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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 18 novembre 2013

La festa del rugby

Anni fa, quando ha cominciato ad affacciarsi sulla scena mediatica il fenomeno “rugby”, rimasi piuttosto scettico e diffidente: da buon amante del calcio non mi entusiasmava questo gioco apparentemente confuso, fatto di mischie furibonde ed energumeni che correvano dietro una palla incomprensibilmente ovale, anziché sferica. Le regole tra l’altro mi sembravano talmente complicate che mi era assai difficile, se non impossibile, seguire il filo logico della partita. Ed anche la terminologia usata dai telecronisti (ruck, touche, drop, up and under, grubber etc…) aveva un che di misterioso e insondabile. Per non parlare delle penalità (assolutamente inintelligibile) segnalate sovente dagli arbitri durante le azioni, e tali che mi facevano sbottare a ripetizione: “E adesso cosa caspita ha fischiato quel citrullo…?”. Col tempo tuttavia, ed anche grazie all’opera di convincimento messa in atto da mio padre, ho cominciato ad appassionarmi a questa disciplina. Ed insieme al piacere che mano a mano cresceva, anche l’arcano che circondava questo universo un tempo sconosciuto, ha cominciato a dipanarsi. Ora non posso certo dire di conoscere approfonditamente tutte le regole che sovrintendono a questo gioco (anche perché sono veramente tantissime e difficilissime da spiegare), ma quando guardo una partita posso apprezzarla sotto ogni punto di vista.
Tempo fa un giornalista americano coniò un aforisma per definire il rugby: “Il rugby è un gioco bestiale giocato da gentiluomini”. E a tale definizione aggiunse anche altre due pensieri paralleli: “Il calcio è uno sport da gentiluomini giocato da bestie; il football americano è uno sport bestiale giocato da bestie”. In effetti, guardando una partita di rugby, la prima cosa che salta all’occhio è la violenza: si tratta a tutti gli effetti di una battaglia giocata corpo a corpo tra uomini grandi, grossi e “cattivi”. Una sorta di arena moderna, in cui i novelli gladiatori si inseguono, si scontrano, si afferrano e si trascinano a terra, nell’intento di impossessarsi della palla e di portarla oltre la linea di meta degli avversari. Detta così sembra davvero una guerra senza regole. E invece le regole, come detto, ci sono e sono rispettate alla lettera. E sì perché, a differenza di ciò che avviene sui campi di calcio, qui le regole e l’arbitro sono sacri, ed anche quando non si è d’accordo con una decisione, la si rispetta senza fiatare. Nel mondo del rugby, proprio perché l’uso della forza (e della violenza) fisica è l’elemento predominante, è assolutamente indispensabile rispettare le regole. Diversamente sì sarebbe una guerra a tutti gli effetti. Ecco perché i giocatori, prima ancora di essere buoni atleti, devono essere gentiluomini. Sabato scorso ero di servizio con la C.R.I. allo stadio “Zini” di Cremona per il cosiddetto “Test match” Italia - Isole Fiji. Se dovessi dare una definizione a ciò che ho visto, l’espressione più veritiera che mi verrebbe in mente sarebbe questa: “Una grande festa di popolo”. Chi è stato negli stadi di calcio conosce l’atmosfera che si respira sulle tribune e ancor più sulle curve: un vero inferno fatto di urli, strepiti, insulti agli avversari, minacce, violenza fine a se stessa. Il che va anche bene, per carità: in un mondo dove la violenza - che pure fa parte dell’indole umana - è stata dichiarata fuorilegge a prescindere, questo può essere l’ambiente adatto per fungere da valvola di sfogo. Sempre che la violenza rimanga contenuta entro certi limiti. Di certo tuttavia lo stadio del calcio non è luogo tra i più idonei per passare un sereno pomeriggio con prole al seguito. Ecco, lo stadio del rugby invece, è tutt’altra cosa. Gli amanti di questo sport, al pari dei loro beniamini in campo, sono per natura gentiluomini portati al rispetto delle regole. Il che non vuol dire che il tifo sia meno sentito ed intenso rispetto ad altri sport: prima dell’inizio della partita, ad esempio, c’è stata l’esecuzione dell’inno nazionale di entrambe le squadre. Quello italiano è stato cantato in coro da tutti e 14mila gli spettatori… ed è stato un momento estremamente toccante. Anche se, a dirla tutta, quando si è arrivati al verso “siam pronti alla morte” il coro si è un po’ smorzato. D’altra parte si sa, siam pur sempre italiani: noi al massimo siamo per il “stringiamoci a coorte”, ma “pronti alla morte” direi di no. Quando è stata la volta invece dell’inno fijiano, si è fatto un silenzio totale, quasi religioso: segno di un rispetto completo dell’avversario. Il che può essere anche comportamento di maniera, non lo escludo - l’emulazione è pur sempre una dinamica da non sottovalutare - , ma è comunque estremamente apprezzabile in un momento storico come questo. Per la cronaca, venerdì scorso a “San Siro” si è svolta la partita amichevole di calcio Italia - Germania. Quando la banda ha suonato l’inno tedesco, dagli spalti sono partiti fischi e schiamazzi che hanno disonorato in maniera vergognosa l’intera tifoseria italiana.
Ad ogni modo, la partita di Cremona si è svolta in un clima assai festoso e sugli spalti, accompagnati dai genitori, c’erano tantissimi bambini. Il che la dice lunga sull’ambiente del rugby. L’Italia ha vinto 37 a 31, ed è stato bello vedere Parisse, Castrogiovanni, Orchera, Mauro Bergamasco e tutti gli altri sfilare sotto le tribune per il saluto vittorioso. Per tutta la partita è stata accanto a me una collega che nulla sapeva del rugby. Per capirne qualcosa chiedeva un po’ a tutti, e là dove le spiegazioni non la convincevano, si rivolgeva ad altro interlocutore. A metà partita era già diventata una delle tifose più accese che stadio ricordi. A lungo mi sono finto un perfetto incompetente per non essere disturbato. Tanto che, ad un certo punto, costei pensava anche di potermi dare spiegazioni sulle varie azioni di gioco. Mi è bastato una banalissima domanda per metterla a posto: “Ma scusa, se il gol (sic) è in mezzo ai pali, perché tirano la palla a posta fuori dal campo?”. Il che, per un esperto sarebbe assai semplice da capire (si tratta infatti di un semplice calcio di spostamento). È partita in tromba dicendo “è perché…, è perché così… Boh: non lo so”. Ecco, appunto: il rugby è una cosa seria…!

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