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Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 21 giugno 2013

Movida e vita notturna: come cambiano le abitudini degli italiani

Quando dopo l’esame di maturità partii con tutta la compagnia per la Grecia, tra le tante cose che mi colpirono ci furono i locali del divertimento della movida serale. Fino ad allora il luogo privilegiato per il divertimento notturno aveva per me pressoché un unico nome: discoteca. Ci si trovava con gli amici, si tirava un po’ tardi per raggiungere l’ora, e poi si partiva alla volta di qualche locale del centro. Nella maggior parte dei casi, quando si decideva di andare a ballare, si sceglieva il mitico Rolling Stone di Corso XXII Marzo. Raramente si optava per un locale diverso, anche perché eravamo un gruppo di rockettari maledetti e a quei tempi non ascoltavamo che Aerosmith, Guns N’ Roses, Iron Maiden, U2 etc…! Certo l’ingresso non costava un’inezia, e se poco poco, ci si voleva un po’ sballare con qualche alcolico, occorreva mettere in preventivo una bella spesa. E così, quando in quella lontana estate del ’91, sbarcammo sulle coste delle isole greche, fu una piacevole sorpresa scoprire che non esistevano discoteche classiche, ma disco-pub in cui non si pagava l’ingresso, ma semplicemente la consumazione. E i prezzi erano estremamente popolari. Fu qui che ascoltammo per la prima volta “Losing my religion” dei Rem. Ricordo ancora quell’atmosfera incantata, da paese dei balocchi: non avevamo ancora vent’anni e tutta la vita da vivere dinnanzi a noi. Ci sentivamo padroni del mondo. Col tempo poi feci altri viaggi, e scoprii realtà analoghe: mentre in Italia imperversavano ancora le costose discoteche al chiuso (salvo quelle estive all’aperto…, ricordo la Capannina di Castiglione della Pescaia, dove trascorsi alcune stagioni vacanziere), all’estero già proliferavano locali free entry. A Valencia, ad esempio, durante un viaggio di lavoro, scoprii che i locali del centro storico adottavano tutti la stessa formula. Alcuni di questi si chiamavano Bolseria, ed erano locali in cui si pagavano solo le consumazioni e si poteva uscire in strada e rientrare senza alcuna limitazione. Mica come da noi che occorreva farsi tatuare sulla mano per dimostrare di aver pagato l’ingresso. Non erano discoteche classiche, ma locali aperti, ben areati, in cui si poteva sì ballare, ma c’erano anche spazi dove dialogare, consumare un boccone, bere in santa pace. Un luogo aperto, completamente integrato nel contesto del quartiere. E i clienti non erano solo clienti, ma anche visitatori di passaggio, attratti dal richiamo della folla che invadeva anche la strada e la piazza antistante. Una vera agorà del divertimento. Tra l’altro qui conobbi una valenciana muy caliente…! Si ballava in pista e questa ragazza, insieme… ad un’amica, mi lanciava di tanto in tanto delle occhiate. Me ne accorsi ovviamente con un ritardo clamoroso - anche perché ero in compagnia di colleghi e colleghe - e quando ad un tratto costei mi fece una smorfia e fece per andarsene, l’afferrai per un polso e le chiesi ingenuamente: “Che fai, te ne vai?”. E questa mi rispose “No me mires, no me hagas bailar…”. Abbandonai all’istante i noiosissimi colleghi e recuperai il tempo ignobilmente perduto…! Ad ogni modo, tornai in Italia ancor più persuaso del fatto che in fatto di locali notturni ne avevamo da imparare…! Ora un recente rapporto Censis - Fipe (Federazione Italiana dei pubblici esercizi), presentato alla Triennale di Milano mercoledì scorso, ha tracciato la nuova mappa del divertimento degli italiani: meno discoteche e pub, più tempo per strada e nei locali ibridi. Secondo i dati emergerebbe che i centri cittadini, a dispetto della crisi economica, nelle ore notturne sono sempre più presi d’assalto dai giovani (94 per cento), dagli adulti (78 per cento) e perfino dagli anziani (31 per cento). E mentre per discoteche e pub classici la clientela tende sempre più a scemare, vanno assai forte i localini di strada, quelli che appunto offrono luoghi di passaggio e aggregazione a poco costo e ad alto tasso di socializzazione. Gli italiani che sono soliti fare “vita notturna” sono oltre 19 milioni, 4 milioni gli habitué. Un popolo in cerca di contatti, confronto, incontro, avventure. Possibilmente all’aria aperta, come abbiamo visto. E così si scopre, per esempio, che a Milano i luoghi privilegiati per la movida serale sono Porta Ticinese, i Navigli, Corso Como, i Bastioni di Porta Venezia e il quartiere isola; a Torino vanno di moda invece i locali di San Salvario, le vie di Vanchiglia, la zona universitaria; a Napoli invece la vita notturna si consuma a Chiaia e a Bagnoli (oltreché in nel centro storico, naturalmente); a Roma chi vuol tirare tardi può sollazzarsi a Campo dei Fiori, San Lorenzo, Trastevere, Testaccio. La scorsa primavera sono stato a Roma e posso confermare che Campo dei Fiori è davvero un luogo magico per trascorrere una serata in compagnia.
Devo essere sincero, non ho mai amato troppo le discoteche: neanche all’epoca dell’ormone impazzito. Non mi è mai piaciuta quell’atmosfera da sballo sensoriale, quella calca di persone costrette per convenzione a divertirsi oltre ogni limite, quell’aria spessa e greve, impregnata di afrori violenti, quel volume esageratamente alto, tale che neanche ci si provava più a conversare. Ogni qual volta si decideva di andare a ballare, per me era una sorta di tortura da superare con qualche adeguato “accorgimento”. E così, di fronte a questo nuovo trend non posso che esserne contento. Abbassare finalmente il volume, potersi parlare senza urlare e respirare l’aria fresca della notte (guardando magari anche le stelle, di tanto in tanto…): questa si che è vera “vita notturna”. Almeno per me.

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