Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 6 settembre 2013

Marche & Abruzzo Bike Tour - 930 km a spasso per il Centro Italia - Quinta parte

Colle dell'Infinito
Al mattino ci si leva con una certa qual apprensione. Non tanto per quel che ci aspetta in bicicletta, quanto per la soluzione che a questo punto s’impone in merito al tragitto. Alfio è affaccendato da quasi un’ora davanti al computer per studiare ancora una volta le altimetrie; Alessandra appare nervosa e impaziente di partire; Dominique anche, ma prima di partire insiste perché l’aiuti a montare le prolunghe sulle estremità del manubrio della sua bicicletta. Lorenzo, come di consueto, è il ritratto della tranquillità, mentre Simona è ancora nel mondo dei sogni. Alla fine si arriva al punto di non ritorno. Di fronte alla posizione assunta da Alfio e Alessandra, ovvero di evitare Recanati e Loreto, m’impunto. Anche perché di dislivelli come quelli di oggi ce ne saranno moltissimi nel corso dei giorni, e dunque non capisco il perché di questo ostracismo solo per questa tappa. Che peraltro a me sta molto a cuore. «Ok, perfetto…, non c’è nessun problema: io vado anche da solo. Poi ci si trova giù a valle, da qualche parte. Anzi, per me è uno stimolo maggiore provare ad andare in solitaria». Di fronte a tale decisione, comincia ad incrinarsi l’asse della dissidenza. Simona, che fino ad ora era stata in silenzio, si schiera dalla mia parte. Anche Dominique cede. Lorenzo poi, sapendo che passiamo da Loreto, si fa convincere a venire con noi: potrà prendere il treno da là. Ci si avvia e dopo pochi chilometri, alla svolta decisiva, ovvero Porto Recanati o Loreto, tutto il gruppo si mette sulla mia ruota.
Dopo una decina di chilometri siamo sulle pendici del colle che porta al Santuario. Dietro di me, attaccato come Tonkov a Pantani sulla salita per Montecampione, c’è solo Lorenzo. E la cosa è sorprendente dato quello che ha passato il nostro amico. Gli altri sono indietro. A dire il vero prima di iniziare la salita Lorenzo si è concesso anche una caduta dalla bicicletta a causa dei lacci delle scarpe finiti negli ingranaggi del cambio. Nulla di che, fortunatamente, solo un grande spavento, soprattutto per gli altri che gli stavano dietro. L’ingresso nella piazza del Santuario è trionfale. La facciata della Basilica, illuminata dal sole del mattino, rifulge in tutta la sua candida bellezza. Sul sagrato della chiesa e ovunque ci sono moltissime persone, e agli ingressi sono presenti dei vigilantes che scrutano attentamente coloro che si accingono ad entrare. E se l’abbigliamento non è consono alla sacralità del luogo, bloccano l’accesso. Parcheggiamo le bici ai piedi della scalinata e ci prepariamo ad entrare. Dalle mie borse, in un eccesso di zelo puritano, tiro fuori un paio di pantaloncini e una maglietta, e li indosso. Gli altri non ritengono necessaria tale premura. All’interno, sotto la cupola, vi è la Santa Casa di Nazaret, ovvero il luogo dove, secondo la tradizione, la Vergine Maria ricevette l’Annunciazione. Si narra che nella notte tra il 9 e il 10 dicembre del 1294, la Casa venne trasportata in volo dagli angeli fin qui, dove allora c’era solo una strada di transito che collegava Recanati al mare. Un luogo in cui sorgeva un bosco di lauri. Da cui Loreto. Nella realtà, invece pare che l’abitazione fu traslata ad opera dei Crociati alla fine del ‘200, sotto Papa Celestino V. Grazie tra l’altro, all’aiuto della potente famiglia bizantina degli Angeli. La Casa della Madonna si trova all’interno di uno splendido rivestimento marmoreo, ed è composta da una struttura formata da tre pareti, prive di soffitto e fondamenta, realizzate interamente in mattoni di terracotta. In un silenzio assordante e a tratti mistico, i fedeli pregano dinanzi all’icona della Madonna Nera. Ed io come al solito mi faccio travolgere dalla commozione. Per tornare con in piedi per terra appoggio la mano sinistra su quei muri che hanno visto crescere il Figlio di Dio, e che ora mi danno il senso della realtà e della consistenza. E della verità. All’uscita siamo tutti colpiti da tanta sacralità. Dominique scrive alla madre, e questa le risponde di recitare una preghiera a nome di tutta la famiglia.
È tempo di ripartenza. Salutiamo Lorenzo dandoci appuntamento ad Ascoli e via alla volta di Recanati. Imbocchiamo la strada provinciale della Val di Chienti ed è subito salita. Salita vera. Uno strappo di sei, settecento metri con pendenza molto sostenuta. Accelero e mi lascio indietro tutti. Un tizio di mezza età mi urla: «Addietro so’ cotti…, vai non ti fermare…». Per la verità sono in iperaffanno anch’io, ma atteggio un’espressione da “uomo solo al comando” e vado. Dopo aver svalicato, si discende a tutta velocità lungo un bel viale alberato. Un cartello ci avvisa che Recanati è lì, a sette chilometri. Si risale e si ridiscende in un lungo alternarsi di colli ora riarsi, ora ricoperti da enormi girasoli. E poi, all’improvviso, ecco delinearsi in cima ad un’altura la sagoma della città. Acceleriamo l’andatura. Sulla strada incrociamo un cartello “Recanati - Città della Poesia”. La foto è d’obbligo. Seguiamo la strada seguendo le indicazioni “Luoghi leopardiani” ed in breve siamo ai piedi del Monte Tabor, il Colle dell’Infinito. Sento addosso come una smania incontrollabile di affacciarmi a quel belvedere, di mettere gli occhi là dove Leopardi aveva messo i suoi, componendo la poesia delle poesie. E così, al termine di una stradina in terra battuta, ombreggiata da alberi d’alto fusto, ecco spalancarsi dinnanzi a noi il panorama dell’Infinito. Ed è come un tuffo al cuore. Lo sguardo spazia senza ingombro né interruzioni verso meridione, fin giù sulla piana, lontano e ancora oltre i colli che annunciano Macerata. Campi verdi e ben ordinati, si alternano a leggeri declivi riarsi e piccoli poggi contornati da alberi frondosi. E il tutto scolora in lontananza nell’azzurro dei primi rilievi che s’intravedono all’ultimo orizzonte. Si resta incantati, oggi come allora. E un brivido corre sulla schiena sentendo che qui, al nostro cospetto, si parano gli stessi “interminati spazi”, “i sovrumani silenzi” e “la profondissima quiete” che fecero scrivere al poeta “E ‘l naufragar m’è dolce in questo mare”. Vorrei recitarne i versi, ma non me ne sento all’altezza. E così, dal mio telefono cellulare faccio saltar fuori ben altro oratore: Gassman. E gli amici ascoltano attoniti, come se per la prima volta udissero quelle sonorità, “vaghe, sonore e peregrine”. E sembra davvero di fluttuare tra le onde.
È ora di ripartire. Giusto il tempo di una breve sosta nella piazzetta del “Sabato del villaggio”, con acquisto di gadget d’ordinanza (ehi Fiò, ho trovato la maglietta con su L’Infinito…) e si ritorna sui pedali. Si scende a rotta di collo verso la piana, giù verso il fiume Potenza, fino ad incrociare l’Abbazia di San Firmano. Breve sosta, con scherzo a Dominique (chiuso dentro l’abbazia) e si riparte. La salita verso Montelupone è piuttosto impegnativa e ad un tratto ci si para davanti un vero e proprio “muro”. Per fortuna un locale in auto ci affianca e ci consiglia di seguire la strada evitando quel bel cimento: si allunga il tragitto di due, tre chilometri, ma si evita di schiantare. E dunque si sale, si sale dolcemente fino a raggiungere un parco pubblico fuori dalle mura dell’abitato. Sosta pranzo e si riparte per la visita del grazioso borgo medievale. Semidisabitato ovviamente. Come del resto tutte queste piccole meraviglie che incrociamo nel nostro incedere randagio. Dalla sommità delle mura si osservano le tipiche dolci colline marchigiane, il mare dista non più di una dozzina di chilometri e tutto intorno si intravedono Macerata, Recanati, Potenza Picena, Montecosaro e Morrovalle. Nomi che restano in bocca come una sorsata di Rosso Piceno Superiore. E si riparte senza indugio, anche perché il tempo sta peggiorando velocemente. Si scende di nuovo fino a superare il tracciato ferroviario che unisce Macerata a Civitanova Marche, e poi si prosegue lungo una stradina chiusa al traffico. Ci lasciamo alle spalle Corridònia, Colbuccaro, Petriolo, e senza perdere un solo istante, attraversiamo la Riserva Naturale di Fiastra. Con tutto ciò che ne consegue, ovviamente: Abbadia di Fiastra, Urb Salvia, gli scavi romani e tutto il resto. D’altra parte ormai piove, e neanche troppo leggermente. Sì, abbiamo le nostre mantelline, i copricapo, i teli per le borse, ma quando dal cielo viene giù acqua non si desidera altro che trovare un riparo. Il prima possibile. E così, dopo ancora un’ora abbondante di andatura sostenuta, ed un’ultima salitella francamente inopportuna, eccoci a Loro Piceno. O meglio presso la tenuta Casa Azzurra gestita dalla cordiale Rosaria.
Abbiamo tutti l’aspetto di reduci di guerra, e i pochi ospiti presenti oltre a noi ci guardano con un senso di malcelata pietà per il nostro triste stato. Per non lasciare troppo spazio alla compassione, decidiamo subito di fare un bel bagno in piscina. D’altra parte ha smesso di piovere e infondo bagnati lo siamo già. Alessandra rinuncia, come era facilmente immaginabile. Dominique corre a fare una doccia calda: aver affrontato il tragitto sotto l’acqua quasi sempre senza maglietta non è stata una buona idea (“Ma scusa, perché non ti copri un po?” - “E perché mai? Sto da Dio…”). Restiamo io, Simona ed Alfio. Certo constatare che l’acqua non è affatto a 30° come sosteneva Alessandra, ma decisamente più fredda, è pur sempre una sorpresa. Ma non è che si può chiedere sempre tutto alla vita. O no?
Nel tardo pomeriggio ci ritroviamo tutti sotto i gazebo a gozzovigliare con vino e stuzzichini vari. La cena poi, a base di pizza fatta con farine biologiche, è strepitosa. Prima di congedarci due parole con Lorenzo, curioso delle nostre peripezie. Egli è giunto ad Ascoli sano e salvo, in treno, e nell’attesa del nostro arrivo, sta sondando i ristoranti più rinomati e i piatti più prelibati. Tutti a nanna [continua...].

Nessun commento:

Posta un commento