Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

venerdì 14 giugno 2013

Il passaggio a livello di Curlandia

La vita dei pendolari si sa non è facile, soprattutto su alcune tratte ferroviarie particolarmente disagiate. I viaggiatori che si trovano costretti ad utilizzarle mettono in preventivo fin da subito la possibilità di andare incontro ad inconvenienti di diversa natura: ritardi, soppressioni, affollamento, carrozze gelate d’inverno e superriscaldate d’estate, porte rotte, toilette fuori-servizio ed altro ancora. Sulla tratta Milano - Cremona però, quella che utilizzo da anni, c’è un’unica certezza, che incombe a scadenza più o meno fissa: il guasto del passaggio a livello di Curlandia. Solitamente questo inconveniente si verifica ogni due o tre mesi ed è un tormentone che si ripropone da anni. Alle volte passa dalla mente, ci si scorda della sua immanenza, ed è proprio in quel preciso momento che si ripresenta, a sorpresa, quasi a tradimento. Accade dunque che il treno, lasciata la stazione di Biscardia, si avvicini a quella di Curlandia e qui si fermi: la sbarra del passaggio a livello non ne vuole sapere di venir giù per bloccare il traffico delle auto e il treno non può transitare. I viaggiatori dopo quasi un’ora di viaggio, non appena si accorgono che la sosta si prolunga, cominciano a dare segni di nervosismo. Alcuni pendolari storici, intuendo qual è il problema, si lasciano andare allo scoramento - qualcuno piange silenziosamente - . Altri reagiscono con durezza, non lesinando volgari improperi ed epiteti all’indirizzo delle mamme dei ferrovieri incolpevoli. Dopo alcuni minuti comincia il via vai per le carrozze; molti si affacciano ai finestrini per capire cosa accade e soprattutto quando si riparte. C’è una sommessa e solidale confusione, come un vociare di sottofondo, un chiacchiericcio appena udibile. Arrivano all’orecchio poche parole, appena percepibili: «Pare che ora si riparta…» - «Beh sì, speriamo…» - «Ma cos’è sta volta, aspettiamo la coincidenza…?» - «Ma quale coincidenza, sarà un guasto al locomotore: d’altra parte hanno trent’anni…» - «È il passaggio a livello: si è sfasciato ancora…!» - «Nooo, di nuovo? Ma è una maledizione…!». Dopo circa venti minuti di sosta gran parte dei passeggeri scendono dal treno e si avvicinano all’ufficio del capo-stazione: alcuni hanno un fare minaccioso. Altri, affranti attendono con rassegnazione di avere qualche notizia.
Qualche giorno fa mi sono imbattuto appunto nel guasto al passaggio al livello. Ero naturalmente tra coloro che cercavano di capire quando si ripartisse, ma più che altro ero incuriosito dai comportamenti e dalle reazioni dei miei compagni di viaggio. Ce n’era uno in particolar che mi colpiva, per la foga con cui protestava e si agitava. Aveva un atteggiamento ambivalente: da un lato violento, quando parlava con i viaggiatori; dall’altro estremamente riguardoso quando si rivolgeva al capo-stazione. Criticava con virulenza gli addetti delle ferrovie, sostenendo che in fondo a loro non interessava nulla dei viaggiatori, tanto lo stipendio ce l’avevano assicurato; aggiungeva che gli stessi, in gran numero, se ne stavano tranquillamente seduti a chiacchierare nel loro ufficio senza fare nulla per risolvere il problema; e per finire affermava che le ferrovie non sarebbero mai state efficienti a causa dei troppi meridionali presenti tra i propri dipendenti. Il poveretto, era decisamente in preda ad una crisi isterica e, sebbene dicesse davvero delle cose sgradevoli, suscitava in me un senso di tenerezza e simpatia: erano talmente enormi infatti le sue affermazioni, che travalicavano la mia indignazione, andavano oltre, fino a raggiungere la sfera del ridicolo. Ed in fondo chi ci fa ridere, solitamente ci è anche un po’ simpatico. Le persone che erano presenti ascoltavano le esternazioni del tipo isterico, ma non gli davano retta. Qualcuno, nel mentre che il nostro parlava, gli voltava le spalle e se ne andava maleducatamente; qualcun altro, guardandolo negli occhi, faceva delle smorfie plateali; altri gli parlavano sopra senza rispetto. Io assistevo a tutta la scena e a stento trattenevo uno scoppio di riso. Poi all’improvviso ho rotto il silenzio e, rivolto all’esagitato, ho chiesto a sorpresa con intento ironico: «Ma quanti sono in quel maledetto ufficio? Qualcuno sa dirmi se per caso c’è anche qualche meridionale scansafatiche da quelle parti?». Il nostro, senza capire che lo stavo prendendo in giro e senza tra l’altro accorgersi del mio accento non propriamente tirolese, si è illuminato come una supernova ed è partito a raffica, dando prima un’occhiata che non ci fosse il capo-stazione nei paraggi: non gli pareva vero che qualcuno lo potesse ancora ascoltare. E così il poveretto, potendo dare sfogo alla propria rabbia, si è lentamente tranquillizzato: come se una valvola di sicurezza si fosse aperta e avesse consentito di allentare la pressione.
Fortunatamente nel giro di qualche minuto il treno è ripartito e io mi sono immerso nuovamente nella lettura de La bellezza russa di Nabokov. Ad un tratto, levando gli occhi dal libro che mi aveva rapito completamente, mi sono accorto che una viaggiatrice che solitamente scende dopo di me si stava preparando. La faccende mi è sembrata strana e di conseguenza ho gettato lo sguardo fuori dal finestrino. Il paesaggio era irriconoscibile, per un attimo ho avuto come un senso di vertigine, di smarrimento: mi sembrava di essere in un sogno. Qualche minuto ancora ed ecco svelato l’arcano: ero semplicemente andato oltre la mia fermata. Ancora un po’ e finivo a Cremona. Sono sceso velocemente e mi è toccato aspettare il treno che tornava indietro. L’isterico mi ha salutato dal finestrino: sorrideva.

(Fonte: Il Cialtrone, 2012)

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