si parte intorno alle nove. Fuori è tutto ghiacciato dato che la temperatura è scesa abbondantemente sottozero durante la notte. Il cielo è finalmente sereno e lo sguardo spazzia sui due rami del lago di Como, sulle Grigne, il Legnone e il Monte Rosa. Alla Colma di Sormano recuperiamo Robertino. Si sale ancora lungo la dorsale del Monte San Primo (1.686 metri). Un cartello dice che ad un'ora di cammino ci sono le sorgenti del fiume Lambro. Sarebbe bello vedere quassù che aspetto ha quell'acqua che, giunta in pianura, diventa la più infame della terra. Proposito per l'anno prossimo: vedere tutte le sorgenti dei fiumi di Lombardia...! Senza le ampolle druide però..., siamo seri. Nel primo pomeriggio lunga discesa pietrosa verso la punta del triangolo lariano. Bellagio ci accoglie con la sua confusione vacanziera.... e non è una bella sensazione per chi viene giù dalla quiete dei monti. Al termine di questi due giorni di intenso e duro cammino abbiamo percorso quasi trent'otto chilometri, raggiungendo l'altitudine di quasi 1.800 mt. Il cammino effettivo è stato di undici ore, a passo regolare, nè troppo lento nè troppo veloce. C'è soddisfazione, anche perché la bellezza che ci circonda, nonostante la confusione, ci riempie di meraviglia. Traghettiamo su Varenna. Le acque del lago sono agitate, sembra di essere in mezzo al mare. Rapido aperitivo (il treno tra breve arriverà) e poi ognuno per la sua strada, senza prima aver programmato le prossime avventure: vale a dire la consueta "biciclettata di metà primavera" a Rimini (date più probabili 8-9-10 giugno) e le ferie d'agosto. E' in fase di studio un viaggio in bici da Firenze a Gaeta. A breve maggiori dettagli. Namastè.
giovedì 5 aprile 2012
Sulle orme di Francesco - Il Reporter
Sulle orme di Francesco e altre storie di viaggio
di Anna Maria Colonna
"Luigi d’Ausilio non ha mai smesso di viaggiare. Prendere la penna in mano e raccontare le sue esperienze significa tornare ad essere sedentario. Anche se per poco. Tredici emozionanti testimonianze raccolte in un libro".
(leggi la recensione completa)
di Anna Maria Colonna
"Luigi d’Ausilio non ha mai smesso di viaggiare. Prendere la penna in mano e raccontare le sue esperienze significa tornare ad essere sedentario. Anche se per poco. Tredici emozionanti testimonianze raccolte in un libro".
(leggi la recensione completa)
mercoledì 4 aprile 2012
Milano come Venezia
Venerdì scorso Lorenzo ed io siamo andati alla Clinica Buzzi per fare visita a Silvietta e al Profeta e alla loro bella Gaia, nata il giorno prima. Dalla stazione di Porta Garibaldi abbiamo fatto il tratto di strada a piedi fino all’ospedale. Circa due chilometri. Prima che Lorenzo mi raggiungesse ho chiesto ad un paio di persone indicazioni stradali: tutte mi hanno detto che non era materialmente possibile recarsi colà a piedi. Primo perché c’erano i lavori stradali; secondo perché era umanamente troppo lontano. Due chilometriiii. Ormai non siamo più abituati a camminare, né tantomeno a stimare le distanze. Due chilometri in fondo corrispondono a meno di mezz’ora di strada. Venti minuti a passo svelto. Ad ogni modo la passeggiata, così come paventato, ci ha mostrato un panorama a dir poco raccapricciante. La foto racconta molto più di quello che si possa scrivere. Dopo la visita Lorenzo ed io ci siamo concessi un aperitivo in Corso Como, a detta di molti, uno dei luoghi più suggestivi di Milano. Sono rimasto molto perplesso guardando la prospettiva che si apriva in direzione Garibaldi: una selva di torri, grattacieli e altre costruzioni stanno letteralmente chiudendo l’intero spazio visivo. Si avverte come un senso di claustrofobia molto forte. Quasi da voltastomaco. Ma io probabilmente non faccio testo essendo un antimodernista da strapazzo. Ad ogni modo, tornato a casa, ho fatto un paio di ricerche su alcuni siti ed ho scoperto, o meglio ho riscoperto, che Milano un tempo (almeno fino al primi anni ’20) era una città assai fascinosa, con una viabilità tutta incentrata sull’elemento acquatico.Vi erano i navigli che conosciamo oggi (Grande, Pavese, Martesana), ma anche una cerchia interna che giungeva a pochi passi dal Duomo. E poi, oltre alla Darsena, c’erano dei laghi che fungevano da porti (Laghetto di Santo Stefano – zona Università Statale; Laghetto di San Marco – zona Brera). Sotto il dominio austriaco dal Lago Maggiore, passando per Milano, si poteva giungere fino a Venezia. Se tornassimo per incanto a quei tempi probabilmente il raffronto più prossimo che ci verrebbe da fare sarebbe proprio con Venezia. E sicuramente non riconosceremmo quasi per nulla la fisionomia della città attuale. Nelle vecchie foto bianco e nero d’archivio vi sono raffigurati pescatori, bagnanti, barche di gitanti, nuotatori, canoisti. C’è un’atmosfera incantata vagamente da belle époque, come se le alzaie facessero un po' il verso ai grandi fiumi europei. Scrive Gianluca Macis del blog “Vecchia Milano.wordpress.com”: «I falchett come gli apaches, le lavandaie al posto delle sartine, i trani (le osterie, così chiamate dal pesante rosso di Trani che vi si mesceva e tranat era l'ubriacone; servivano anche piatti pronti, busecca, trippa, coi fagioli o le cotenne, cassoeula, bottaggio di verze, o fritto di rane), invece dei bistrot. Per decenni porta Cicca o porta Cinesa restò l'epitome della Milano popolaresca e malandrina, coi suoi personaggi coloriti, le canzonacce sguaiate o stringicuore, le cappellette illuminate su ogni cantonata, gli artigiani e gli artisti dei vicoli e delle corti». Ecco, Milano era questo prima che l'asfalto ricoprisse tutto, interrando ciò che era stata la sua anima dall'epoca dei romani. Ed ora quest'anima non ce l'ha più: e tutto ciò in virtù del progresso e a favore della viabilità automobilistica. L'ultimo carico su imbarcazione di cui si ha notizia risale al 1978. Era una barca che trasportava sabbia da costruzione sul Naviglio Pavese. Abbiamo trasformato una città concepita a misura d’uomo, bella e poetica, in una megalopoli chiassosa, asfissiata, brutta e invivibile. Concepita solo per il lavoro. E di fatti quando non si lavora i milanesi l'abbandonano quasi di corsa. Auguri.
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