Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 15 novembre 2013

Reddito di cittadinanza

Molti dei mali delle attuali società capitalistiche e comuniste scompariranno con l’introduzione di un reddito minimo annuo garantito. Il nocciolo di quest’idea è che tutte le persone, che lavorino o meno, devono godere dell’incondizionato diritto a non morire di fame e ad avere un ricovero. Non dovranno ricevere più di quanto sia indispensabile per mantenersi, ma non dovranno neppure ricevere di meno. È un diritto che risponde a una concezione nuova oggi, benché si tratti di una antichissima norma di cui si è fatto paladino il cristianesimo, e che era messa in pratica in molte tribù «primitive», quello secondo cui gli esseri umani hanno un «incondizionato diritto a vivere, indipendentemente dal fatto che compiano o meno il loro “dovere verso la società”». È un diritto che concediamo ai nostri animali domestici, non però ai nostri simili. Una prescrizione del genere avrà per effetto di dilatare enormemente l’ambito della libertà personale; nessuno che sia economicamente dipendente da altri (da un genitore, da un marito, da un capo) sarebbe più sottoposto al ricatto di venir lasciato morire di fame; individui dotati, che vogliono cominciare una nuova vita, potrebbero farlo a patto che siano disposti a sobbarcarsi al sacrificio di vivere, per un certo periodo, in relativa povertà. I moderni stati assistenziali hanno quasi accettato questo principio: dove quel “quasi” significa “non effettivamente” : infatti, una burocrazia continua ad “amministrare” la popolazione, controllandola e umiliandola. Invece, per avere il reddito minimo garantito non occorrerebbe che nessuno fornisca la “prova” di trovarsi in condizioni di indigenza per ottenere una semplice stanza e un po’ di cibo; sicché, non sarebbe necessaria alcuna burocrazia che amministri un programma assistenziale con gli sprechi e le violazioni della dignità umana che gli ineriscono.
(Erich Fromm, Avere o essere 1976).

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