Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

lunedì 9 settembre 2013

Marche & Abruzzo Bike Tour - 930 km a spasso per il Centro Italia - Sesta parte

Ascoli Piceno, Porta Solestà
Giovedì 15 agosto ci svegliamo sotto un cielo plumbeo e la temperatura è tutt’altro che estiva. La pertur-bazione sembra concentrarsi verso sud, là dove siamo diretti noi. E la cosa non è affatto rassicurante. Dopo la consueta, abbondante colazione, raccogliamo le nostre mercanzie sparse tra camere e stendini vari e ci avviamo nella speranza che il meteo migliori. Nella concitazione dei momenti che precedono la prima pedalata, dimentico la mantellina antipioggia da qualche parte. E per fortuna che nel corso della giornata non ne avrò bisogno. Scendendo lungo la Provinciale 78, superiamo San Ginesio, con la sua “Sagra del polentone al cinghiale”, Santa Maria di Pieca e la zona artigianale di Callarella. Se non avessimo davanti a noi i Sibillini, sarebbe semplicemente una lunga e insignificante striscia d’asfalto da scrollarci via il prima possibile. Dopo poco più di un’ora di corsa entriamo a Sarnano. La cittadina è assediata da orde di turisti in cerca di un modo “intelligente” di passare Ferragosto. La parte vecchia della città, vale a dire il borgo medievale che si eleva fino a 539 metri di altezza, è intasato all’inverosimile e, orrore a dirsi, in questa calca disumana si muovono anche diverse automobili in cerca di parcheggio. Su stradine acciottolare e con pendenze agghiaccianti: basterebbe un errore di manovra per fare una strage. Guardando questa scena raggiungo il colmo della rabbia: com’è possibile che le amministrazioni locali permettano un tale scempio? È tanto difficile bloccare il transito delle vetture giù sulla strada e regalare, almeno per oggi, il centro ai pedoni?
Come Dio vuole, seguendo una serie di vie concentriche, scalette e vicoli molto stretti, riusciamo a guadagnare Piazza Alta, ovvero la parte sommitale del borgo, là dove si trovano la Chiesa di Santa Maria di Piazza, il Palazzo del Popolo, il Palazzo del Podestà e il Palazzo dei Priori. Tutti edifici di epoca medievale. Pare che anche San Francesco, durante i suoi tanti pellegrinaggi, sia stato da queste parti. Ed infatti c’è anche una chiesa dedicata al lui. Dal belvedere il Parco dei Sibillini in tutta la sua selvaggia bellezza. Prima di ripartire una foto ricordo, assai “originale”. Sul lato lungo della piazza qualcuno ha installato una gogna per il piacere dei turisti. In un attimo facciamo accomodare Alessandra in posizione (d’altra parte è il minimo che si potesse farle data la “spietatezza” dimostrata con i suoi dipendenti comunali in questi giorni di ferie…) e ci posizioniamo tutti intorno per lo scatto. Gentilmente offerto da un passante. Dopo di che si mette in scena la solita becera finzione di andar via lasciando la nostra amica prigioniera. I presenti ridono, ma senza troppo entusiasmo. D’altra parte era tutto già così scontato…! Si riparte, ancora una quindicina di chilometri lungo la Provinciale 237, “Picena”. Il paesaggio è mutato, siamo a ridosso dei Sibillini e all’improvviso ci ritroviamo immersi in un ambiente boscoso, dove a tratti non filtra la luce solare. L’umidità è altissima, a causa delle piogge di ieri, e il respiro si fa affannoso. In salita però tutti spingono con forza, ansimando. Simona è l’unica che sembra non soffrire: le sue gambe mulinano un rapporto lungo e le spalle robuste accompagnano lo sforzo con cadenze ritmate. Alle volte parte e se ne va senza aspettare nessuno. Altre volte, inopinatamente, rallenta di botto, come se la sua mente venisse rapita da un pensiero improvviso. E chi le sta dietro, soprattutto in salita, è costretto ad urlarle: “Non fermarti…, non fermarti…”. Alessandra invece, non appena la strada s’impenna, resta attardata. E non perché non regga il ritmo, ma perché preferisce salire col suo passo, senza forzare troppo sulle ginocchia. Anche Dominique si stacca: forse comincia a sentire la fatica dei giorni e dei chilometri. O forse è solo perché si perde dietro alle melodie che la sua testolina da musicista sempre in movimento partorisce. Lo si capisce ascoltando i motivetti che fischietta di tanto in tanto. Alfio invece è una macchina, un vero e proprio crono-man: mettersi sulla sua ruota è garanzia di andatura costante e sostenuta, senza cedimenti o accelerazioni improvvise. Ed io, come affronto la strada che sale? Per me la salita, a differenza di Alessandra ad esempio, è fatica e basta. E non riesco a godermi il paesaggio se non dal momento che scollino. Ed è per questo che cerco di andare forte, il più forte possibile: perché finisca il prima possibile. E così spesso mi trovo a pedalare in solitaria, a scolare fatica giù dal viso come una fontana aperta. E solo al termine dello sforzo mi fermo ad attendere i compagni. Come su al Valico Rustici (630 m s.l.m).
Ad Amandola, poco più giù ci fermiamo per la sosta pranzo. Il paesino non ci sembra granché, anche perché, visto dalla strada maestra, ci perdiamo la piazza principale che sta ad una trentina di metri. Ed infatti, una volta ripartiti, ce la troveremo improvvisamente davanti in tutta la sua bellezza. Si prosegue sempre lungo la Provinciale “Picena” e si supera di slancio Comunanza, “Il Paese della Longevità”, come recita il cartello stradale. Pare infatti che da queste parti vivano tre supercentenarie ben in salute. Da qui abbandoniamo la provinciale e puntiamo verso Force. C’è da superare oltre 250 metri di dislivello, ma a questo punto le gambe vanno da sole. Ad una svolta salta fuori da una recinzione un enorme pastore maremmano incazzato come una jena. Mi punta e si scaglia contro di me abbaiando e mostrando i canini. Alfio, che sta ad una decina di metri dalla mia ruota posteriore, mi da subito per spacciato. Ma io ho un asso nella manica: come fece mio nonno in una situazione simile - ricordo ben conservato tra le gesta eroiche di famiglia - , caccio un urlo da tenore scaligero. Improvviso e inaspettato per la povera bestiola. E questa retrocede, atterrita a morte, e ci lascia passare. Se solo avesse saputo che avevo il cuore in gola…! Ad ogni modo, svolta dopo svolta, s’arriva in cima: siamo a quota 689 metri. Il paesino è abbarbicato su di un colle, ultimo antico riparo dalle invasioni barbariche, e le sue stradine acciottolate s’inerpicano con strappi drammatici. Ci vuole tutta l’energia di cui ancora disponiamo per non mettere il piede a terra. Sennò poi, si sa, c’è la squalifica. Nella piazzetta sommitale c’è il bel Palazzo del Municipio, la Collegiata di San Paolo, un’imponente torre campanaria. Ma quello che più ci attrae, oltre al balcone col bel panorama, è l’insegna dell’unico esercizio commerciale aperto: “Bar-Collo”. Stupenda.

Ascoli Piceno, Piazza del Popolo
Da Force si sale ancora, fino a quota 770. Ma è l’ultimo sforzo di giornata. Da ora in poi è tutta discesa, venti chilometri di rettifili e tornanti che ci condurranno fino ad Ascoli Piceno. Fine tappa: 80 chilometri. Si entra in città da Porta Solestà, attraversando l’antico ponte romano. L’accesso alle sue fondamenta è gratuito e così, scendendo le strette scalette, c’immergiamo nelle viscere calde dell’imponente arcata. È dai tempi di Augusto che questo ponte unisce la città ai centri più importanti del versante settentrionale dell’Adriatico. Al disotto, placido e verdognolo, scorre il fiume Tronto. Chiamiamo Lorenzo e ci si da appuntamento in centro. Il cielo ora è quasi completamente sgombro dalle nuvole, e appare di un azzurro terso. Sarà un caso, ma è da giorni che non avvisto neanche una scia di aeroplano. Le rotte delle compagnie evidentemente non hanno molti interessi in queste zone. E poi c’è sempre vento, un vento leggero che recapita ora freschi profumi di montagna e sottobosco, ora fragranze mediterranee e terra bruciata dal sole. Neanche riescono ad immaginare quanta fortuna abbiano da queste parti, se paragonata alla triste e mortifera cappa che aleggia in ogni stagione nella nostra sfortunata Pianura Padana, un’afa che muore in gola e strozza il respiro. La mia gomma posteriore saltella ad ogni pedalata: si tratta della seconda foratura da che sono partito. Fortunatamente siamo a fine giornata e c’è tutto il tempo di pensare alla sostituzione. Attraversando le strade del centro scopriamo una città meravigliosa, costellata di chiese e monumenti di altissimo pregio artistico e architettonico. Ovunque si intravedono facciate in travertino, campanili slanciati, torri possenti, chiostri, logge, porticati e piazze ampie e ariose. Come Piazza del Popolo, costruita in stile rinascimentale e considerata unanimemente una delle più belle piazze d’Italia. Tutto intorno il Palazzo dei Capitani con la sua torre merlata, l’elegante Caffè Meletti, la Chiesa di San Francesco, oltreché una serie di palazzetti con logge e portici dal gusto raffinato. Ascoli è senza dubbio la più bella città che abbiamo incontrato fino ad ora. Splendida anche la Chiesa romanica di San Pietro in Castello, nonostante l’inopportuno parcheggio per automobili posto a pochi metri dalla sua facciata. Seguendo Lorenzo raggiungiamo l’ostello. La nostra sistemazione è presso la dependance dello stesso, a poche centinai di metri dal centro storico. Si tratta di un antico caseggiato, con un ampio giardino circondato da un alto muro di cinta. Un’ottima struttura. Prima di dare il via alle grandi manovre, mi adopero per la sostituzione della camera d’aria. E già che ci sono metto anche un paio di pezze alle due bucate. I compagni mi assistono, affascinati forse da questi gesti antichi che odorano di gomma consumata e mastice. Chi ripara più ormai? Più facile comprare il nuovo e buttare il vecchio. Eppure sa così tanto di buono questa manualità, questo gusto per il recupero, per l’arte del risparmio e del ripristino. Erri De Luca scrive: “Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco”. Ecco, per me riparare una camera d’aria è anche questo. Nel tardo pomeriggio siamo tutti lavati e profumati e pronti per il nostro giro turistico. Giro che ovviamente finisce il Piazza del Popolo, seduti ai tavolini di un bar per il consueto aperitivo. Con bis di olive ascolane, naturalmente. E a seguire cena presso il ristorante Leopoldus. Ottime le tagliatelle ai funghi porcini e tartufo e soprattutto le costine d’agnello alla “scottadito”.
Prima di rientrare due passi di danza in piazza sulle note musicali di un’orchestrina di paese. Oggi è pur sempre Ferragosto [continua…].

Nessun commento:

Posta un commento