Prova


Non preoccuparti della pioggia, lasciala cadere” (Marco Brignoli, Rifugio Baroni al Brunone, Sentiero delle Orobie Orientali)

giovedì 10 gennaio 2013

Sorridere sì, ma con moderazione

Il sorriso delle donne, angelicato, birichino, ammaliante, pudico, seducente, virgineo, attraente, distaccato, disinibito, discreto, sincero, provocante, passionale, indifferente, invitante, irridente, sfrontato, beffardo. È dai tempi di Leonardo che l’Umanità si interroga sul sorriso delle donne: Monna Lisa, sorride o è seria? E di cosa sorride eventualmente. Probabilmente di noi che ci facciamo domande su di lei da secoli.
 
Milioni di pagine scritte su questo tema, milioni di ipotesi, teorie, analisi e perizie radiografiche, senza arrivare ad una soluzione. Kazzenger, per esempio sostiene che in realtà si tratterebbe di un auto-ritratto, ma come si sa i dati e le prove scientifiche su cui si basa questo programma televisivo sono interamente ricavate dalle scritte dei bagni dell’autogrill (fonte: Nel Paese delle Meraviglie, M. Crozza).
E prima di Leonardo, Dante e tutti gli stilnovisti hanno scritto opere immortali sul mistero del sorriso dell’altra metà del cielo, versi che parlano di porte del Paradiso che si aprono all’improvviso, che riflettono porzioni anticipate della beatitudine che ci attende. Tutto un’antologia di sentimenti che racconta della bellezza della vita e della forza vitale dipinta in uno sguardo di donna.
Ora invece uno studio dell’Università di Granada (Spagna) si concentra sul sorriso degli uomini (de gustibus…). I ricercatori iberici hanno esaminato il modo in cui il sorriso di un uomo influisce sulla percezione che una donna ha di lui e sul suo linguaggio del corpo. La conclusione cui sono giunti gli scienziati è che agli uomini basterebbe schiudere le labbra per entrare nelle grazie di una donna e renderla più incline a fare ciò che le si chiede. In altre parole sarebbe sufficiente un banale sorriso per rendere più malleabile e accondiscendente una donna, fosse anche un fenomeno di forza e sicurezza. Secondo le teorie degli esperti del linguaggio del corpo tuttavia, i risultati della ricerca non sarebbero né particolarmente innovativi né sorprendenti, considerato che le donne si basano sul linguaggio del corpo più degli uomini per prendere le decisioni. Nella sostanza dunque, anche in presenza di forte dissonanza tra ciò che viene detto a voce e ciò che il corpo dell’interlocutore trasmette, le donne presterebbero più fede al linguaggio espressivo e gestuale.
Questa ricerca, al di là del fatto che mi lascia alquanto perplesso, come d’altra parte tutte le teorie che pongono vincoli e regole stringenti sul comportamento umano – che pure è un mistero governato da dinamiche imponderabili – , mi ha fatto tornare alla mente un episodio della mia famiglia, uno di quei tanti aneddoti che formano la saga domestica. I miei nonni paterni, Luigi e Marcella, si conobbero da giovani, poco più che maggiorenni, e cominciarono a frequentarsi seguendo scrupolosamente tutte le disposizioni che la morale del tempo imponeva. Dopo qualche tempo i due presero la decisione di fidanzarsi ufficialmente e dunque fecero in modo di fare incontrare le rispettive famiglie. I genitori di Luigi erano una coppia del tutto ordinaria per quei tempi: lui era un uomo violento, indurito dalla vita, cresciuto nell’agio e catapultato ancora adolescente nel mondo del lavoro a causa della scomparsa improvvisa del padre, e della rovina finanziaria della famiglia; lei invece era una trovatella cresciuta in orfanatrofio, una donna di una serietà prussiana, coriacea, di poche parole e provata dalla spietatezza del mondo. Il primo lavorava come operaio presso la ferrovia, la seconda, per arrotondare il magro stipendio del marito, che pure doveva sfamare una dozzina di persone, vendeva in casa sapone, pietra pomice e candeggina. I genitori di Marcella invece, e se possibile, avevano avuto una vita ancor più rocambolesca: Giovanni era dovuto emigrare nottetempo in Francia – con la famiglia al seguito – a causa di una zuffa, con tanto di accoltellamenti selvaggi, scoppiata per difendere un tizio dall’aggressione di un malavitoso. Avevano vissuto a Marsiglia, nella zona portuale per alcuni anni, dopodiché, a seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, erano stati rimpatriati di forza, e Giovanni arrestato e rinchiuso in galera per un paio d’anni. Non si trattava dunque di gigli di campo, questo s’intende, ma questa era pur sempre la normalità degli inizi del secolo. E così quel giorno Marcella, Luigi e i relativi genitori si trovarono presumo in un locale, forse un’osteria, per fare conoscenza. Giovanni, che tra i presenti era caratterialmente forse il più aperto e spontaneo, appariva oltremodo felice, l'idea che la figlia si fidanzasse con un bravo giovane, con un buon posto di lavoro, lo rendeva euforico. E poi costui era simpatico, ben educato e di bell’aspetto: non poteva chiedere di meglio alla sorte. E dunque sorrideva, sorrideva felice, sorrideva a tutti. Ma in generale anche gli altri presenti, nonostante un più che legittimo iniziale imbarazzo, si dimostravano sereni e rilassati. L’unica ad apparire distaccata, accigliata e dunque preoccupata per una qualche ragione, era Teresa, la madre di Luigi. Al termine dell’incontro le famiglie si separarono, dirigendosi ognuna verso la propria casa. Ma ad un tratto Marcella, prima che girasse l’angolo, si sentì chiamare da Teresa. Le corse incontro curiosa e, quando fu di fronte alla futura suocera chiese cosa volesse. E questa, senza un filo di pietà attaccò: «Marcella, dimmi un po’, ma tuo padre per caso è forse scemo, tonto, o qualcosa del genere?».
A Marcella crollò il mondo addosso e sentì una fiammata di rabbia salirle verso il volto: «Oh Gesù, papà scemo? E perché mai dite questo?».
E Teresa ancora più implacabile: «Come perché? Ha sorriso per tutto il tempo… Di certo mi nascondi qualcosa».
E nonostante la rabbia per quell’affronto, Marcella riuscì a controllarsi: «Ma no, state tranquilla…! È solo perché era molto felice per me…! Ve lo garantisco».
«Bah – concluse scettica la matrona – speriamo bene…!»
Ecco, appunto: viva la scienza comportamentale.

Nessun commento:

Posta un commento