Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 7 luglio 2014

Questioni di cuore

“Bacio davanti all’Hotel De Ville”, Robert Doisneau - 1950
Nell’agosto di sette anni feci un lungo e faticoso trekking di una decina di giorni in Val Maira, partendo da Dronero ed arrivando a Preit, sul confine francese. Il gruppo era composto da quattordici camminatori, più la guida, provenienti da ogni zona d’Italia. Tra gli altri c’era anche un ragazzo di Milano sui trentacinque anni, capelli neri e mossi alla spalla, barba lunga ed incolta, volto scavato, occhi fiammeggianti ed aspetto da eremita. Durante la prima tappa del cammino, attraversando un bosco intricato, costui - che si chiamava Elia - adocchiò un ramo di una bella pianta di nocciolo e lo sradicò con vigore per farsene un bastone da passeggio. Qualcuno lo accusò di aver compiuto un atto vandalico, ma egli replicò acutamente - tra lo stupore di tutti, compresa la guida naturalistica - che l’albero grazie al suo intervento si sarebbe rinforzato. Il gruppo, che fin dall’inizio era stato colpito dall’aspetto non proprio ordinario del compagno, cominciò ad osservare con interesse quella figura ieratica da santone: quel bastone, leggermente ricurvo all’estremità e simile a un vincastro pastorale, associato a quel portamento da predicatore cenobita, faceva correre la mente ai filosofi stoici di epoca ellenistica, ma anche - e forse di più - ai personaggi biblici dell’Antico Testamento. E fu così, vedendolo discendere solitario da un monte brullo e riarso, nella luce dorata di un tramonto di mezz’estate, che qualcuno, folgorato da quell’immagine trascendentale, coniò per lui il soprannome di Profeta, provando il desiderio fortissimo di inginocchiarsi al suo cospetto. Elia Profeta, in realtà, nonostante il suo aspetto ascetico e il disinteresse quasi assoluto per i beni voluttuari della vita, era un ragazzo allegro, gioviale, gaudente al punto giusto ed amante delle belle donne. Un paio di mesi prima di quel viaggio era stato purtroppo lasciato dalla fidanzata per “divergenze caratteriali” e ora - come si suole dire - era “in caccia”. In quel gruppo di sciagurati camminatori però la donna più appetibile aveva non meno di cinquantacinque - sessant’anni, e dunque come alternativa il Profeta, e non solo lui, decise di dedicarsi assiduamente ai piaceri all’alcool.
Terminato il trekking rimasi in contatto con Elia, e di tanto in tanto ci si vide per viaggi ed escursioni. Nel dicembre dello stesso anno presi parte alla cosiddetta Festa degli Escursionisti, un viaggio di alcuni giorni che si tiene tutti gli anni e che vede la partecipazione di tutti i camminatori iscritti ad un’associazione di Milano. È un momento d’incontro mondano, molto atteso da tutti, che dà la possibilità di incontrare vecchi e nuovi amici e di riannodare storie passate con storie future. In quella circostanza, nell’attesa di imbarcarci sul pullman che ci avrebbe condotto in Valle Aurina, dalle parti di Brunico, venni colto da una folgorazione che mi provocò una feroce extrasistole: tra le tante persone che riuscivo a vedere su quel piazzale, intravidi una ragazza bionda, sconosciuta sui trent’anni che parlava con una vecchia conoscenza. Era di una bellezza radiosa e sorrideva dolcemente, come a miracolo mostrare - direbbe il Sommo Poeta - . La faccenda era oltremodo gradevole e sorprendente, anche perché in quei ritrovi solitamente era assai raro che si presentassero ragazze avvenenti. M’immaginai all’istante che da un momento all’altro sarebbe spuntato da dietro un angolo il fidanzato - sicuramente un professionista ricchissimo, di nobili ascendenze e di chiara fama, bello come un fotomodello di Armani - che baciandola voluttuosamente avrebbe demarcato il territorio. Cominciai a fare indagini alla Maigret per trovare conferme alle mie disperate previsioni, e con grande sorpresa venni a sapere dal sagace Faustino - uno scaltro traffichino sempre sul pezzo - che la ragazza in questione era clamorosamente single. […]. La ragazza, di nome Giulia, rivelò oltre all’aspetto esteriore assai piacevole, un carattere estremamente dolce, una spiccata propensione al sorriso, un eloquio semplice e cordiale che rispecchiava un animo sereno e gioioso […].
Con l’avvicinarsi del Capodanno decisi, insieme ad altri amici, di trascorrere alcuni giorni in un rifugio di montagna, sull’Appennino modenese, e colsi l’occasione per invitare anche Giulia. Venne anche Elia Profeta. E durante il viaggio i due si conobbero. Trascorremmo quattro giorni magnifici, tra sciate, ciaspolate, lunghe camminate tra i boschi, cenoni di Capodanno, balli. Al ritorno a Milano Giulia invitò tutti a trascorrere l’Epifania in Val d’Intelvi, dove aveva una casa. Decisi che non sarei andato […]. Faustino ed Elia erano indecisi. All’ultimo Faustino si tirò in dietro ed Elia rimase spiazzato. Aveva una gran voglia di rivedere Giulia, ma andare su da lei, da solo, non gli sembrava una grande idea. Tanto più che lei in quei giorni aveva Lorenzo con se. Decise infine di partire comunque, ma appoggiandosi ad una pensioncina estremamente economica per non turbare la loro privacy. Giulia si vide comparire a sorpresa il Profeta quella mattina e rimase senza parole. Non avrebbe mai immaginato di vederselo spuntare davanti all’improvviso, per giunta da solo. Da quell’istante iniziò a nascere qualcosa tra di loro. Col tempo i due cominciarono a frequentarsi, si conobbero e si piacquero reciprocamente. Elia trattava con l’affetto di un vero padre Lorenzo, e questi, dopo un iniziale e comprensibile diffidenza, accettò con entusiasmo l’ingresso in famiglia dell’amico della madre. Passarono pochi mesi ed Elia si trasferì a casa di Giulia, portandosi come bagaglio personale, oltre al suo vissuto, anche quel senso dell’ordine e della disciplina che avevano da sempre contraddistinto la sua esistenza. Cominciò col risistemare tutto l’ambiente domestico, partendo dai quadri e dalla biblioteca; per poi passare alla disposizione del mobilio e dei punti luce; ed infine mise mano ai colori dei muri e dei soffitti. Elia portò una ventata di metodico razionalismo in un ambiente in cui la figura dell’uomo mancava da qualche tempo. Giulia ne fu moderatamente felice.
Quel trasferimento comportò enormi sacrifici per Elia, non solo di natura economica, ma anche e soprattutto per quanto riguardava il raggiungimento del luogo di lavoro: mentre un tempo infatti ci metteva non più di dieci minuti di automobile, ora era costretto a prendere prima un autobus affollato, poi un treno - ghiacciato d’inverno e rovente d’estate (com’è giusto che sia…) - ed infine, qualora non riuscisse a spuntare un passaggio, cosa che gli accadeva assai di frequente, un lungo tratto di strada nazionale a piedi. Un periodo arrivò a prendere accordi con un tizio automunito che, in cambio di quel misero passaggio, pretendeva ogni giorno una bella brioche: alla crema, alla marmellata, al cioccolato…, ogni giorno una diversa. E guai se poi non era ben calda…! Fatto sta che quando tornava a casa a sera era stravolto e si addormentava quasi senza cenare. Ma tutto ciò lo sopportava per l’amore che provava per Giulia.
I primi tempi non furono facili: mentre Giulia e Lorenzo potevano svegliarsi comodamente intorno alle sette e trenta del mattino, Elia era obbligato, a causa della lontananza della scuola in cui insegnava, ad alzarsi ben prima dell’alba. Egli si levava dal letto e, accendendo quasi tutte le luci di casa, faceva un baccano tale da svegliare la compagna, suo figlio e pressoché tutto il vicinato. Giulia sopportò la faccenda senza dirgli niente per un paio di giorni nascondendo la testa sotto il cuscino. Una disgraziata mattina però la sveglia del Profeta fece cilecca ed egli si svegliò spaventosamente tardi. Cominciò a vestirsi concitatamente, sbattendo porte ed ante degli armadi, facendo cadere sedie, ed imprecando come un internato del manicomio navale di Cogoleto. Non aveva nemmeno il tempo di bere un caffè. Fece ricorso a tutta la sua sagace esperienza e pensò bene di travasare caffè-latte in una bottiglietta di plastica e portarsi dietro un pacchetto di biscotti: avrebbe fatto colazione per strada. Preparò tutto alla svelta e cominciò nervosamente una furiosa caccia al tesoro nella credenza e nei mobili della cucina. Alla fine esplose con violenza: «Giulia, dove diavolo hai messo l’imbuto?». Lo sentirono su, su fino al settimo piano, nell’appartamento del signor Bontempelli: l’urlo rimbombò nitidamente nella sua camera da letto, là dove c’era il modem wi-fi al quale la sera Giulia ed Elia si attaccavano per navigare gratuitamente in Internet. Giulia accorse spaventata: «Ma Ely, cos’hai? Cos’era quell’urlo disumano?». Elia aveva fatto un macello: in cucina c’erano tutte le ante ed i cassetti degli armadi aperti e per ogni dove c’erano sparpagliati piatti e bicchieri rotti, pentole, mestoli, paioli e passaverdure. «Ma si può sapere dove l’hai nascosto ‘sto maledetto imbuto?». «Imbuto? - fece Giulia - Veramente io un imbuto non ce l’ho mai avuto». «Come sarebbe a dire che non hai un imbuto? Come si fa a campare senza un imbuto? Certe cose non si possono sentire».
Elia era sul punto di scoppiare. Prese il bricco e cercò di versare il latte nella bottiglietta: una metà cadde a terra, l’altra gli finì sul maglioncino a rombi e sui pantaloni. Buttò il tutto nel lavandino e si precipitò verso la porta. Giulia lo seguì e dalla ringhiera delle scale gli gridò con una punta di risentimento: «Ely, io e te stasera dobbiamo fare due chiacchiere».
Quella sera i due ebbero un franco colloquio che fu la base sulla quale impostare una convivenza equilibrata e di reciproco rispetto. Dalla mattina dopo nessuno più sentì nemmeno un fiato dal Profeta. Aveva imparato a prepararsi per tempo gli abiti da indossare, nonché la colazione, la borsa di lavoro ed il resto. Il tutto nel più rigoroso silenzio.
I primi tempi poi, quando parlavo con Giulia, tra le tante cose belle del loro rapporto, mi raccontava anche di quanto russasse Elia e di quanta fatica lei facesse ad addormentasi. Conoscevo bene Elia, e sapevo di cosa parlasse. Purtroppo. Trascorso un annetto, seduti in un locale del centro, tornai sull’argomento con la mia amica: «Allora Giulia, che mi racconti, ronfa ancora Elia?». E lei: «Mizzega se russa. Come un trattore…! Però alla fine devo dirti la verità: mi sono abituata. E anzi, ti dirò di più: quando vado a letto da sola e quindi non lo sento russare…, be’ ti sembrerà strano…, ma non riesco ad addormentarmi».
Non ho mai udito dichiarazione d’amore più poetica di quella.

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